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Racconti&altro

Le storie di Alberto Guarneri Cirami: i suoi romanzi, i suoi racconti e il suo teatro.

 

 

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I Racconti di Guarneri Cirami: L'ultima volta...Giulia...

Post n°1003 pubblicato il 09 Agosto 2012 da guarneri.cirami
 

Giulia dormiva: il giovane corpo morbidamente avvolto nel lenzuolo bianco di lino. Dormiva, rannicchiata con le mani giunte sotto una guancia. Un boccolo nero le scendeva tra gli occhi chiusi e le lunghe ciglia, forse inconsapevoli custodi di un bel sogno. Un sorriso faceva fremere le sue labbra sottili, scoprendo quel dentino appuntito con il quale, poco prima, nella furia di quella passione mai spenta, aveva inciso promesse di amore eterno nel cuore smarrito del suo ragazzo

Questi, mentre vegliava incredulo quel sonno beato e innocente, sentiva il suo animo invaso da un sentimento di tenerezza, mai avvertito prima, per quella creatura che gli si era affidata senza remora alcuna, tanto da essere tentato da un’idea sciocca, folle, irrealizzabile nella sua attuale condizione esistenziale: sposare, magari in chiesa, quella indisciplinata, insofferente bambina, avere da lei dei figli…

Se l’ignara Giulia – sin dall’inizio della loro storia, in ugual misura, intrigata e turbata dal modo di essere di Andrea, così diverso dai suoi coetanei, e dalla differenza di età esistente tra loro -  avesse potuto leggere nei suoi pensieri, sarebbe di certo fuggita da quel letto prima del sorgere del sole.

Sarebbe così svanita nello stesso inatteso modo con il quale si era materializzata, nel pomeriggio del giorno prima, dopo un anno di lontananza e di apparente disamore, spinta fino a lui da una forza alla quale, malgrado le resistenze del suo amor proprio, non aveva saputo opporsi.

 

Col sole negli occhi, Andrea, appena rientrato dal terrazzo da dove aveva assistito all’ultimo carico del suo mobilio, non aveva subito realizzato che quella giovane donna titubante sulla soglia della sua casa potesse essere Giulia. Poi, riconosciutala, aveva voluto pensare ad un gioco crudele della sua fantasia. Ma non v’era dubbio alcuno: la sua ex ragazza era proprio lì dinanzi a lui, dolce incarnazione dei suoi più segreti pensieri. Alla fine dovette deglutire due volte e schiarire la voce prima di invitarla ad accomodarsi.

Giulia  entrò e, nel farlo, girò, stranita, più volte su se stessa…Sentì, allora, con una stretta al cuore, di essere affezionata a quella casa. Ora, da qualsiasi punto di vista ella osservasse l’appartamento, questo le appariva tristemente spoglio, già irrimediabilmente abbandonato dalla vita, dai pensieri, dai progetti dei suoi vecchi padroni.

- Non c’è di bisogno che ti scomodi a cercarmi una sedia, Andrea, sarà una visita breve…passavo di qui, e mi sono ricordata che non mi hai più restituito quel libro di Hesse…- riuscì a dire tutto di un fiato, mentre le sue labbra si fabbricavano un sorriso rassicurante.

Andrea, però, già tornava con l’unica sedia rimastagli e non faticò molto, poi, a convincere la giovane a sedersi per qualche istante: giusto il tempo di prenderle il libro che aveva richiesto. A questa ricerca egli si dedicò con una cura tanto esagerata, quanto inutile: sapeva benissimo che il libro non si trovava più in quella casa.

- Andrea, così parti..? – chiese Giulia facendosi di brace, mentre con le dita tentava invano di rendere liscia una ciocca di capelli.

- L’hai saputo allora… chi te lo ha detto? 

Andrea aveva smesso di cercare ed ora stava appoggiato alla parete ormai spoglia. Solo il ritratto dalla cornice dorata di suo nonno, il professore Nené Buriani, pendeva sulla sua testa.

- Nessuno di preciso me lo ha detto, Andrea. Lo sai anche tu, il paese è piccolo e le voci circolano…- rispose Giulia con un filo di voce, mentre continuava a dondolare senza posa la sua gamba accavallata. Con la testa china ella pareva seguire con interesse il viaggio di una formica lungo la fuga dell’impiantito.

