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Capitan Colabrodo...

Post n°529 pubblicato il 09 Luglio 2019 da MANonTHEmoonMilano
 
Tag: Salvini

Capitan Colabrodo si è impuntato contro la Sea Watch per riuscire a eccitare qualche altra manciata di elettori e intanto a Lampedusa, mentre lui se la prendeva con la capitana Carola Rackete, di migranti ne arrivavano seicento. Seicento buchi nella sua tiritera dei porti chiusi a cui ormai credono solo quelli che vivono appesi ai tweet del ministro dell’interno, in anelante attesa di una sua diretta Facebook per vomitare un po’ di bile sulla sua bacheca e sentirsi così fieramente penultimi nella guerra agli ultimi.

Colabrodo Salvini sa benissimo che quella contro le Ong è una guerra persa. Finge di prendersela per prendere voti ma è consapevole che la Costituzione vieterebbe qualsiasi legge o decreto che impedisca di aiutare gli altri, soprattutto se gli altri stanno in mezzo al mare disossati dalle sevizie libiche, cotti dal sole e infeltriti dal sale. Continuerà a fare la guerra alle Ong finché non riuscirà a raschiare il fondo del barile, ma la sua barzelletta dei porti chiusi e delle frontiere murate è destinata a schiantarsi contro la realtà. La realtà è fatta di leggi e di convenzioni internazionali, non si costruisce con i tweet bavosi del suo staff di stercorari e nemmeno con la retorica venduta per qualche voto al chilo. La realtà è quella riaffermata dal Gip Alessandra Vella: chi salva vite non può essere considerato nemico della Patria,nonostante funzioni per la propaganda. Salvini se ne farà una ragione.

Capitan Colabrodo, del resto, è lo stesso che avrebbe dovuto eliminare le accise sulla benzinaal primo Consiglio dei ministri e invece le accise sono ancora lì e il prezzo della benzina è pronto a salire per salassare gli italiani vacanzieri nei prossimi esodi. Capitan Colabrodo è quello che avrebbe dovuto abolire la legge Fornero e invece la legge Fornero è ancora lì, un po’ imbellettata da Quota 100, che è un salasso per le casse dello Stato e che è riuscita a scontentare anche qualcuno dei suoi elettori. Capolavoro. Capitan Colabrodo è quello che lancia a Fedriga a proporre la pazza idea di un muro di più di 200 chilometri e poi tace mentre quello si ritira subissato dagli improperi dei suoi stessi alleati.

Capitan Colabrodo, del resto, è quello che avrebbe dovuto liberarsi di Bossi e invece se l’è portato in Senato, lui sempre così attento alla legalità degli altri e così distratto sulla legalità dei suoi. Del resto Capitan Colabrodo è riuscito nella mirabile impresa di non farsi sfuggire nemmeno una parola sul processo che parte da un suo compagno di partito, ex sotto segretario di governo, e quel filo rosso che da Arata passa a Nicastri fino alla primula rossa di Cosa NostraMatteo Messina Denaro. Capitan Colabrodo vuole sconfiggere la mafia, difenderci dalle mafie e non è nemmeno riuscito a tenerla lontano dal suo partito, pensa te.

Capitan Colabrodo aveva promesso di non fare attraccare la “sbruffoncella” e invece la Sea Watch è attraccata. Capitan Colabrodo ha promesso (confondendo un po’ i poteri dello Stato) che Carola Rackete sarebbe stata incarcerata e invece niente. Capitan Colabrodo promette che verrà espulsa ma si è dimenticato che anche questa decisione dovrà passare dallamagistratura. Capitan Colabrodo aveva promesso che si sarebbe fatto processare perché quel processo era una medaglia e invece se n'è scappato a gambe levate come un Berlusconi qualsiasi. Capitan Colabrodo aveva promesso di aiutare i terremotati e invece i terremotati sono sempre lì, dentro casette che sono diventati forni, incazzati più di prima. Del resto capitan Colabrodo era quello che voleva mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica (ve lo ricordate?) e invece è diventato un docile agnellino.

Capitan Colabrodo anche sull’immigrazione si è imbarcato (!) in una battaglia persa. Ma quando l’avrà persa forse sarà così pieno di voti da potersi permettere di andare a elezioni un minuto prima. Sarebbe nel suo stile, se ci pensate: non risolvere i malesseri delle persone (non illudetevi, italiani o stranieri a lui non importa) ma lucrarci sopra. Fino all’ultima goccia.

