Creato da guarneri.cirami il 18/07/2009
 

Racconti&altro

Le storie di Alberto Guarneri Cirami: i suoi romanzi, i suoi racconti e il suo teatro.

 

 

RACCONTI DI GUARNERI CIRAMI: L'OTTAVA MERAVIGLIA

Post n°1037 pubblicato il 02 Settembre 2013 da guarneri.cirami
 

     

     

     

    “Non credo affatto ai marziani, Dulcinea. Non c'è pianeta più bello e pazzesco della Terra. E credo che Dio l'abbia creata proprio per l'uomo: la sua creatura più perfetta, fatta a sua immagine e somiglianza! Lasciami dire, Dulcinea, lo so che esistono anche gli idioti e purtroppo i serial killers! Ma ti rendi conto di quanto sia egualmente stupefacente questo pianeta? Come esso sia in definitiva perfettamente funzionale alle esigenze di noi umani? Almeno fino a quando noi umani non rovineremo completamente tutto! Aria perfettamente respirabile...terra prodiga di ogni sorta di cosa masticabile per il nostro nutrimento...animali creati alcuni per la nostra compagnia, altri parimenti per il nostro nutrimento...acqua per ogni sorta di possibile uso: bere, irrigare, navigare, pulirsi e far crescere i raccolti...prati, alberi e fiori per far mangiare gli erbivori e gli uccelli e gli insetti... animali creati per essere prede dei più forti e, a loro volta, cacciatori dei più deboli...minerali per dare potenza e conforto alle macchine e alle case create ed abitate dall'uomo. L'uomo, che con la sua intelligenza e la sua creatività ha scoperto ed inventato, durante tutti i secoli della sua storia, dando vita al progresso della sua specie e dell'intero pianeta. Ora tu mi obietterai, ancora, che ci sono le guerre e l'inquinamento, e la fame e la politica, e un sacco di cose che non vanno! Ma non voglio parlare di questo ora...rovineremo questo momento!

    “Ma quale momento, Eugenio? Non so proprio dove tu voglia andare a parare con tutta questa storia della terra e dei marziani! Ho sono scimunita io, che non ti capisco! Ho sei scemo tu, Eugenio! Si ti manca qualche rotella! Allora..?- fece Dulcinea, non si sa se più divertita o esasperata...

    “ Oh, ecco, mi hai fatto perdere il filo! Vedo anche che ne sei soddisfatta e ci ridi pure su! Ma è di una cosa importante che voglio parlarti...

    “ Oh quanto sei lungo, ma ti ascolto...”

    “La Terra...dicevo...”

    “Oh Dio, sei proprio pazzo....Lo so, è tutta colpa mia...”

    “ Dicevo che Dio ha creato la terra anche secondo un criterio supremo di bellezza! Se Egli fosse su facebook, otterrebbe, credo, miliardi di “mi piace” e di condivisioni, solo se pubblicasse le immagini delle sue creazioni...ahahah

    “Oh Dio, Eugenio, quando fai le tue battute fai venire proprio da piangere...meglio se continui a fare il melodrammatico...

    “ Sei cattiva, Dulcinea! Farò finta di non aver sentito! Dicevo che il Padreterno ha creato la Terra anche per la felicità dell'uomo, perché oltre che santo e navigatore, egli potesse essere anche un poeta, un sognatore. Si un sognatore come lo Stesso Creatore. Non è forse chi ha creato tali e tante meraviglie, di cui è piena la Terra, il supremo dei sognatori? Pensa al mare, alle montagne, alle nuvole, alle stelle, ai fiori...Ci hai mai pensato, li hai mai guardati?

    “ No, in effetti, non ho mai pensato ne guardato prima di incontrare te Eugenio!” esclamò Dulcinea risentita, forzando in modo particolare la parola Eugenio, come se volesse mettere sotto i suoi tacchi e calpestare senza pietà il titolare di quel nome.

    “ E tutti gli effetti speciali che il Padreterno ci ha regalato? La pioggia, il temporale, la tempesta...e perché no? Anche il terremoto! Per far si che l'uomo non si annoiasse mai, anche con una grossa scarica di adrenalina! Sai, è in quei momenti che ti accorgi di quanto sia precaria la tua esistenza, che apprezzi il dono della vita...

    “Ed allora...tutto qui? Sai che non avevo mai pensato a tutto ciò, chiacchierone?” fece lei ironica. “ Allora posso andare ora? Sono in ritardo! Ho un appuntamento con Valter e con i ragazzi del gruppo per le prove de “Gli uomini preferiscono le bionde” e per decidere, per il proseguo della stagione, se portare in scena “La Bella e la Bestia”. Perché non torni Eugenio? Non hai più voglia di recitare..?

    “La voglia ce l'avrei pure. Ma in gruppo non ci torno! Mi viene il magone a vederti tanto intima con quel coso, col regista, con Valter! Per non parlare del suo aiuto, quel Lorenzo Lacognata col quale sembri entrata in grande confidenza!

    “ Ci siamo! Questa è la scenata di gelosia! Non ci facciamo mancare niente stasera, Eugenio! Ora mi aspetto un'altra dichiarazione d'amore...” disse Dulcinea, rabbuiandosi. Ma non era adirata. Tutt'altro. Guardava infatti Eugenio come dire...teneramente e con vera sofferenza. Ma non sarebbe durato molto: infatti il suo carattere era come una giornata variabile, quando il sole fa capolino tra le nuvole, che a volte lo nascondono perché piova.

    “ Invece ti lancio un'idea un idea per “La Bella e la Bestia”. Presupponendo che tu sarai la Bella...stavolta per la Bestia vedo perfetto il nostro simpatico regista, il caro Valter...” disse Eugenio con un sorriso furbo

    “ Basta vado via, Eugenio! E' insensato essere gelosi dato che fra me è te non c'è...non c'è...”