- Ho venduto la casa sai… sono già stato dal notaio per la firma. Questa notte sarà l’ultima che passerò qui. Domani lascerò le chiavi in portineria per il nuovo proprietario e poi via verso una nuova vita…almeno così spero. - la informò Andrea, che non riusciva a star fermo e gettava il suo sguardo curioso oltre l’infisso, al di là del ballatoio. Sulla piazza antistante stava partendo un camion carico di mobilia.

Stupiva dolorosamente Giulia quel viso scioccamente ilare, quel fare ancora una volta sconsiderato del suo ex ragazzo. Nulla dunque era cambiato? Andrea aveva finito per sperperare i beni lasciatigli dalla madre, così come il denaro ereditato dal padre, ed ora, nell’ultimo atto di quel suo folle gioco, era arrivato a vendere la casa, costata alla madre tutta una vita di sacrifici. Nenè Buriani, dall’alto della sua cornice dorata, nell’avvilente deserto di quella parete scippata d’ogni simulacro di vita passata, sembrava condividere le amare riflessioni di Giulia e fissare con uno sguardo severo quel nipote degenere.

- Così Andrea, ora che hai venduto tutto, che farai, vivrai di rendita? – riprese   Giulia con un tono di voce che non riusciva a nascondere la sua delusione.

- Mi prendi in giro? Le esperienze negative del mio recente passato non sono state inutili. So di camminare sull’orlo di un baratro. Un altro passo sbagliato e sarà la rovina. Non posso permettermi di dilapidare anche i soldi di questa vendita! – sbottò Andrea, cominciando a camminare in lungo ed in largo per la stanza.

- Con una parte di essi ho ricomprato la casa perduta, la casa di via Gamez, che fu di mio nonno Nenè, e prima di lui del mio bisnonno Alfonso, nel cuore della vecchia Girgenti - continuò fermandosi dinanzi a lei. - Si, Giulia, proprio quella casa di cui ti parlava sempre mia madre: il suo eterno rimpianto! Dopo la morte prematura del marito, infatti, mia nonna non volle cedere alle pressioni del cognato, comproprietario insieme a lei ed ai suoi figlioli, per vendere la casa ad un prezzo stimato vantaggioso. La casa era però indivisibile e la nonna, titolare di una misera pensione sociale, non aveva i soldi per acquistare la quota del cognato. Fu così trascinata in una lunga causa civile nella quale finirono per prevalere le ragioni del cognato. Mia nonna ed i suoi figli rimasero con un pugno di mosche in mano: la casa fu venduta dal Tribunale e le spese per i miei superarono la quota del ricavato della vendita…

- Quindi torni al tuo paese… sembra proprio una bella favola! – esclamò Giulia dopo un lungo imbarazzante silenzio. Tuttavia le sue felicitazioni suonavano false. Educata al realismo ed alla sobrietà del padre, si chiedeva avvilita se oltre alla prodigalità, un’altra malattia, una forma pericolosa di nostomania, avesse preso possesso dello spirito fragile di Andrea.

- Non è come pensi tu! – sembrò volerla rassicurare Andrea, scotendo vivacemente la testa. – Non è poesia, non è il mio solito stravagante romanzo sentimentale. Qualcuno mi ha detto che ho del coraggio a ricominciare tutto da capo; altri mi hanno dato del matto. Forse invece, dopotutto, la mia è solo una fuga, una resa. Ma finalmente ho fatto i conti con la realtà. La verità è che come assicuratore sono una frana. In agenzia qualcuno ha invano cercato di fare di me, spendendo centinaia di notti bianche, un brillante venditore di polizze vita, di risparmio gestito. Ma, dimmi, che fiducia puoi infondere alla tua potenziale clientela, quando non sai innanzitutto vendere te stesso, quando vengono a mancarti autostima e ottimismo nell’affrontare la vita. No, Giulia, questo lavoro non mi condurrà a nulla. Esso è per me  solo fonte continua di avvilimento. Non ho futuro in questo paese. Poi tu mi conosci, non sono capace di mendicare favori… Da Girgenti invece ho ricevuto un’interessante proposta di lavoro. Si tratta di un notaio, vecchio amico dei miei zii Brucculeri. Ci siamo incontrati qualche giorno fa… ha bisogno di un assistente che sappia di diritto. È un buon posto, Giulia. Sistemerò i miei conti e starò finalmente un po’ tranquillo. Chissà poi, da cosa nasce cosa… Potrei rimettere la testa sui libri e tentare uno di quei concorsi che, se lo si vince, ci si mette a posto per tutta la vita.