 
 
 

Quanto è dura essere juventini

Post n°528 pubblicato il 08 Aprile 2019 da MANonTHEmoonMilano
 
Tag: juve

​​Il divano ieri sera era molto comodo, ma nessuno alla fine  ha preferito privarsi di tale comodità per andare a festeggiare: Karnezis ha parato anche il tentativo disperato di autorete di Maksimovic e il Genoa ha solo pareggiato a Napoli. Ha provato in tutti i modi anche Sturaro, avvelenato ex dei bianconeri, ha fare in modo che i rossoblu liguri perdessero al San Paolo: niente, nonostante l'entrata assassina su  Allan: Napoli-Genoa è finita 1-1.

Allora sarà  sabato, come da molti previsto, il giorno della festa Scudetto: la cornice saranno i lidi Ferraresi e il piccolo stadio Mazza. In mezzo ci sarà la Champions League, ossessioni di coloro che ieri sul divano volevano stare comodi per poi eventualmente riversarsi sulle strade nella serata di ieri.

E' davvero un brutto periodo per gli juventini. Lo capisco bene, si vince troppo e si da oggettivamente fastidio. Non sono campionati quelli giocati negli ultimi anni, ma monologhi senza pubblico in teatro, ma solo sui social.

Il tifoso bianconero viene visto per strada quasi come un ladro, un criminale. Si deve camminare a testa bassa perché la gente ti urla : "ladri". Una vita di stenti per chi ama questi colori, vincere porta in genere a sentirsi soli, ma mai come in questo caso. C'è una Italia che quando sa che sei juventino quando ti stringe la mano per salutarsi si conta le dita (come diceva Peppino  Prisco),  portafogli  estorti come in marcature a uomo  stile anni cinquanta,  e schermi Var in cui ci sono solo immagini del conto del bonifico spedito all'arbitro di turno per rimanere cieco di fronte alle nefandezze di turno.

E dire che alla Juventus non interessano, e non sono necessari simili aiuti: tutta questa "arbitrarietà" nelle scelte, questo masochismo nel vedere cose che altri non vedono.

E' la triste storia di chi rimane in fuga, per colpa di fatturati di alto livello e di acquisti raramente sbagliati. Una società seria e italiana che ha avuto la colpa di essere di proprietà degli Agnelli che hanno costruito il loro impero, dicono i maligni, grazie alla cassa integrazione e non grazie alle idee. Allora questi crimini dettati dall'invidia dei tifosi di società che non vincono mai e che non sono veramente competitive (con scatole cinesi e finanziatori occulti, con  americani costruttori di stadi mai iniziati e già inquisiti, con imprenditori di pulizie ricchissimi come per miracolo caduto dal cielo) come è possibile sanarli?

Questi bianconeri ormai isolati e reietti nel mondo: cancro del calcio, secondo alcuni,  truffatori e acquisitori di arbitri dall'altro. Un sistema di potere unico che penalizza tutte le squadre  italiane. E sono nati hashtag come #juveout, come se piovesse.

La verità è che  la Juventus è più forte, giochicchia e vince: come con l'Empoli, con il Milan è bastato un solo tempo senza neanche Ronaldo  (che secondo i soliti detrattori si è infortunato per finta...) e  grazie alla stella nascente Kean per ribaltare i rossoneri. Il rigore, scandalosamente lo dico anche io, non dato da Fabbri (incomprensibile) era netto, ma poi sull'azione successiva Bonucci ha regalato la rete alla squadra di Gattuso.  Non sarebbe cambiato nulla.

Tutte le squadre hanno subito errori e torti al Var, più o meno comprensibili, quindi questa dietrologia è ridicola.

Venti punti di vantaggio sulla seconda, una stupenda gara da affrontare con coraggio ad Amsterdam (con o senza Cristiano   Ronaldo, necessario in Europa) e campionato vinto con sette giornate d'anticipo (sei a dire il vero, ma tutto era chiuso da mesi...),  ma ancora qualcuno  parla di complotti.

Bisogna solo andare avanti, cancellare questa dietrologia stupida e dire una cosa sola: la Juventus ha  una forza tale imparagonabile in Italia per chiunque.  Anzi lo juventino vorrebbe Inter, Milan e Napoli più forti, una maggiore competitività. Uccidere la serie A così è deleterio anche per i bianconeri! 