    “ Hai ragione come sempre, Dulcinea! Ma vallo a dire al mio cuore...Però aspetta, devo finire la mia storia...

    “Oh, va bene...Ma sei proprio impossibile! Mi stai facendo arrabbiare...

    “Mi piaci anche quando ti arrabbi...com'è che si dice: non c'è rosa senza spine...

    “Ah, sorvoliamo, andiamo avanti, per pietà...

    “Dio creò l'uomo...maschio e femmina Iddio li creò...Ma prima creò il maschio...Tuttavia si accorse che se ne stava solo, troppo solo e non bastava tutto il creato a farlo felice. Non li bastavano tutte le meraviglie che il Padreterno aveva creato per lui. Che poteva fare da solo: non poteva chiacchierare, non poteva scaldarsi quando era freddo (che allora neanche il fuoco era stato scoperto). Non poteva neanche litigare per poi fare pace e scoprire anche quanto era bello fare all'amore con qualcuna di carne ed ossa come te, con un cuore ed un'anima come te, ma completamente all'opposto di te, tanto da accogliere e custodire in sé il tuo amore ed il seme di un'intera specie, che avrebbe popolato la terra. E poi diciamoci la verità: era davvero triste questo maschio! Non aveva con chi condividere i suoi sogni e la soddisfazione delle sue opere...

    “Uffa che racconto maschilista...credo che tua moglie, via, non ha avuto tutti i torti a lasciarti mio caro!

    “Qualcuno con cui ballare...è triste ballare da soli....con cui commuoversi guardando con occhi ed anime diversi il mondo. Così nacquero l'amore, la passione, la gioia ed il dolore...Insomma Dulcinea Iddio creò all'uomo una compagna...la donna...

    “Oh, ma sai che anche a questo ci ero arrivata?

    “E Iddio creò Te, Dulcinea...

    “L'ottava meraviglia del mondo...non è vero Eugenio? Come mi hai scritto nell'ultima lettera...Ne ho un cassetto pieno delle tue lettere!

    “Creò Te per me, solo per me...Mia compagna e madre dei miei figli!

  • A quel punto Dulcinea se ne uscì fuori con una risata isterica e con movimenti e gesti che certo la sua mente non comandava: come misurare la stanza decine di volte avanti ed indietro, contorcendo le mani, alla ricerca di parole sagge che potessero riportare alla ragione e alla realtà Eugenio. Quanto era troppo era troppo, Eugenio aveva anche oltrepassato ogni limite! Parole che, però, non riusciva a trovare a causa del suo nervosismo. Cosa che non turbò affatto Eugenio.

    “Certo, cara, tu ancora non sei consapevole di tutto questo...Fossimo sulla scena di un noir, azzarderei che “Satana, sotto le vesti di Valter, ti confonde!”

    “Ah, non ne sono ancora consapevole? E chi dovrebbe farmi la rivelazione? L'Arcangelo Gabriele..?

    “Non essere blasfema, Dulcinea, controllati! Non avrei mai pensato di turbarti tanto...A pensarlo non ti avrei chiesto di incontrarci...

    “Si sarebbe stato meglio Eugenio!” Dulcinea, ripreso il controllo, si era avvicinata all'amico, ed era tornata a guardarlo con occhi colmi di immensa tristezza. “Sei davvero testardo come un mulo Eugenio! L'ultima cosa che io voglio, è ferirti! Ma la realtà è che io sto con Valter e tu sei sposato con Donatella; ma anche che non penso affatto a sposare Valter, almeno adesso, o a fare con lui una nidiata di bambini. Mi bastano credimi quelli della scuola! Io, Eugenio, sono troppo giovane per sposarmi ed essere madre...ho tante cose da fare adesso: la scuola, il teatro, e divertirmi con gli amici...c'è tempo per quelle cose Eugenio! Su sta tranquillo...la tua storia in fondo è stata istruttiva e divertente...

    Ella rise e gli carezzò una guancia ed i suoi occhi erano di nuovo colmi di tristezza e di tenerezza mentre lo guardava.

    “Non ti permetterò, Eugenio, di rovinarmi la serata...è come se la tua malinconia ed infelicità si fosse trasferita nella mia anima. Non dovevo abbracciarti...” disse Dulcinea andando via.

    Poi ella si fermo sull'uscio della porta e si volse verso Eugenio che guardava incantato la sua schiena nuda bruciata dal sole.

    “Cielo, quella vacanza al mare col tuo Valter, ti ha fatto davvero bene...sei davvero l'ottava meraviglia del mondo Dulcinea!

    “ Eugenio ti prego...lasciami in pace...ti prego...ed anche tu trova la tua quiete...” disse con quella sua espressione piangente, che le veniva quando era commossa. Poi andò via...

 

 
 
 

RACCONTI DI GUARNERI CIRAMI: LO SPECCHIO

Post n°1036 pubblicato il 09 Agosto 2013 da guarneri.cirami
 

 