“Che chiacchierone!” pensava Giulia, mentre un involontario sorriso nasceva sulle sue labbra. Sì, Andrea sembrava tornato proprio il sognatore dei primi tempi della loro storia. Osservandolo in quel suo smanioso modo di fare, in quella sua gestualità timida e buffa, ella non poté fare a meno di pensare ad una foto di lui ragazzino, di cui non si era mai disfatta. Così non riuscì più ad essere in collera con lui. Anzi sentì, turbata, che un moto di simpatia, di tenerezza, insieme ad un’incontenibile, imbarazzante rossore, le saliva su dalle viscere, dove continuava a custodire la memoria di quel suo grande amore.

- Dovevi restituirmi qualcosa, è vero Andrea? – chiese allora cercando con un sorriso di fugare quello struggimento, che di nuovo pareva tornare a tormentarle l’anima.

 - Oh, scusami Giulia… il fatto è che credevo che il “nostro Hesse” fosse lì in quella scatola di cartone, tra le foto dei miei parenti. Ma ora rammento che l’ho spedito già a Girgenti in un pacco insieme ad altri libri…Vorrà dire che te lo manderò per posta tra qualche giorno.

- Il “nostro Hesse”…- ripeté Giulia, mentre trasaliva all’evocazione di quelle letture fatte insieme. – No, no Andrea, tienilo pure tu. Tienilo per mio ricordo…

La giovane si era nel frattempo alzata e, senza attendere la risposta di Andrea, era uscita fuori, sul ballatoio. Lo sforzo fatto per trattenere un improvviso bisogno di piangere, quasi non la faceva respirare. Aveva bisogno dell’arietta garrula e profumata di quel tiepido pomeriggio primaverile per stare meglio e mettere ordine nella sua testa.

 Rientrò qualche tempo dopo, quando il sole, al tramonto, rosseggiava qua e là sui cornicioni dei palazzi, mentre il resto del paese ingrigiva tutto intorno. Giulia, adesso, rabbrividiva nel suo vestito di jeans smanicato. Sentiva però che una grande serenità aveva pervaso il suo animo, ed era grata ad Andrea di averla lasciata tranquilla a sbollire i suoi nervi senza far domande. Lui, infatti, aveva continuato il suo lavoro di imballaggio, e adesso mostrava a Giulia le vecchie foto dei suoi parenti, che andava incollando in un album.

   - Che belle però! Che bel campionario di affascinante gioventù, - osservò Giulia. – Ogni volta che le vedo è come se fosse la prima. Hanno sempre la capacità di suscitare in me lo stesso forte sentimento di commozione, la medesima inquietudine…

 - Sarà forse – disse Andrea - per quei loro sguardi brillanti d’una giovinezza fiera e temeraria, per quella luce donata ad essi dall’illusione dell’immortalità, dall’innocenza delle loro anime. È così struggente il contrasto tra la realtà e la favola di quella splendida, remota primavera della loro vita…

  - Tutto questo dovrebbe svelarci la vanità di molte nostre azioni, l’architettura di sabbia di tanti nostri pomposi progetti…

  - Eh si, Giulia, il tempo, la morte, paradossalmente, sono severi ed impareggiabili maestri di vita. Ho letto da qualche parte che il dolore è il megafono di Dio, che ci scuote dalla nostra indifferenza e dal nostro egoismo; che Dio non ci vuole felici ma responsabili e coraggiosi. La vedi, Giulia, questa casa vuota? Non ho più nulla, tranne che i miei libri e quelle foto. Saranno forse loro ad insegnarmi il coraggio e la dignità che, ahimè, per troppo tempo mi sono mancati…

- Vedi Andrea, quello che dici è bellissimo. Tuttavia voglio raccomandarti di vivere, di andare avanti! Sei ancora giovane e dovresti volare. Ho paura, invece, che tu rimanga pietrificato qui tra i tuoi fantasmi.  Tu hai bisogno della compagnia dei vivi, del loro affetto, della loro amicizia…

- Giulia, ti prego, non andar via! - la pregò con una voce strozzata, che stentava a riconoscere come sua.