Lo volete capire o no?  Ma questa è un'altra  storia!

 
 
 

Chi sono gli uomini che picchiano le donne

Post n°527 pubblicato il 07 Marzo 2019 da MANonTHEmoonMilano
 

Attende il momento giusto. Si apposta. Tra le mani un bastone. La osserva da lontano, poi si avvicina e colpisce. Una volta, due volte. Continua fino a quando lei non sviene. L’asfalto accoglie il corpo offeso dalla violenza. Lui scappa, sentendo degli occhi indiscreti pronti a fermare quello che si potrebbe tramutare in un omicidio. Sale in auto e va in commissariato. «L’ho picchiata», confessa in un atto liberatorio. «Mi aveva lasciato», spiega. Un’ossessione costante per quella donna, arrivata da un posto lontano. Prima stalker, poi aggressore, subito dopo carcerato. E infine pronto a un percorso di riabilitazione.

 

Uomini normali, uomini misogini, uomini sadici. Padri, mariti, ma prima di tutto figli. Non c’è età. Il motivo, a volte, rimane sconosciuto. Bisogna prendere il loro passato, stenderlo in lunghe sedute di psicoterapia per comprendere da dove e chi ha innestato il virus dell’odio contro le donne che sfocia in offese ripetute, in percosse, in atteggiamenti ossessivi. Secondo gli ultimi dati forniti dall'Istat sono 2 milioni e 800 mila le vittime di violenza da parte di un partner o un ex partner. Una mattanza in crescita che può arrivare all'atto più brutale: il femminicidio.

Percorrono i corridoi del Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti, a volte spinti dalle stesse vittime, in altri casi, rarissimi, capiscono da soli che esiste un problema. Accettano di essere aiutati, ma non prima di aver negato qualsiasi resposanbilità. Le ammissioni arrivano centellinate, ma quando il velo si spezza, il percorso può dar loro di nuovo la dignità di padri, mariti, fidanzati.

Ha più di 30 anni e la tendenza a distruggere ogni rapporti per gelosia retroattiva. Il problema è la presenza degli ex fidanzati. «Duro massimo un mese, poi non riesco ad andare avanti. Voglio imparare ad amare», si è presentato così subito dopo aver pronunciato il suo nome. Colto, raffinato, ma schiavo dell’antica pretesa che una donna deve essere illibata, pura e casta. Difficile distruggere i costrutti mentali, l’arcaica visione.

«Si sentono vittime delle donne che hanno al loro fianco – spiega Andrea Bernetti, responsabile del Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti –, picchiare e offendere diventa una vendetta del loro sentirsi oppressi e non oppressori». La violenza trova una giustificazione, un appiglio per essere legittima. Nelle menti di questi uomini incapaci di amare si instilla la certezza di non essere loro gli aguzzini.

Alla faccia della parità. La mamma stira, non parla di calcio. E nemmeno di porti

Da Collovati a Isoardi, da Emma a Strumia, da Prestigiacomo a Di Battista, pattiniamo su un tappeto di sessismo. Breve rassegna di ciò che le donne non possono dire, e di ciò che invece si sentono dire

Ha più di 40 anni, una carriera brillante, si innamora e dopo quattro anni di relazione, sposa una donna che ha un figlio. Neanche un anno e lei si tramuta in una zavorra da «mantenere», un essere che «è non in grado di allevare quel figlio avuto da una precedente relazione», una donna che gli ruba il tempo, prima dedicato a «cena, uscite con gli amici, aperitivi». Ma lui non ha colpa delle percosse, degli insulti costanti, lui è l’unica vittima. E allora capire il problema diventa difficile, anzi difficilissimo. In alcuni casi quasi impossibile. Il più delle volte sono figli calpestati da genitori poco attenti o violenti. Crescono con l’esempio di un padre che ha vessato la madre, credono che lo schema uomo-padrone e donna-sottomessa possa essere ripetuto, poi le certezze si sgretolano di fronte alla realtà. Il contesto economico non ha importanza: ricchi o poveri, tutti possono essere violenti. La combo letale si manifesta per motivi socio-culturali e, in alcuni casi, relazioni complesse con le proprie compagne.