LO SPECCHIO


Questo coso insolente è un ricordo della mia cara nonna, in mio possesso perché, unico scapolo tra i fratelli, ho continuato a vivere nell’antica casa familiare. Se non fosse stato per il suo valore affettivo, l’avrei venduto volentieri ad un rigattiere, per ricavarci qualche quattrino, oltre al piacere di non vedere più la sua brutta faccia, che poi è la mia all’incontrario! Si parlo proprio di lui, dello specchio del bagno. Uno specchio di un certo valore, a dire della nonna, con una cornice di bronzo di Riace ad impreziosire il suo spudorato ovale. Sempre secondo mia nonna, lo specchio sarebbe discendente diretto del magico specchio parlante della regina Grimilde, la matrigna cattiva di Biancaneve. Solo che, a differenza del suo illustre antenato, egli fino ad adesso non ha mai proferito parola, pur facendo sempre alla perfezione il suo mestiere di specchio. Ricordo che da bambini ci abbiamo pure tentato – intendo: a farlo parlare! – facendo il verso alla cattiva matrigna: “Specchio specchio delle mie brame chi è la più bella del reame..?” Ma niente! Ci credereste…? Neanche una parola! Altro che specchio magico! Io a riguardo sono stato sempre piuttosto scettico! Io non ho mai creduto alla magia. Come non credo all’anima o all’al di là! Come non credo all’amore. Sono un tipo razionale io: è tutto pura chimica quello che gli altri chiamano innamoramento e attrazione. Per il resto questo specchio è un oggetto, e sottolineo oggetto, di ottima fattura! Uno specchio a misura d’uomo che ci ha fotografati benevolo sin dalla nostra prima infanzia, per diventare, via via, sempre più impietoso e crudele col passere degli anni, almeno con i miei fratelli e le mie sorelle. Per le mie sorelle, in special modo, quella visione è diventata, col passare del tempo, una sorta di film dell’orrore, tanto che ormai da molti anni la casa dei nostri genitori si è trasformata per esse in un vero e proprio tabù. Che, a dirla tutta, il più vecchio di tutti è lui, lo specchio!E parlo addirittura di centinaia di anni! Solo io, finora mi sono salvato da quel suo spietato riflettere, almeno fino all’altra sera. Ho quasi cinquant’anni e ho mantenuto fino ad adesso un aspetto abbastanza giovanile: sarà per il fatto che non mi sono mai sposato e non ho mai avuto una suocera! Ho avuto invece lunghe relazioni con donne molto più giovani di me, che per il fatto di essere state vissute ognuna in casa propria, potrebbero definirsi eterni fidanzamenti, eterni innamoramenti. E quando ognuna di queste donne, col tempo e l’esperienza, diventava “più vecchia e matura di me” (un eterno Peter Pan, secondo l’acida definizione di una delle mie ex) il mio interesse per lei svaniva. Ritornavo così a caccia, in cerca di un’altra “bambina” di cui potermi innamorare, da cui “succhiare” quella gioventù che non volevo perdere, a cui mi aggrappavo disperatamente, con grande scandalo della parentela. La verità è che la vecchiaia mi ha sempre fatto paura, è stata sempre qualcosa di terribile, da esorcizzare in qualche modo. Così come il matrimonio (la fissazione della mia povera madre…), che, a parer mio, porta inevitabilmente alla perdita della libertà e della bellezza; porta alla vecchiaia e alla morte. Non voglio fare la fine dei miei fratelli! Per questo l’ho sempre evitato con cura. Come da ultimo con Anna. La stupida credeva di potermi incastrare, e mi è rimasta incinta con l’assurda speranza che io mi prendessi le mie responsabilità! Ahi, che parola insopportabile e castrante! Io che sono un’aquila, ridurmi ad un pollo da cortile! Cosi le ho detto di abortire, finché era in tempo, che non rovinasse né la sua vita, né la mia! Ma non ha voluto sentire ragioni la stupida, tanto da mettere al mondo a tradimento un marmocchio urlante e petulante, che più brutto non si può. Io mi rifiuto di far da padre ad un simile mostriciattolo, che mi succhierebbe il sangue finché campo, come facemmo io ed i miei fratelli con nostro padre. Egli che era stato, ai suoi tempi, un giovanotto aitante e di bell’avvenire, si era ridotto infine a fare l’impiegato comunale e a sopravvivere, insieme alla sua banda di bestie feroci, col suo misero stipendio ed un unico liso vestito che portò poi nella bara. Ah ma io sono di tutt’altra pasta. Somiglio al mio nonno materno: il notaio Calajò, che se ne morì beato tra le braccia di una delle sue ultime amanti; e allo zio paterno, il colonnello Lo Giudice, che, si racconta, non si lasciasse scappare neppure una delle attricette o ballerine di varietà che venivano in tournèe al Teatro Comunale di Castelfosco! Così passerò un assegno ad Anna e a suo figlio, così come stabilirà il giudice. Che se lo cresca lei quel futuro Bruto! Così, per farla breve amici, sono di nuovo a caccia, e a tal motivo ho deciso di cambiare guardaroba, taglio di capelli, colore delle mie lentine e perfino la macchina. Ma ecco che l’altra sera faccio la terribile scoperta…Una cosa inaudita, vi assicuro, che è meglio non sappia nessuno, tanto meno i miei cari fratelli! Lo specchio si è messo a parlare! All’improvviso! Lo so è pazzesco…ma vi dico che si è messo a parlare di brutto! Dopo centinaia di anni di onorata e silenziosa carriera, l’oggetto misterioso e strano della mia infanzia si è messo a parlare! A parlare così come il suo antenato pettegolo ed intrigante! Non c’è alcun dubbio che il bastardo voglia rovinare la mia vita, così come il suo famoso parente aveva rovinato l’esistenza di Grimilde e Biancaneve. Me lo sono sognato, dite voi? Neanche per sogno! Ero ben sveglio invece! E come poteva essere altrimenti, dopo la mia doccia tonificante ai fiori di arsenico ed un buon caffé alla cicoria. Io mi rasavo tranquillo davanti a quel bellimbusto! Ad un tratto – cose dell’altro mondo! – sento una voce