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acr.. pag 1 e 3 de IL MILANESE Aprile-maggio 2014

Post n°282 pubblicato il 06 Aprile 2014 da acrilmilanese
Foto di acrilmilanese

 http://www.acraccademia.it/Il%20Milanese%20pag%201.html

CRISI FINANZIARIA GLOBALE, LO STATO DIFENDE IL MERCATO

Riceviamo dal Dott. Sergio Sacchi – Capo Ufficio Studi Assoconsulenza e volentieri pubblichiamo (vedi foto)foto di Acr Ilmilanese.


Quella attuale è la prima crisi dell’economia globale e per intensità e sommovimenti finanziari può paragonarsi solo a quella del ‘29. Per fronteggiarla si sono resi necessari interventi massicci di tutti i governi del mondo occidentale, e non solo, trovatisi ad affrontare le ultime settimane particolarmente virulente, e miranti a ripristinare le condizioni minime di fiducia tra i risparmiatori (garanzie sui depositi bancari) e tra le banche (garanzie sui prestiti interbancari, nazionalizzazione di banche o concessione di prestiti per ricapitalizzarle). La natura della crisi è finanziaria essa cioè è stata originata dalla decisione del governo statunitense di incentivare l’acquisto della casa e del basso costo del denaro caratterizzato dall’era Greenspan, dalla concessione di mutui a chi non poteva restituirli (mutui subprime) e dall’uso smodato dei derivati (per copertura tassi, valute o inadempimento/credit default swap) per importi nominali misurati in trilioni di dollari. Il boom è avvenuto soprattutto dopo il 2004 quando venne deregolamentato il rapporto di leva (sino ad allora consentito al massimo a 15). Al riguardo va ricordato che per la gran parte i derivati sono stati impiegati impropriamente e cioè non per finalità di copertura ma di speculazione da parte delle aziende e persino dai comuni e collocate da parte delle banche per lucrare laute commissioni spesso senza alcuna relazione con la finanza aziendale. Gran parte dei derivati si basano sulle formule dei 2 Nobel Black e Scholes che peraltro scesi dalla cattedra si sono scontrati con la dura realtà operativa con esiti molto negativi, come non ricordare la crisi del loro hedge fund Ltcm nell’estate 1998 salvato poi dalla banca centrale americana. Altro elemento decisivo l’abolizione avvenuta nel ’99 della Glass-Steagall act (formulata nel ’33 sotto la spinta della Grande depressione seguita al ’29) che ha reso meno regolamentata l’operatività delle banche d’investimento Il crollo del mercato immobiliare (ben prevedibile dopo parecchi anni positivi) a partire dall’inizio del 2007 ha causato lo scoppio di questo perverso meccanismo che ha avuto diffusione ovunque a causa della cartolarizzazione dei mutui subprime e della loro allocazione sotto forma di obbligazioni e con rating spesso lusinghieri. I nodi sono cominciati a venire al pettine con l’aumento dei tassi, passati dall’1 al 5,25%, e l’insolvenza dei mutuatari. Inoltre le società veicolo costituite fittiziamente all’esterno dei consolidati bancari con in carico le obbligazioni acquistate derivanti da cartolarizzazione devono ora essere riassorbite dalle stesse banche e ne sconquassano i conti in quanto squilibrano il rapporto tra mezzi propri e indebitamento. Sono evidenziati pure i conflitti d’interesse vari: delle agenzie di rating che ricevono gli incarichi da chi viene giudicato (Lehman era giudicata AA al momento del fallimento), delle banche d’affari che portano in borsa società verso cui vantano crediti, non da ultimo del management a cui spettano bonus in base a parametri trimestrali e che tendono a muoversi nel breve termine proprio per lucrare le loro stock option ponendo in essere anche operazioni di sostegno al corso azionario della società in prossimità alle scadenze relative in detrimento della sostenibilità nel lungo periodo della crescita aziendale. Il principio contabile che ha accolto il fair value è ora sospeso e andrà migliorato onde consentire anche la variazione del principio allorché intervengono circostanze estreme,  infatti lo IAS 39 era stato introdotto proprio per tener conto dell’oscillazione degli strumenti derivati in modo tale che venissero ricondotti nei bilanci e non se ne stessero fuori.