Ha poco più di trenta anni. È fuggito per il terrore di entrare in un giro sbagliato. Alla violenza fisica preferisce la distruzione di tutto ciò che lo circonda. Non conosce limiti, non ha regole. È convinto che la madre dei suoi figli debba vivere ai margini: non parlare, non intromettersi nelle scelte, non lavorare. La rabbia è costante. Il punto di rottura arriva quando, lei esasperata, chiama il 112. Arrivano i carabinieri e trovano la casa completamente distrutta. I figli vengono portati in una casa famiglia. Lui decide di andare al Centro, lei non lo lascia. Iniziano il percorso insieme. Ma non sempre c'è chi è in grado di perdonare. L'amore per sé stessi e per i figli prevale.

C’è lui, sadico, ipnotizzato dalla distruzione. L’infanzia con una madre che non ha concesso nulla, neanche un incoraggiamento. Inizia una storia con l’intento di maltrattare ogni donna. Una vendetta che si consuma in mesi di sdegno, valige gettate dalla finestra e poi un repentino pentimento che dura il tempo di ricominciare il gioco dall’inizio. Il suo odio lo porta a non riconoscere l’autorità del genere femminile. Ed eccolo mentre rimane muto davanti alla psicologa oppure la paga e fugge via o la insulta per il gusto di farlo. «Molti – sottolinea sempre Andrea Bernetti – si sentono destabilizzati di fronte all’emancipazione femminile, comprendono che questa epoca ha tolto loro il potere dell’autorità. Usano la forza per riportare la società a uno stadio embrionale in cui l’uomo per sentirsi tale non ha bisogno di dimostrare nulla». La donna viene vista madre, oggetto di tentazione, un cosa da possedere senza contraddittorio.

Ha preso una mazza. Ha iniziato a colpirla in testa. La paura costante che lei potesse tradirlo. È un messaggio spedito da un collega che fa esplodere definitivamente la frustrazione. Il tormento diviene quotidiano, fino a quando la maestra del figlio non si rende conto dell’inaspettato. Lui ha tentato la cura, ma la presenza di uno spettro costante lo ha reso prigioniero. Ogni regalo, una violenza se non ripagato con gratitudine. Ogni sorriso, l’inizio di un litigio se percepito poco sincero. Lei è stata contretta ad andare in una casa rifiugio.

Sono solo cinquanta gli uomini che hanno deciso quest'anno di capire come fermare la violenza. «Non si può costringere nessuno – chiosa Andrea Bernetti – ma forse in alcuni casi si potrebbe dare una scelta a queste persone. Chiedere loro se intendono intraprendere un percorso». Ma ancora sembra esserci spazio solo per raptus o “tempeste emotive”, come nella sentenza della Corte d'Appello di Bologna per il femminicidio di Olga Matei.

 
 
 

Senzatetto senza reddito di cittadinanza

Post n°526 pubblicato il 05 Febbraio 2019 da MANonTHEmoonMilano
 

Dieci anni di residenza in Italia, gli ultimi due dei quali continuativi. Peccato che solo 200 comuni italiani su circa 8mila concedano degli indirizzi fittizi, spesso proprio la sede del municipio, per consentire ai senzatetto di ottenere la residenza, la carta d’identità, e dunque accedere ai diversi benefici. Fra i quali, ultimo, il reddito di cittadinanza rispetto al quale assisteremo proprio oggi al lancio del sito internet dedicato (http://www.redditodicittadinanza.gov.it/): Una rivoluzione per il mondo del lavoro, come recita il sottotitolo della homepage.

 

Ma del sito internet importa poco. Quel che importa è che gran parte di chi vive in strada, e più di tutti avrebbe bisogno di un aiuto, non potrà ottenere quella carta e quei soldi. D’altronde, è quello che succede quando le cose si fanno male e di fretta. Il 95% dei senzatetto censiti – secondo l’Istat sono in totale 50.724 – rimarrà escluso dal reddito visto che non dispone di documenti in regola proprio perché, nella stragrande maggioranza dei casi, i comuni non concedono il meccanismo di residenza fittizia.

Così, decine di migliaia di clochard (8mila solo a Roma, la metà dei quali italiani, il 42% su scala nazionale), privati di questi domicili virtuali, saranno di fatto esclusi dalla principale misura con cui il governo giallobruno intende, nell’ordine, sconfiggere la povertà, rilanciare il Pil del 2019 (mentre il Paese è già precipitato in recessione tecnica) e trovare lavoro a non si capisce quanti milioni di italiani.