ironica, come dall’altro mondo,, chiamarmi “ Vittorio, Vittorio!” Si qualcuno mi chiamava, ma non era il Buon Dio né quel cornuto ladro del portinaio; era invece quell’ingrato usurpatore del mio bagno. “Vittorio, ecco bravo smetti per un attimo di grattarti la pelle, ma anche di fissarmi con quello sguardo da ebete!” mi dice con una risatina maligna. Si era proprio lui, e a quanto pareva la sapeva più lunga del suo antenato. E non aveva certo quella educazione e quel rispetto! Santo cielo cosa insegnano oggi agli specchi! “Vittorio ma non ti sei visto?” “Cosa..? Co-sa vuoi da me?” ho borbottato stranizzato inghiottendo del profumato sapone da barba. “ Guardati! Sei così invecchiato Mio Dio! Non ti riconosco più!” Il tempo di interiorizzare le parole del maledetto spione e, per tutta risposta, prendo un porta sapone di porcellana dal lavandino con la chiara intenzione di lanciarlo contro quel fetente! “A chi vecchio, a chi…?” “ A te, Vittorio, a te! Il tempo passa per tutti, anche per te…” No, no, non poteva essere possibile! Quello specchio era solo un maledetto bugiardo e me l’avrebbe pagato cara! Ma prima che potessi scagliare la mia arma impropria contro quell’odioso ovale, un vicino mi urla: “Ma sei pazzo Lo Castro?? Non sai che se rompi quello specchio ti porterai appresso sette anni di disgrazie..?” Come se non mi bastavano i miei fratelli e la mia ex che chiedeva al giudice una cifra assurda per il mantenimento di suo figlio. Mi fermai e, fingendo una calma che non possedevo, chiedo allo specchio il perché di quella sua spaventosa ingiuria. “ Ma non ti sei visto? Dove sono i tuoi bei capelli ricci, ne perdi ogni giorno un po’ di più! E quella pancetta dove la mettiamo, è così antiestetica! Per non parlate di quelle gambette atrofizzate. Troppo macchina e poca attività fisica…” Ed io che non avevo mai voluto una suocera! “ E poi, mio caro, è chiaro che a quella signorina, che tu corteggi, vengano dei dubbi…” La signorina a cui si riferiva quel maleducato era Angela Brulichio, i cui genitori erano letteralmente pazzi di me. “O forse, per meglio dire, del tuo conto in banca…” Sosteneva quel “malacarne” che la ragazza mi frequentava per puro tornaconto, amando segretamente un giovanotto suo coetaneo. “Ma come l’hai saputo razza di impertinente. Sono fatti tuoi questi? Dimmi come l’hai saputo!” gli urlo in preda alla collera, mentre sempre più vicini mi osservavano allarmati dalle loro finestre. Dovevo fare qualcosa per non farmi prendere per matto. Così ho inventato loro che stavo provando davanti allo specchio, per un piccolo ruolo che il parroco aveva voluto assegnarmi nell’annuale recita della parrocchia. Solo così potevo continuare ad insultare tranquillamente il mio specchio, a litigare con esso, come si fosse trattato della mia propria moglie. Era questo in fondo che mi mancava del matrimonio: potermi sfogare ogni tanto per la gioia e le orecchie del vicinato. Al centesimo insulto i miei vicini mi applaudono convinti; al centocinquantesimo urlano convinti il mio nome. Quando poi comincio a saltellare insultando e facendo le boccacce allo specchio, intonano veri e propri cori da stadio e fanno addirittura la ola! Lo specchio, col suo solito tono borioso, mi ha detto infine di aver avuto quella confidenza da uno specchietto per trucco usato dalla ragazza prima di andare in scena. Ella infatti canta la sera a “L’Angelo Azzurro” un locale molto alla moda di Castelfosco. Le parole dello specchio, passata la comprensibile arrabbiatura, mi hanno tuttavia fatto riflettere. Con un intervento di tricotomia mi sono fatto così una capigliatura niente male, che mi ringiovanisce di almeno dieci anni; mentre un preparatore atletico, sauna e massaggi mi hanno appiattito la pancia e tonificato i muscoli, tanto da farmi apparire come un giovanotto di primo pelo. Devo dire che Angela si è mostrata sorpresa e turbata del mio nuovo aspetto. Credo che sia stato generata da tale turbamento quella sua espressione di smarrimento, di tristezza, quel pallore che sovente le sorprendo sul viso, così contrastante con l’entusiasmo dei suoi genitori. Tuttavia il maledetto, quello specchio pettegolo continua a raccontarmi la sua storia. “Per lei, Vittorio, sei soltanto un vecchio porco pervertito…è per questo che essa è inquieta! E’ quel suo giovanotto che essa ama!” Ma come vecchio porco! Chi ti ha raccontato questa storia? Sempre quell’insulso specchietto da borsetta? Ma pure lei, Angela, confidarsi con quel cosino minuscolo! Ma non vedi che sono ringiovanito di almeno quarant’anni? Guarda, guarda che pelle morbida e liscia, manco un ragazzino c’è l’ha così. Di solito a quell’età si è mostruosi, con la faccia tutti pieni di brufoli! Per tutta risposta il maledetto mi ha fatto vedere un giovanotto aitante dalle spalle larghe, il ventre piatto ed un’energia che mi ricordava i miei vent’anni. “Vuoi metterti a confronto con lui..?” mi chiede lo specchio. “Guarda, non c’è proprio partita! Lui è davvero giovane, tu se solo rifatto e patetico…Lo vuoi un consiglio da me? Falla finita con questa tua vita ridicola, con questa mania delle giovanissime. Accetta la tua età, se non vuoi che ridano di te o peggio insinuino che sei una sorta di maniaco…” Quando poi lo guardo stranito, con la mia faccia smunta e triste, a causa di tanti giorni di dolorose privazioni, egli mi fa sapere che è quel ragazzo l’innamorato di Angela e che sarebbe stata una grande prova di generosità e di buon senso farmi da parte. “Caro Vittorio…” mi dice ad un certo punto lo sbruffone, prendendosi una confidenza che non gli ho mai dato, anche se lui non sembra essere d’accordo e parla addirittura di ingratitudine. “Ti ho visto crescere, conosco ogni tuo neo, tutto mi è familiare di te! Tengo anche di te una sorta di album