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« Senzatetto senza reddito...Quanto è dura essere juventini »

Chi sono gli uomini che picchiano le donne

Post n°527 pubblicato il 07 Marzo 2019 da MANonTHEmoonMilano
 

Attende il momento giusto. Si apposta. Tra le mani un bastone. La osserva da lontano, poi si avvicina e colpisce. Una volta, due volte. Continua fino a quando lei non sviene. L’asfalto accoglie il corpo offeso dalla violenza. Lui scappa, sentendo degli occhi indiscreti pronti a fermare quello che si potrebbe tramutare in un omicidio. Sale in auto e va in commissariato. «L’ho picchiata», confessa in un atto liberatorio. «Mi aveva lasciato», spiega. Un’ossessione costante per quella donna, arrivata da un posto lontano. Prima stalker, poi aggressore, subito dopo carcerato. E infine pronto a un percorso di riabilitazione.

 

Uomini normali, uomini misogini, uomini sadici. Padri, mariti, ma prima di tutto figli. Non c’è età. Il motivo, a volte, rimane sconosciuto. Bisogna prendere il loro passato, stenderlo in lunghe sedute di psicoterapia per comprendere da dove e chi ha innestato il virus dell’odio contro le donne che sfocia in offese ripetute, in percosse, in atteggiamenti ossessivi. Secondo gli ultimi dati forniti dall'Istat sono 2 milioni e 800 mila le vittime di violenza da parte di un partner o un ex partner. Una mattanza in crescita che può arrivare all'atto più brutale: il femminicidio.

Percorrono i corridoi del Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti, a volte spinti dalle stesse vittime, in altri casi, rarissimi, capiscono da soli che esiste un problema. Accettano di essere aiutati, ma non prima di aver negato qualsiasi resposanbilità. Le ammissioni arrivano centellinate, ma quando il velo si spezza, il percorso può dar loro di nuovo la dignità di padri, mariti, fidanzati.

Ha più di 30 anni e la tendenza a distruggere ogni rapporti per gelosia retroattiva. Il problema è la presenza degli ex fidanzati. «Duro massimo un mese, poi non riesco ad andare avanti. Voglio imparare ad amare», si è presentato così subito dopo aver pronunciato il suo nome. Colto, raffinato, ma schiavo dell’antica pretesa che una donna deve essere illibata, pura e casta. Difficile distruggere i costrutti mentali, l’arcaica visione.

«Si sentono vittime delle donne che hanno al loro fianco – spiega Andrea Bernetti, responsabile del Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti –, picchiare e offendere diventa una vendetta del loro sentirsi oppressi e non oppressori». La violenza trova una giustificazione, un appiglio per essere legittima. Nelle menti di questi uomini incapaci di amare si instilla la certezza di non essere loro gli aguzzini.

Alla faccia della parità. La mamma stira, non parla di calcio. E nemmeno di porti

Da Collovati a Isoardi, da Emma a Strumia, da Prestigiacomo a Di Battista, pattiniamo su un tappeto di sessismo. Breve rassegna di ciò che le donne non possono dire, e di ciò che invece si sentono dire

Ha più di 40 anni, una carriera brillante, si innamora e dopo quattro anni di relazione, sposa una donna che ha un figlio. Neanche un anno e lei si tramuta in una zavorra da «mantenere», un essere che «è non in grado di allevare quel figlio avuto da una precedente relazione», una donna che gli ruba il tempo, prima dedicato a «cena, uscite con gli amici, aperitivi». Ma lui non ha colpa delle percosse, degli insulti costanti, lui è l’unica vittima. E allora capire il problema diventa difficile, anzi difficilissimo. In alcuni casi quasi impossibile. Il più delle volte sono figli calpestati da genitori poco attenti o violenti. Crescono con l’esempio di un padre che ha vessato la madre, credono che lo schema uomo-padrone e donna-sottomessa possa essere ripetuto, poi le certezze si sgretolano di fronte alla realtà. Il contesto economico non ha importanza: ricchi o poveri, tutti possono essere violenti. La combo letale si manifesta per motivi socio-culturali e, in alcuni casi, relazioni complesse con le proprie compagne.

Ha poco più di trenta anni. È fuggito per il terrore di entrare in un giro sbagliato. Alla violenza fisica preferisce la distruzione di tutto ciò che lo circonda. Non conosce limiti, non ha regole. È convinto che la madre dei suoi figli debba vivere ai margini: non parlare, non intromettersi nelle scelte, non lavorare. La rabbia è costante. Il punto di rottura arriva quando, lei esasperata, chiama il 112. Arrivano i carabinieri e trovano la casa completamente distrutta. I figli vengono portati in una casa famiglia. Lui decide di andare al Centro, lei non lo lascia. Iniziano il percorso insieme. Ma non sempre c'è chi è in grado di perdonare. L'amore per sé stessi e per i figli prevale.

C’è lui, sadico, ipnotizzato dalla distruzione. L’infanzia con una madre che non ha concesso nulla, neanche un incoraggiamento. Inizia una storia con l’intento di maltrattare ogni donna. Una vendetta che si consuma in mesi di sdegno, valige gettate dalla finestra e poi un repentino pentimento che dura il tempo di ricominciare il gioco dall’inizio. Il suo odio lo porta a non riconoscere l’autorità del genere femminile. Ed eccolo mentre rimane muto davanti alla psicologa oppure la paga e fugge via o la insulta per il gusto di farlo. «Molti – sottolinea sempre Andrea Bernetti – si sentono destabilizzati di fronte all’emancipazione femminile, comprendono che questa epoca ha tolto loro il potere dell’autorità. Usano la forza per riportare la società a uno stadio embrionale in cui l’uomo per sentirsi tale non ha bisogno di dimostrare nulla». La donna viene vista madre, oggetto di tentazione, un cosa da possedere senza contraddittorio.

Ha preso una mazza. Ha iniziato a colpirla in testa. La paura costante che lei potesse tradirlo. È un messaggio spedito da un collega che fa esplodere definitivamente la frustrazione. Il tormento diviene quotidiano, fino a quando la maestra del figlio non si rende conto dell’inaspettato. Lui ha tentato la cura, ma la presenza di uno spettro costante lo ha reso prigioniero. Ogni regalo, una violenza se non ripagato con gratitudine. Ogni sorriso, l’inizio di un litigio se percepito poco sincero. Lei è stata contretta ad andare in una casa rifiugio.

Sono solo cinquanta gli uomini che hanno deciso quest'anno di capire come fermare la violenza. «Non si può costringere nessuno – chiosa Andrea Bernetti – ma forse in alcuni casi si potrebbe dare una scelta a queste persone. Chiedere loro se intendono intraprendere un percorso». Ma ancora sembra esserci spazio solo per raptus o “tempeste emotive”, come nella sentenza della Corte d'Appello di Bologna per il femminicidio di Olga Matei.

 
 
 
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Un blog di: MANonTHEmoonMilano
Data di creazione: 30/12/2009
 
 

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