Molti comuni si stanno attrezzando. A Milano, per esempio, l’esperimento di residenza fittizia in alcune case comunali sarà esteso: nel capoluogo lombardo sono stati 300 gli homeless che nel corso degli ultimi mesi si sono registrati al Cam Garibaldi. L’amministrazione Sala intende estendere la pratica a tutta la città con quattro nuovi sportelli in diverse zone, dalla 4 alla 8. A Roma dal 2017 chiunque avesse residenze fittizie per esempio in un ente caritatevole, dalla Caritas alla Comunità di Sant’Egidio al Centro Astalli, ha dovuto trasferirla all’indirizzo virtuale (perché inesistente) di via Modesta Valenti dal numero 1 al 15, quanti sono i municipi della Capitale. Ma si tratta solo delle due principali città italiane: 7.800 comuni rimangono sprovvisti di simili soluzioni e dunque tagliano migliaia di persone dal diritto di voto, dai documenti d’identità e dalle relative certificazioni, dai contributi o dalle prestazioni sanitarie – dai Centri di salute mentale ai consultori fino ai Sert – e appunto dallo strombazzato reddito di cittadinanza.

Così, mentre il decreto sicurezza raddoppia le pene per chi occupa strutture abbandonate per difendersi dal freddo (da due a quattro anni con i comuni che hanno tardato a lanciare i piani ad hoc) e per l’accattonaggio molesto, il principale meccanismo di welfare targato 5 stelle parte con unalacuna enorme. Una tipica contraddizione populista. Aver dimenticato per strada, nel vero senso della parola, la parte più fragile della società.

Sembra un fenomeno piccolo, limitato all’esercito di invisibili che vive nei sacchi a pelo fra sottopassaggi, piazze, portici e centri d’accoglienza. Eppure è una delle prove tangibili del modus operandi del governo. Anticipa, fra l’altro, il caos che si verificherà a breve con i centri per l’impiego – che caricheranno altri 4mila dipendenti – e l’Anpal, che invece dovrà accogliere 6mila “navigator” precari. Partire a ogni costo, in una corsa più elettorale e propagandistica che politica, senza voler “fare bene” ma volendo fare solo per comunicare. Per organizzare lo show della carta e del sito. Anche se ci vorrebbe tempo e confronto per organizzare un’azione davvero efficace.

Nel caso dei senzatetto, per esempio, già la legge anagrafica del 1228/1954e il regolamento anagrafico del 1989 modificato nel 2015 prevedono che “nell’anagrafe della popolazione residente sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel Comune la residenza, nonché le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio”. Volendo, anche con una residenza fittizia “equivalente in valore giuridico”. Tutte queste informazioni sono raccolte nel Registro delle persone senza fissa dimora di cui è titolare il Dipartimento per gli affari interni e territoriali, in particolare la Direzione centrale per i servizi demografici al ministero dell’Interno.

Questo per dire che, volendo, l’esecutivo Conte avrebbe avuto a disposizione le cifre ufficiali sia dei senzatetto complessivi (stimate dall’Istat) che di quelli “coperti” dalla residenza, raccolti nel registro, e avrebbe così potuto rendersi conto della situazione e avviare un’azione di sensibilizzazionecontro le resistenze dei comuni nel concedere residenze fittizie o iscrizioni anagrafiche tout court. Per esempio nel periodico confronto con l’Anci, l’associazione dei comuni.

Non è stato fatto e adesso lancia un reddito di cittadinanza che oltre che dal reddito continua a estromettere tante persone dalla stessa cittadinanza. Solo per l’ansia di dare risposte a un elettorato famelico. “Folle partire in tempi così stretti – ha spiegato Cristina Avonto, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza fissa dimora, aRepubblica – le misure sono tagliate con l’accetta per avere subito risultati. Vince il cittadino abile, nessuna tutela dei più fragili”.

 
 
 

Toh, chi si rivede, la manovra del cambiamento

Post n°525 pubblicato il 18 Gennaio 2019 da MANonTHEmoonMilano
 
Tag: rdc

Toh, chi si rivede, la manovra del cambiamentoSono passati quasi quattro mesi dal giorno in cui Di Maio e i ministri Cinque Stelle si affacciarono dal balcone di Palazzo Chigi per festeggiare il 2,4% di deficit, i 9 miliardi per il reddito di cittadinanza, i 7 miliardi per Quota 100, una crescita stimata all’1,5% e il consenso siderale di un Paese che sembrava aver di fronte gente che manteneva le promesse, pure quelle che sembravano quasi irrealizzabili.