fotografico del tuo sviluppo. Devo dire che eri un bel giovanotto una volta, ma anche riconoscere che adesso fai proprio schifo!!” Roba da matti, che specchio screanzato! Se si potesse lo licenzierei. Ma potrei anche decidermi a venderlo ad un antiquario o a collezionista, certo per un buon prezzo. Anche perché, nonostante volesse fare apparire il contrario, io facevo la mia bella figura: tutto vestito di bianco e le scarpe scamosciate color viola. Ma lui, il parassita di bronzo, rimaneva della sua opinione, che sputava fuori senza alcun riguardo per me e senza la men che minima preoccupazione di ferirmi. “Non è l’abito che fa il monaco…Non è quel vestito o un paio d jeans, trattato con candeggina e rasoio, a poter cambiare il corso della natura, a rifare di te il giovanotto che sei stato un tempo!” E senza darmi il tempo di replicare lo specchio mi fa vedere un luogo illuminato da una luce crepuscolare, che sulle prime non riconosco affatto; ma che dopo, con mio grande orrore, e senza ombra di dubbio, individuo come la sala mortuaria del locale nosocomio. “Guarda chi c’è dentro quella bara non ancora sigillata…” mi fa il bastardo con ghigno trionfante. “ Ma cos’è uno scherzo questo? Se lo è, sappi che è di cattivo gusto! “ Ma non lo era, purtroppo. Quando l’inquadratura, infatti, è passata dal piano lungo al piano americano ed, infine, al primo piano, restringendosi sul viso di un cadavere, ho capito che si trattava del mio amico Donato Belladonna, ricomposto nella sua consueta ed estrosa mise: jeans, camicia rossa e scarpe scamosciate colore rosso. Solo le sue mani, di solito farfalleggianti e audaci, erano congiunte, in una posa non consueta, con attorno i grani di un rosario. Non potevo non urlare di raccapriccio alla vista del mio povero amico. Con Donato eravamo compagni d’avventura e ci legava una medesima stravagante filosofia di vita. Non potevo crederci. Donato morto, morto! Solo alcuni giorni prima eravamo andati a ballare insieme alle nostre ganze! “Quant’è morto?” chiedo allora incredulo allo specchio. “Ieri sera ad una gara di rock and roll…E’ crollato all’improvviso con la sua ganza di sopra…Non c’è stato niente da fare…neanche il tempo di portarlo in ospedale…sembrava morto da cento anni! Ma sorrideva ancora…non ha sofferto…neanche se ne accorto!” Ed io che dovevo essere con lui, me ne stavo invece a fare il latin lover con la patatina di turno: un’aspirante maestrina d’asilo, a cui ho regalato infine la barbi della mia nipote più piccola: la barbi maestra d’asilo del valore di ben 120 euro! Ma giuro, ne valeva la pena! “ Oggi ci siamo, domani non ci siamo, Vittorio, ricordalo! Domani al posto di Donato potresti esserci tu…” Era sempre lo specchio impertinente a parlare a sproposito! Al che cominciai a saltellare, mentre con una mano mi tenevo forte gli attributi e con l’altra facevo le corna. Tutto il vicinato, affacciato alle finestre sul cortile, applaudiva e fischiava, mostrando di apprezzare la mia performance. Ma ad un tratto squilla il telefono. E’ la mia ex compagna! Mi avvisa che il nostro bambino era in pericolo di vita, a causa di una polmonite. Realizzavo pian piano con terrore che mio figlio, il mio unico figlio, poteva morire anche lui. Quel figlio che non avevo mai voluto conoscere. Metto così abiti più sobri e adatti alla mia età, e corro in ospedale, disdicendo ogni impegno per i giorni successivi. Il piccolo stava davvero male e sua madre non lo abbandonava un attimo, non smettendo mai di sorridergli, di dirgli tenerezze, salvo, di tanto in tanto, girarsi per asciugare una lacrima furtiva. Era davvero bello il piccolo: aveva gli occhi di sua madre, ma c’era anche molto di me, suo padre, nella sua fisionomia. Ed era così paziente, e mi guardava con certi occhioni indagatori, che, stando con lui, giorno dopo giorno, senza rendermene conto, me ne sono innamorato. Tanto da non volerlo più lasciare un attimo, neanche la notte. In quel caso io e la madre ci alternavamo per vegliarlo. Solo i dottori riuscivano a staccarmi da lui durante il giro delle visite. Allora me ne stavo con la mia ex sulla panca della sala d’attesa a parlare, come mai avevamo fatto durante la nostra relazione. Non pensavo di poter arrivare a tanto: a chiedere perdono ad una donna per il mio comportamento disonesto. Ma con Anna infine sono riuscito a farlo, e da quel momento siamo finalmente due genitori come tanti, impauriti per la salute del loro unico figlio. Anche Anna trovavo bella ed ammirevole col quel suo faccino pallido ed invecchiato da giorni di ansia e privazioni; con quel suo amore infinito di madre. Potevamo essere una famiglia! Forse non era tardi! Anche questo ho pensato ad un tratto con mio grande stupore. Lei mi risponde, con tono stanco e dolce, che potevamo provarci. Così appena il piccolo è guarito siamo tornati a casa insieme come una vera famiglia. Lo specchio non poteva credere ai suoi occhi, era felice di vedermi con qualche capello bianco, qualche ruga in più, stremato dalla stanchezza, ma con gli occhi pieni di una luce che da tempo non vedeva più. Così gli ho confessato tutto, dicendogli di stare tranquillo, che avevo imparato la lezione, che finalmente avevo capito che era mio figlio la mia seconda giovinezza, ed in lui sarebbe continuata la mia vita con occhi nuovi per guardare al mondo. Poi quando ci siamo presentati davanti a lui in pompa magna – io ed Anna in abiti nuziali ed il piccolo col farfallino e le bretelle – lo specchio ha rivelato insospettabili doti canore, cantando con voce tenorile l’Ave Maria di Schubert! E tutto il vicinato, dalle loro finestre sul cortile, ad applaudire, a suonare le campane, mentre qualche intenditore urlava che lo specchio era un vero showman e che questa era la mia commedia più riuscita....