Ella, sull’uscio di casa, già lo salutava nascondendo dietro il suo bel sorriso lo         struggimento che le opprimeva il cuore. A quell’inatteso richiamo di Andrea però i suoi occhi s’illuminarono e divennero più grandi, come ai bei tempi del loro innamoramento, quasi a volerlo riaccogliere ed immortalare nell’anima, al di là dell’effimero movimento dei loro corpi nel moto ondoso dell’esistenza.

Giulia, così, ritornò a lui con la stessa felice incoscienza, che s’irradiava dal suo viso quando Andrea era il suo Dio e lei una ragazzina di quindici anni con la testa sballata per la dance music ed il cuore pieno di canzonette. Camminava verso di lui trasfigurata dal suono di mille poesie, dal pathos dei tanti romanzi che Andrea custodiva nella memoria. 

Ora che Giulia gli stava di nuovo così vicina, tanto da risentire la dolce flagranza del suo giovane corpo sotto quelle vesti leggere, Andrea, con la mente paralizzata ed il corpo fremente, provò il desiderio di tornare a carezzare quei seni tondi, appena velati dalla “maglietta fina”  della loro storica canzone.

Tuttavia egli non osò rompere l’incanto del silenzio, della loro muta, reciproca  contemplazione, ed accolse commosso, con gli occhi velati dalle lacrime, la testa di Giulia abbandonata sul suo petto. Stettero così a lungo abbracciati tra i bagagli, circonfusi dagli ultimi bagliori del sole al tramonto, nella precaria situazione di quella grande casa vuota, così simile alla sala d’aspetto d’una stazione sperduta, felici per il loro amore ritrovato e tuttavia tormentati dalla paura di perdersi ancora a causa di quella nuova separazione.

- Vieni con me, Giulia… partiamo insieme, ti prego! Io sono cambiato. Abbi un po’ di  fiducia!

- Andrea, non ti inquietare, ma non posso seguirti. Almeno per ora…devo laurearmi. E poi non voglio dare un dolore a mio padre.

- Sempre tuo padre tra noi. Ed io non conto niente? Io ho bisogno di te!

- Tu hai bisogno innanzi tutto di un lavoro che ti dia sicurezza, che ti faccia acquistare un po’ di fiducia in te stesso! Non avercela con mio padre. Un giorno tu e lui vi conoscerete e vi apprezzerete. Credimi! Abbi fiducia! Quando meno te lo aspetti, mi vedrai arrivare da te a Girgenti. E quel giorno, mi condurrai tra i tuoi templi dorati alla ricerca del lussureggiante giardino del tiranno, dell’antico emporio tra il fiume ed il mare…

- Oh, Giulia, tu ricordi tutte le mie storie.

-  Certo, Andrea! Le conservo tutte dentro di me, nella mia anima

insieme al loro tenero narratore. E’ per questo che non potrò mai abbandonarti, sta   tranquillo! Avrei rimorso, amico mio, a lasciarti solo nel caos delle tue tante vite, delle tue città perdute. -

 In quel momento  Giulia alzò il viso verso di lui e si baciarono a lungo.

      Si amarono, con passione e struggimento, come se quella fosse la loro ultima notte, su una brandina da campeggio, nell’alcova che era stata della madre di Andrea: dove non si era mai celebrato l’amore santo ed infelice dei suoi poveri genitori.