Naturalmente le crisi finanziarie (se prolungate e pesanti) non possono che trasmettersi all’economia reale ripercuotendosi sul taglio dei costi da parte delle imprese, sulla sfiducia generalizzata e sulla conseguente caduta dei consumi. Da marzo 2008 con la vendita di Bear Stearns a JP Morgan si è assistito ad un’escalation fino a oggi con la nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac (le 2 società semipubbliche che erogavano i mutui negli USA) e la crisi di tutte le banche d’investimento americane e di molte del resto dell’Occidente, nonché di assicurazioni e società di riassicurazione e l’approvazione del piano anticrisi del 19 settembre con la creazione di un fondo che dovrebbe ritirare le attività in sofferenza. Delle 5 grandi investment bank americane sono rimaste indipendenti solo Morgan Stanley (ceduta però per il 21% ai giapponesi di Mitsubishi) e Goldman Sachs, Merril Lynch e Bear Stearns sono state vendute, tutte sono state costrette a chiedere la licenza di banca commerciale onde procurarsi la raccolta a condizioni meno onerosi. È stata lasciata fallire la sola Lehman e per ragioni molto chiare: si è voluto far capire che all’intervento statale c’è un limite preciso, quello posto dalla mala gestio degli eccessi speculativi (il management possedeva grazie alle stock option il 30% della società) e della leva esagerata (pari a 35), sebbene ciò abbia provocato l’inevitabile crisi degli hedge funds a cui la banca era legata. Anche in Europa benché in misura minore già da fine 2007 si sono resi necessari interventi per scongiurare il fallimento di istituti finanziari come Northern Rock e Bradford & Brigley in Gran Bretagna, West LB in Germania, Dexia in Francia e Fortis in Benelux.

L’Italia è stata toccata marginalmente dalla crisi, salvo Unicredit per la sua acquisizione della Hypo bavarese, tuttavia il core tier 1 (rapporto tra mezzi propri e indebitamento) appare spesso sotto la soglia d’allarme del 6% e quindi sarà necessaria la ricapitalizzazione di molte grosse banche, Unicredit è stata l’unica ad attingere liquidità dal fondo stanziato dal governo cedendo titoli problematici per 2 mrd di euro ed ha dovuto digerire pure l’ingresso degli arabi di Gheddafi che hanno acquistato una quota del 5%. I forti traumi subiti dai risparmiatori, molti dei quali scottati ancora dagli eccessi della new economy e dagli scandali Enron, Parmalat nonché dal default argentino, necessiteranno anni per essere riassorbiti, ciò innestandosi inoltre nel difficile momento del risparmio gestito italiano che registra periodicamente deflussi consistenti per la crisi dei fondi comuni. 

Quali gli effetti di questo crollo finanziario, economico, etico e di fiducia?

Anzitutto ritorna prepotentemente in auge l’intervento statale e ciò dimostra come il pragmatismo anglosassone in casi estremi non si fa giustamente scrupoli in tal senso e non resta prigioniero di ideologismi di sorta, del resto 20 anni fa vi fu un intervento similare per il crollo delle casse di risparmio negli States conclusosi poi con la cessione delle quote rilevate ai privati. D’altra parte è chiaro che in circostanze eccezionali solo il soggetto statale può portare a compimento la sostituzione di masse gigantesche di attivi di bassa qualità nel sistema bancario. La crescita delle tigri asiatiche viene rallentata (praticamente dimezzata al 4/5%), tuttavia una gran parte dei buoni del tesoro statunitense (il 35%) è detenuto dai cinesi e ciò rappresenta un vincolo fortissimo tra questi 2 paesi. Una volta ripristinate le condizioni di fiducia nei mercati resta da affrontare la recessione che non è ancora terminata anche a fronte di un risparmio negativo delle famiglie statunitensi che si protrae ormai da alcuni anni e fa pensare che una forte contrazione dei consumi non è più dilazionabile, toccherà l’intero mondo occidentale ma avrà l’effetto di raffreddare i prezzi delle fonti energetiche e dell’inflazione. Altro effetto rivoluzionario è che l’azionariato delle banche d’investimento viene modificato in favore dei fondi sovrani (con patrimoni di centinaia di miliardi di dollari gonfiati annualmente dagli enormi ricavi del petrolio o da surplus commerciale come per Cina e Singapore) che si muovono da padroni grondando liquidità in un panorama, quello dei mercati finanziari, fortemente illiquido. Questi soggetti però sono tenuti in un angolo in quanto non offrirebbero sufficienti garanzie (in ragione soprattutto della provenienza della gran parte di loro, da paesi arabi e/o islamici) anche se sono entrati con 18 miliardi di dollari a fine 2007 nel capitale di banche americane e svizzere.