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Il Signor Bancomat

Post n°1035 pubblicato il 25 Luglio 2013 da guarneri.cirami
 

Oggi è il mio compleanno. Nessuno se lo è ricordato. Neanche la mia compagna; neanche il mio stesso figlio. Nessuno dei miei vecchi amici. Nessuno dei colleghi e dei nuovi conoscenti. E ci credereste nemmeno l’Associazione Sportiva di cui sono presidente! Nessuno! Terribile! Gli unici a ricordarsene ogni anno erano i miei genitori; ma poverini non ci sono più! Terribile scoprire di essere soli al mondo! Con tanta gente attorno, ma soli al mondo. Scoprire che, nonostante la tua mitezza, non hai seminato nulla, che nessuno ti pensa, a meno che… In verità qualcuno se ne è ricordato…La mia Banca e la mia Assicurazione. Sono state le uniche entità a farmi pervenire i loro messaggi augurali. Poche righe ma dense di significato, di gratitudine. Intrattengo infatti affettuosi e lunghi rapporti con entrambe: un conto ed un’assicurazione sulla vita. Rapporti cartolari abbastanza complicati al limite del masochismo: con troppo clausole vessatorie a mio sfavore. Col mio bancomat poi sapeste, mi vedo almeno due volte al giorno: la mattina e la sera. Una relazione anch’essa tormentata, che credete! A parte, infatti, il dolore provocato da ogni singolo prelievo, esso è spesso indisposto a darmi la grana, tanto da farmi andare in bestia. In questa carta bancomat, poi, c’è la mia vita ed il mio destino. Cosa farei senza di essa! Sarei perso, rovinato! Spesso mi capita di urlare nel sonno: il mio bancomat dov'è! Ed una volta credetti di averla smarrita davvero, o peggio che me l’avessero rubata! Che dramma! Potrei perdere la moglie, ma non la mia carta bancomat…Che poi anche loro sarebbero persi senza il mio bancomat. “Caro, sai, ho comprato un delizioso soprammobile in porcellana di Baviera per il salone, ma, che testa, avevo dimenticato il portafoglio a casa…ci passi tu più tardi..? Col tuo bancomat ti viene facile no..?” “Papino, non ti arrabbiare…ma era l’ultimo giorno dell’offerta…non potevo rinunciare! Un cellulare di ultima generazione, manca poco che mi faccia il caffè…ahahah…tranquillo, l’ho addebitato sulla tua carta di credito…avevo il codice memorizzato…visto che facile!!” Mi viene il sospetto che essi credano che si tratti di una speciale carta del monopoli, che non si tratti di soldi veri…Ma è tutta colpa mia! Mi viene in mente, ad esempio, che a mio figlio non ho parlato mai del valore del risparmio; che non gli ho mai raccontato di quando mio padre e mia madre, ancora sposini, furono capaci di starsene per ben due anni senza televisore; fino al giorno in cui, rotto il salvadanaio, si resero conto di poterlo acquistare. Oggi ci sono le rate, c’è la carta di credito, o l’assegno postdatato. E’ più facile stare al passo coi tempi e far bella figura con gli amici e con i figli degli amici. Così avevo pensato di ritagliare uno spazio per me completamente gratuito: un’associazione sportiva senza scopo di lucro. Apriti cielo: anche lì tutti mi ricorderanno per il mio bancomat! Tutto ha un costo. E quando vedono me i costi si raddoppiano, si moltiplicano. Un vero incubo! Pagare, pagare, senza speranza di rientrare con le spese. E’ il mio destino, la mia cattiva stella. Ci ho sempre perso nei miei rapporti con gli altri, in special modo con le donne! Ricordo che – avevo pochi anni – mia madre mi aveva affidato alle cure della figlia quindicenne di una vicina di casa. Ne ricordo ancora il nome: Giuseppina Vaccaro! Ebbene nel darmi la mia pappa essa soleva dividere in parti uguali: un boccone a me ed un boccone a lei; e a volte anche diseguali: due bocconi a lei, ed uno a me. Grazie a quella mia prima infelice esperienza col gentil sesso, deperii vistosamente con grande preoccupazione di mia madre e del mio pediatra; ma cosa ancora più grave, mi sarei portato come zavorra nella mia esistenza una sorta di diffidenza verso l’umanità, ed ancor di più verso le donne, una forma sempre più