A distanza di quattro mesi quelle immagini sembrano lontane anni luce. Il deficit, dopo un tira e molla infinito, è sceso dal 2,4% al 2%, di fronte alla minaccia di procedure d’infrazione europee. Le prospettive di crescita si sono infrante sul muro dei dati, che parlano di un Paese fermo, sull’orlo della recessione. Lo spread, come aveva ahilui promesso il ministro-martire Giovanni Tria si è mangiato buona parte dell’extra deficit del governo. Del reddito e di Quota 100 invece si sono perse le tracce, erose giorno dopo giorno dai passi indietro del governo, dai dubbi della ragioneria di Stato, dalla necessità di ritardarne la partenza, per risparmiare qualche euro sul bilancio 2019.

E invece no, rieccole: oggi, al più tardi domani dovrebbe essere il gran giorno dell’approvazione in Consiglio dei Ministri delle due misure bandiera di Lega e Cinque Stelle,l’abbattimento della Legge Fornero e il sussidio universale al reddito che avrebbe abolito la povertà. Ecco: se quattro mesi fa eravate rimasti a queste definizioni, forse vi conviene sedervi. Perché quel che oggi sarà approvato dal Conte e colleghi di quegli annunci mantiene giusto il nome, per una questione di marketing. Il contenuto, invece, è piuttosto diverso.

Partiamo da Quota 100, che alla Legge Fornero fa il solletico, e nemmeno troppo. Primo: è una finestra di tre anni, e nulla più: dal 2019 e fino al 2021. Dal 2022, a quanto si dice, l’obiettivo sarà Quota 41 (anni di contributi). Ma sono solo voci. Secondo: costa 4,7 miliardi - compreso il rinnovo dell’Ape sociale opzione donna - anziché i 7 previsti nelle prime bozze di manovra, che dovevano essere 13 il primo anno (e 20 a regime) se si fossero seguiti alla lettera i programmi elettorali. Terzo: Quota 100 vuol dire 62 anni di età e 38 di contributi e non è, come si pensava nei giorni del voto, una somma componibile a piacimento. Quarto: se si va in pensione con Quota 100 ci sono penalizzazioni, anche piuttosto pesantiÈ logica, del resto: se vai in pensione prima, paghi meno contributi e ricevi meno stipendi. Strano che in campagna elettorale non l’abbia ricordato nessuno.

Anche sul reddito di cittadinanza, la china è quella: doveva essere la bomba atomica dei conti pubblici italiani, il sussidio per gli sdraiati sul divano, il grande furto dei lavoratori del Nord in favore dei disoccupati del Sud. Si è rivelato il classico brodino all’italiana, con le clausole scritte in piccolo, in fondo al contratto, come quanto si compra una vacanza a rate. Anche in questo caso, partiamo dalle cifre: dovevano essere 11 miliardi di euro, sono scesi a 9 e sono arrivati a poco meno di 5, nei quali rientra anche il miliardo da spendere per rivitalizzare i centri per l’impiego che avrebbero dovuto costituire l’architrave delle politiche attive per il lavoro. Meno soldi può voler dire tante cose: una platea più ristretta, inizialmente era stimata in 6,5 milioni di persone, un assegno più misero rispetto ai 780 euro promessi, criteri più stringenti per accedere al programma. Nel caso del reddito di cittadinanza di Di Maio - che nemmeno è un reddito di cittadinanza, ma un reddito minimo garantito: battaglia persa, ci arrendiamo - vuol dire tutte e tre le cose. Ed è questo, soprattutto, il motivo dei continui rinvii.

La cosa buffa, da domani, sarà vedere le reazioni degli italiani. Di fronte hanno due provvedimenti che degli originali mantengono solo il nome. E che, nei fatti, non cambieranno la vita né dei disoccupati, né dei pensionati, non più di quanto farà (in negativo) il rallentamento dell’economia. Andrà tutto bene così, ai nostri? Basterà loro sapere che nella forma i patti sono stati rispettati? Si accontenteranno di sapere che gli sbarchi si sono fermati e che Morales e Bolsonaro ci hanno regalato un Cesare Battisti nuovo di zecca su cui sfogare i nostri cinque minuti d’odio quotidiani? Oppure apriranno gli occhi? Si accettano scommesse.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: MANonTHEmoonMilano
Data di creazione: 30/12/2009
 
 

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