Così il ricordo della castità della madre, della terra infeconda di quel grande letto senza marito e senza amore, turbarono Andrea che, placata la passione, fuggì via dall’abbraccio del corpo ancora caldo, fremente di Giulia. Quei gesti d’amore, generati dalla corrispondenza, dalla comunione delle loro anime, ora gli parevano sporchi, corrotti dalla lussuria. La dolce pressione dei seni tondi di Giulia contro il fondo del lettino, l’abbandono del capo, della schiena, dei glutei, appena affioranti dalla spuma bianca del letto, su quel brandello di effimera felicità, ora gli sembravano quadri ispirati dalla lascivia. Quei gesti, quelle immagini gli apparivano come una profanazione della memoria della madre: la memoria del suo sacrificio, della continua mortificazione a cui ella aveva sottoposto la sua bellezza e la sua femminilità…

Giulia allora, nella sua innocente e naturale fame d’amore, lo richiamò a sé, rimproverandolo dolcemente. Egli ammansito si sedette a terra, ai bordi del lettino e, posando la testa sul ventre di lei, mentre si lasciava carezzare il viso e i capelli, ascoltò in pochi minuti l’intera storia della famiglia di Giulia.

 - Tutto qui? – chiese alla fine  meravigliato.

 - Si, tutto qui, lo giuro. Tutto del resto è filato sempre liscio nella mia famiglia: tutta gente longeva e fortunata, così negli affetti familiari come nel lavoro. Non c’è granché da raccontare, se non la solita banale, ma rassicurante, sequenza di eventi che caratterizzano una vita normale.

Andrea, nel frattempo, si era disteso accanto a lei. Ora risentiva la dolce, calda pressione dei suoi seni, del suo ventre sul petto e sulle cosce e, smarrito, si prefigurava la nostalgia, lo struggimento dei giorni a venire, quando quella notte si sarebbe trasformata nell’irrealtà di un ricordo. La crisi era passata, le chiacchiere, gli sguardi di Giulia, carichi di comprensione ed affettuosa indulgenza, lo avevano rasserenato. Ora non pensava più a fuggire da lei e trovava tenero e commovente il loro stare stretti, stretti su quel lettino cigolante; romantico e surreale il caldo mormorio della giovane dentro il suo orecchio.

Così quando Giulia gli chiese di raccontargli ancora le vicende dei parenti immortalati nelle foto, di quei piccoli dei rinnegati da una sorte irriverente  -  i cui nomignoli, buffi e teneri, che coi veri nomi nulla avevano da spartire, facevano sorridere la ragazza -, egli non si fece pregare…

Andrea aveva finito di narrare da un pezzo le sue storie e Giulia ora dormiva: il giovane corpo  avvoltolato nel lenzuolo di lino ricamato da Franca Buriani per le sue nozze con Tullio Forziati,  lu cuntinintal i, il padre di Andrea.

Poco prima di addormentarsi, commossa dalle vicende raccontate da Andrea, nel precario equilibrio della loro brandina, ella si era aggrappata forte al collo del suo ragazzo, cercando ancora carezze dalle sue mani grandi, riparo nella sua carne palpitante…

 

Per timore di risvegliarla troppo presto da quel suo sonno sereno, Andrea si era alzato. Era troppo agitato per riuscire a dormire.

Col viso appoggiato alla finestra, di fronte a quella notte nera senza stelle, senza che si vedesse un’anima viva per le strade, si era ritrovato a pensare con sgomento, per un tempo indefinibile, ai suoi giorni futuri a Girgenti.

Contemplando, di tanto in tanto, la sua Giulia, coi boccoli sparsi sul cuscino ed il sorriso sulle labbra socchiuse, gli veniva a mancare il coraggio di allontanarsi da lì.  Aveva paura di perderla di nuovo e per sempre. E tuttavia doveva farlo! Doveva partire! Questo lo capiva! Era questione di dignità, via!

All’improvviso, però, mentre egli si trovava ancora impantanato in quei suoi vani ragionamenti, udì Giulia parlare nel sonno, mormorare il suo nome. E voltatosi verso la brandina, la vide che lo cercava a tentoni, ancora stordita dal sonno, lì  accanto a sé.

Solo quando ella gli offrì la sua bocca ed il suo corpo ancora caldi di sonno, solo quando, sfuggendo a quello spaventoso silenzio, a quel nero incantesimo di morte, poté suggere baci dal giovane cuore di Giulia,  dove la vita prodigiosamente batteva, Andrea sentì di essere salvo…

 

 
 
 
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