accentuata di misantropia. Dice un proverbio famoso: “ Volevo dire danno e dissi donna!” Che terribile verità! Sono loro le più accanite…A parte la mia compagna, parlo delle amiche dell’associazione “Sportivamente”. Ogni volta che c’è qualcosa da pagare esse si defilano…”Arturo, caro, tesoro, paga tu…per te è più facile. Hai un reddito fisso, hai un conto in banca…e poi col bancomat!” Ma per quanto, per quanto ancora avrò tutto questo, se continuerò a scialacquare…? Penso a volte di andare allegramente verso la rovina! Ognuna di quelle dell'associazione (ma anche gli uomini non scherzano…non c’è ne uno, uno più fesso di me!) ha un diavolo di problema: chi ha un marito rognoso che le conta finanche le pulci; chi è precaria, chi disoccupata; chi si deve sposare; chi è buddista e non vuole avere niente a che fare col vile dio denaro! Ed Arturo paga. Tanto è facile! Sono un marito bancomat, un padre bancomat, un amico bancomat…Sono circondato da vampiri che mi succhiano sangue, non c’è via di scampo, ne altra possibile forma di vita per me…eh già! Cosa succede ora…? Sento il suono inquietante della sirena di un’ambulanza avvicinarsi verso casa mia…Ecco ora è proprio sotto casa! Penso al signore del piano di sopra: si sarà aggravato. Ma mia moglie, che entra con l’avvocato Sfigagrande, mi rassicura. “ Sei tu Arturo, mio caro, che hai bisogno di cure…” La guardo esterrefatto…”Io?” “Si tu caro, è vero dottor Lamorte?” Il dottore era entrato sorridendo e con passo felpato, tanto che ho preso un vero spavento a trovarmelo dietro coi suoi canini appuntiti in bella mostra. Lo accompagnano due omoni, tutti bicipiti e deltoidi, con dei camici bianchi. Capisco che non posso opporre alcuna resistenza, e decido di essere remissivo. “Si la cureremo e guarirà sicuramente…Ma deve essere paziente, ci vorrà del tempo…” mi dice Lamorte con un tono rassicurante dentro un alito pessimo. “Ma il lavoro, la banca…” tento di protestare io, guardando timido i due colossi. “Non si preoccupi Arturo, ai suoi interessi pensiamo noi,” interviene l’avvocato Sfigagrande. “ E come pensate di pensarci..?” chiedo io confuso. “Sua moglie sarà la sua tutrice! L’ha nominata il giudice…” “Tutrice? Perché mai…con tutto il rispetto s’intende…” faccio ancora, mentre i colossi mi avevano messo in mezzo, uno stringendo il mio braccio destro, l’altro atrofizzandomi il sinistro. “ Perché lei è stato…come possiamo dire…birichino! Si birichino! Con la sua eccessiva prodigalità ha rischiato di dilapidare tutto il suo patrimonio familiare…dovevamo porci un rimedio! Mi capisce Arturo..?” E’ sempre Sfigagrande a spiegare la delicata faccenda. Protesto allora di non avere con me né il portafoglio né le mie magiche carte! Al che la mia compagna me li mostra con un sorriso trionfante che mi farebbe andare in bestia, se non fosse per quei due colossi che non mollano la presa. “Ci penso io mio caro, non preoccuparti…Non è quello che volevi? Ti sei preso una malattia con questo bancomat. Tu pensa a curarti!” mi dice con dolcezza nauseante. Chiedo allora di mio figlio, che lo vorrei salutare…Ma lui è al computer e mi rivolge appena un cenno dalla sua stanza. Sta acquistando l’ultima versione di tablet su quella che, una volta, era la mia carta di credito. Sono davvero sconsolato. Mi porto dietro soltanto questo quaderno dove scrivo quotidianamente e che la mia compagna chiama “il quaderno delle cazzate”. Il dottor Lamorte, che vuol essere gentile e verificare il mio grado di lucidità, mi dice: “Allora andiamo signor…signor?” Io non ci penso due volte a informarlo. “Signor Bancomat, dottore, signor Bancomat per servirla…” Al che il dottore scuote il capo e guarda la mia compagna come per dire “è proprio andato il poveretto…” Ma devo chiudere signori, non senza una punta di amarezza in verità. Mi viene in mente un noto film di Troisi. Parafrasandone il titolo posso infine condensare in poche parole la mia tragicomica vicenda. Credevo fosse amore ed invece era un bancomat…