Lo stato della finanza pubblica subirà un peggioramento dovuto al deteriorarsi del rapporto indebitamento pubblico PIL che negli USA supererà nel 2009 per la prima volta i 1.000 miliardi di dollari aggravando ulteriormente il deficit federale giunto a 400 miliardi di dollari cioè a meno del 3% del PIL, e ciò non promette nulla di buono per quanto riguarda la riduzione fiscale.

Certamente questa non è la crisi del capitalismo ma di un certo sfrenato e squilibrato modello fatto per favorire pochi attori (top management) che avrebbe fatto storcere il naso a tutti i liberisti classici, un tale modello non ha infatti prospettive di sostenibilità nel lungo periodo ed è carente gravemente dal punto di vista dei controlli. Il sistema economico ha infatti bisogno di equilibri e non può certo limitarsi al laissez faire che nessuno ormai teorizza più, bisognerà approfittare di questa circostanza per accelerare le riforme stabili nel tempo e che creare quelle autorità globali sovranazionali che possano agire in questi casi, perchè il lato pubblico – anche questa crisi l’ha dimostrato – è assolutamente indispensabile per il libero mercato, a patto ovviamente che faccia il suo. Sempre più spesso si parla di una nuova Bretton Woods, il dibattito che si sta aprendo al riguardo non verterà perciò se sia accettabile o meno l’intervento stabile dello stato ma sui rapporti che dovranno avere i vari attori del mercato: FMI, le banche, gli analisti, gli hedge funds, i controllori e le agenzie di rating

 

 DEF ANCORA UNA VOLTA PAGA CHI NON SI PUO' DIFENDERE  foto di Acr Ilmilanese.

Riceviamo dal ns socio sostenitore e volontario Enzo Ranieri e volentieri pubblichiamo.

Ancora una volta paga chi non si può difendere; il blocco dei contratti nel pubblico impiego non è solo una doccia fredda ma, arriva dopo 4 anni dall’ultimo rinnovo e dopo 6 anni di mancato adeguamento al costo della vita. Al ministro Madia bisognerebbe ricordare che il taglio delle tasse è un atto dovuto in relazione all’aumento della tassazione l...ocale che in questi anni ha notevolmente ridotto il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti sia pubblici che privati e nulla ha a che vedere con gli aumenti contrattuali e con l'adeguamento dei salari al costo della vita. Mi auguro invece che, nell'ottica della "rottamazione" così tanto invocata dal Presidente del Consiglio, si rottamino questi vecchi modi di fare cassa che l'unico risultato che ottengono è quello di reprimere i consumi e la vita di chi lavora e paga le tasse.

Enzo Ranieri delegato RSU del Comune di Milano. 

Foto: BUONGIORNO FACCIAMO IN MODO CHE LA PACE REGNI SEMPRE NEI NOSTRI CUORI E NON SOLO IN QUESTA RICORRENZA.. BUONA DOMENICA DELLE PALME A TUTTI..!!! �� UN ABBRACCIO E UN SORRISO X TUTTI VOI..������

BUONA PASQUA A TUTTI I VOLONTARI, SOSTENITORI E SOCI DI ACR E CRV!

http://youtu.be/-85aQzqdBFA

foto di Acr Ilmilanese.

Oscar internazionale Nò al bullismo il 2 e il 3 maggio a Sanremo Scuola montessori!

http://www.acraccademia.it/Il%20Sanremese%20pag%201.html

http://www.acraccademia.it/Il%20Milanese%20pag%201.html

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