 

 
 
 

L'Asino e la Farfalla

Post n°1034 pubblicato il 19 Luglio 2013 da guarneri.cirami
 

Tu ti posavi ogni volta sulla mia testa e lì ti addormentavi, ed io me ne rimanevo immobile, senza ragliare, per paura che tu volassi via...

Sono un asino con un pedigree di tutto rispetto. A tacere dell’asinello del presepe, voglio ricordare a lor signori che fu un mio antenato ad ispirare ad Apuleio il suo Asino d’Oro; così come una mia antenata diede lustro di sé nientemeno che nel Libro dei Numeri. Essa aveva, infatti, il dono della parola, così come fra l’uomini (ad esempio il mio padrone..) c’è chi ha il dono di essere una vera “bestia”! Nel ’99 pensate diedi il mio logo ad un partito politico e con quello che vedo in giro oggigiorno, se trovassi cento asini del mio livello fonderei io stesso un partito e magari otterrei anche la maggioranza assoluta. Che ci sono asini peggiori di me che vanno in televisione ogni giorno! Gli uomini – quelli peggiori in verità e senza cultura – ci disprezzano, tranne a paragonarsi a noi - in modi alquanto volgari e da stigmatizzare -, nelle chiacchiere da bar o dal barbiere. Mi riferisco alla mania di paragonare il loro “membro” al nostro, vantandosi in maniera esagerata della fortuna di aver ricevuto cotal prezioso dono da madre natura. Posso anche comprenderli: trattandosi per gli uomini di un’eccezione quella che per noi asini è la normalità! Voglio però liquidare in fretta questo argomento! Sono un gentiluomo. Diciamo che ognuno ha la misura che si merita, e per ciò che mi riguarda ringrazio Iddio d’essere un asino, e se rinascessi cento volte, cento volte vorrei rinascere asino! E’ vero che non ho il dono della parola, ma raglio, e a volte di brutto, specie quanto ho mal di testa con le mie orecchie da somaro piegate in giù! Ma sapeste quanti uomini ragliano peggio di me e senza alcun pudore! Non sono il tipo d’asino che si lamenta della sua vita, masticando con la testa bassa giù nella mangiatoia. Io guardo in alto: mi piace osservare le nuvole e sono innamorato della luna! Questa mia mania, invero, mi ha procurato non pochi guai: figurarsi che il padrone voleva persino farmi esorcizzare, convinto che non fossi un asino con le rotelle a posto. Se fossi nato nel medioevo, con questa mia mania di guardare il cielo, di sicuro mi avrebbero scorticato e mandato al rogo. Il fatto è che gli altri si fanno di te un’opinione, un modello, e guai a scostarsene, ad uscire fuori dallo schema, ad andare oltre...A volte confesso vorrei fare un viaggio su quella bella luna, a cercare il senno degli uomini. Ma avete mai visto un asino volare..? Ma a parte questo – che poi poco mi importa dell’opinione della gente - il peggior guaio che mi è capitato, guardando il cielo, è stato quello di innamorarmi…La prima scemenza che avevo fatto nella mia vita! Una cosa di cui, in verità, non potevo gloriarmi. Ero un asino fatto, via, eppure ci ero sono cascato come un pivellino. Uno scivolone niente male non c’è che dire per un somaro della mia esperienza. Ed io che prendevo in giro il figlio del padrone per le sue scelte discutibili in fatto di ragazze! Io signori avevo fatto di peggio! Almeno così la pensavo allora… Una scelta che non stava né in cielo né in terra, una scelta contro natura, si contro natura, come mi urlava imbestialito il decano dei somari! Se lo avessero saputo quelli del mio circolo, frequentato anche da dei muli, che vergogna! Riuscii però a mantenere il segreto. Innamorarsi va bene, ma innamorarsi di una farfalla non era roba per un asino saggio quale ero io. Così, mi dissi, impari a guardare il cielo “testina”! Non puoi rovinarti un curriculum di tutto rispetto per un amore impossibile! Hai visto mai un asino con una farfalla? Non c’è proprio possibilità d’intesa! Due mondi diversi. Due modi diversi di vivere: lei variopinta e leggera, che vola di fiore in fiore; io grigio, appesantito, maldestro, che calpesto ogni cosa incontrata sul mio cammino, anche il fiore più bello. Eppure vi assicuro che questa farfalla, come direste voi umani, era davvero una “gran brava ragazza”. Certo uno spirito libero poco adatto al matrimonio, poco propenso a dimorare per lungo tempo in uno stesso luogo, una viaggiatrice, ma con un’anima sensibile, d’artista! Pensate che Vanessa, questo era il suo nome, per venire a svernare al sud, aveva percorso migliaia di chilometri, partendo dall’Islanda, sorvolando Londra, Parigi, Roma…Un vero prodigio per quell’essere così fragile e luminoso, che, sbirciando dalla mia stalla, vedevo ora danzare meravigliosamente tra i fiori del giardino. E più mi rendevo conto che essa nulla poteva avere a che fare con me, più io me ne innamoravo…Divenni così distratto nel mio lavoro di somaro e eccessivamente guardingo lungo i miei tragitti, nel tentativo di non calpestare ogni fiore che mi parlasse di lei. Questo mio aspetto soave e gentile dette parecchio fastidio al mio padrone che non riconosceva più il suo somaro. Così una notte pensò a raddrizzarmi prendendomi a frustate; non contento, affinché capissi meglio la lezione, pensò di prendere un bastone in fondo alla mia stalla. Al che, spaventato che avesse deciso di accopparmi, il mio spirito di sopravvivenza mi indusse a sferrargli un calcio sullo stomaco. Gli feci male, tanto che se lo portarono in ospedale. La figlia – un essere adorabile – per salvarmi dall’ira degli stallieri, mi portò al mare e disinfettò con l’acqua salata le mie ferite. Lei, Vanessa, che aveva preso l’abitudine di dormire su una trave della mia stalla, aveva assistito spaventata al fattaccio. Così, con mia grande sorpresa me la ritrovai al mare, a fare giri attorno al mio testone. Ma vedendo le onde essa non resistette, e si mise a danzare tra le creste ricamate dei cavalloni, ridandomi il buon umore. Per essere felice mi bastava essere lì dove era lei, anche se le nostre profonde diversità mi impedivano di toccarla. Tuttavia, felice per la mia ritrovata salute, Vanessa scrisse il mio nome – Toti - sulla sabbia col mio stemma nobiliare: due lunghe orecchie d’asino. Toti e Vanessa! Saremmo stati una bella coppia se un mago avesse trasformato me in farfalla, o Vanessa in somara. Pazienza, ti dissi, forse le nostre anime si ritroveranno in un’altra vita, cercandosi tra la movida d’una città d’arte. Ma tu preferivi un concerto, della musica barocca, o una biblioteca. Così, con la complicità della giovane padrona, passammo le ultime sere prima della tua partenza ascoltando Beethoven e Chopin. Tu ti posavi ogni volta sulla mia testa e lì ti addormentavi, ed io me ne rimanevo immobile, senza ragliare, per paura che tu volassi via…fino alla notte che andasti via davvero, lasciandomi al posto tuo il profumo dell’ultimo fiore su cui ti eri posata. Allora non sapevo che la vita della farfalla non dura quanto quella di un asino. Quando poi qualcuno mi avvertì che il padrone risanato voleva fare di me pelle di tamburo, io non mi preoccupai…facesse pure. La mia anima era stanca di quella esistenza da somaro e volentieri sarebbe salita su una nuvola ad aspettarti….anche un’eternità

 
 
 

Le Poesie di Guarneri Cirami: Amare la Tempesta

Post n°1033 pubblicato il 14 Aprile 2013 da guarneri.cirami
 
Tag: Poesie

Io so che è folle
amarti...
Ama forse la tempesta
l'albero del tuo giardino
quando essa oscura il sole
e lo priva della sua ombra..?
...
La tempesta
che scuote i suoi rami
spogliandoli d'ogni foglia
del profumo e del colore
dei suoi fiori...
Io so che è folle
amarti...
Ama forse il fuoco
del fulmine
che incenerisce il suo orgoglio
l'albero del tuo giardino..?
Il fuoco
che brucia la terra attorno a lui
e spaventa i fragili esseri piumati...
Così che nessun canto
nessun volo
abbraccerà il suo annichilito
e triste aspetto...
Così che nulla di buono
potrà nascere in quel deserto
dove continuerà
la sua immobile vita di albero...

 
 
 

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