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I RACCONTI DEL LABBRO LEPORINO: L'ALBA (terza parte)

Post n°105 pubblicato il 11 Novembre 2012 da alex.canu

 

 

    I primi ad andare giù in spiaggia quando già si era fatto buio furono Giomaria e Stefania, portarono le buste con la spesa comprata al supermercato. Mentre Stefania circoscriveva una buca scavandola al centro, Giomaria cercava delle pietre da mettervi attorno e fare una corona dove sistemare la griglia. Li raggiunsero Bachis e Barbara portando la legna e le birre, poi venne Stella con la grande insalata che aveva preparato. Per ultimo arrivò Bartolomeo e portò con sé la chitarra di Giomaria. Te l’eri scordata? Gli disse. Una chitarra non si scorda mai! ribatté Giòma, attendendo l’effetto della battuta, ma nessuno mostrò di averla capita. Una chitarra “non si scorda mai…” ripeté piano, sillabando “chitarra…non si scorda”, qualcuno capì e rise meccanicamente per fargli piacere. Bachis gli lanciò un panino e Stella s’infuriò per questo. No, cazzo, il pane no! gridò. Furono tutti molto efficienti, i rametti secchi presero fuoco immediatamente e si formò una base di brace per iniziare a cuocere l’agnello che avevano comprato.

   Il sale su quel semplice cibo rese gustosa la carne e i ragazzi, inebriati da quella gioiosa semplicità, si scambiavano battute e cenni d’intesa. Barbara arrotolò una sigaretta e la fece passare mentre già ne preparava un’altra. Bachis la prese e la trattenne dubbioso fra le dita. Giomaria e Bartolomeo, si guardarono indecisi, le ragazze risero e Stefania diede una gomitata a Bachis. Dai, gli disse, passala, che te la vuoi tenere tutta la sera in mano? Bachis aspirò e tossì passandola a Stefania. Lei tirò forte e trattenne il fumo dentro i polmoni per molto tempo, sembrava che l’avesse inghiottito per sempre. Quando lo buttò fuori, lo fece lentamente, soffiandolo provocatoriamente sul viso di Giomaria che aprì le labbra per accogliere il fumo da Stefania. Tutti approvarono e Giomaria trattenne il desiderio che aveva di lei. Stella aspirò avidamente e passò quel che restava a Bartolomeo.

   Ti sei mai fatto una canna? Gli chiese a bassa voce. No, rispose lui. Allora non aspirarla forte, ma ormai era troppo tardi, Bartolomeo vedeva la brace della sigaretta andare verso la sua bocca e la carta consumarsi rapidamente. Sentì il fumo farsi largo prepotentemente dentro i polmoni, lo trattenne come aveva visto fare a Stefania e poi lo gettò fuori con un violento colpo di tosse. Bravo! Gridò Barbara, mentre Stella lo guardava invece preoccupata. Stapparono le birre, mangiarono tutta l’insalata e il pane e poi Giomaria prese finalmente la chitarra. Qualcuno attizzò il fuoco portando dell’altra legna. Altri ragazzi e ragazze che passavano o che avevano deciso di rimanere in spiaggia durante la notte, si avvicinarono a loro. Non riuscivano a finire nessuna delle canzoni che iniziavano a cantare e dove non ricordavano le parole inventavano un testo inesistente. Passarono altre sigarette di mano in mano e altri portavano da bere e tutti cantavano. Sembrava di stare dentro una famosa pubblicità della coca-cola. Qualcuno di quelli che si erano avvicinati prese a sua volta la chitarra, e iniziarono altre canzoni, poi Bartolomeo sentì la testa ronzargli come le cicale durante il giorno, si distese sulla sabbia e vide le stelle lassù in alto che ruotavano come pazze. Si ricordò di un dipinto di Van Gogh che aveva studiato a scuola e lo disse alla sua compagna. Lei gli chiese se andava tutto bene e lui disse che no, non andava tutto bene. Si addormentò così, con le cose che non giravano nel verso giusto, con lo stomaco in subbuglio, con il cielo nero che era diventato un pozzo profondo dentro il quale lanciarsi. Quando si risvegliò in spiaggia non c’era più nessuno, il fuoco era quasi spento e sentiva una leggera umidità insinuarsi sotto la pelle. Si rannicchiò rabbrividendo, voltandosi dall’altra parte e solo allora si accorse della presenza di Stella. Ciao, le disse sorpreso, sei rimasta qui? Come va? chiese lei. Bene, ma sento freddo, adesso passerà, appena mi muovo un po’. Facciamo due passi allora, gli propose Stella. Camminarono e raggiunsero una piccola roccia di granito che entrando nel mare formava una piccola, intima insenatura. Si addossarono a essa, fianco a fianco, le loro braccia si toccavano. Stella sentì in profondità quel contatto e rabbrividì di piacere, pensò che adesso lui l’avrebbe presa per le spalle, costringendola dolcemente a voltarsi e poi l’avrebbe baciata. Come sarebbe stato baciare un ragazzo? Pensò. Un ragazzo come quello, con quelle labbra dure e tagliate, sarebbe stato come baciare se stessa, non l’aveva mai fatto. Con le ragazze è più facile e dolce, le loro labbra sono morbide, tutto è rotondo e rassicurante. I ragazzi invece devono pizzicare, hanno la pelle dura, un odore diverso che non le piaceva e questo non la attirava affatto. Bartolomeo si allungò sulla sabbia, pensò che adesso anche lei l’avrebbe seguito e si sarebbero trovati come in un grande letto insieme. Tutto sarebbe stato enormemente più facile. Stella invece non si mosse e rimase seduta, lo osservava con la coda dell’occhio e pensò che spettasse a lui prendere l’iniziativa, forse ora le avrebbe preso la mano, attirandola dolcemente a sé. Era una sensazione nuova per lei, abituata a procurarsi il piacere come i lupi, costretta dal suo stato a fare sempre la prima mossa, a valutare da pochi gesti e sguardi scambiati di sfuggita se era un si o un no, una ferita o un piacere sottile ed effimero. Infilò una mano dentro la tasca dei jeans per accertarsi che i due profilattici che Barbara l’aveva costretta a prendere stessero ancora al loro posto. Sentì la superficie liscia e si preparò goffamente a fargli capire che li dovevano usare per forza se volevano fare l’amore li. Stefania le disse che i ragazzi non sono in grado di organizzarsi, che vanno così come i pirati nel mare e devono essere sempre loro a spiegargli ogni cosa. Non lasciarti fregare, le disse brutalmente, faglielo mettere, digli che è come un cappottino per non fargli prendere freddo. Quando gli fai la battuta del cappottino, i maschi ridono sempre e si lasciano convincere più facilmente. Stella si sdraiò accanto a Bartolomeo e lui le chiese quale stella stesse guardando. Lei sorrise e gliene indicò una, poco luminosa, che lui non riusciva a scorgere, allora gli prese la mano, chiuse quattro dita lasciando solo l’indice aperto e glielo diresse verso una stella lontana. Quella? disse lui. No, rispose Stella, cominciando a cantare dolcemente, come in un musical, è la seconda a destra, quello è il cammino e poi dritto, fino al mattino, non ti puoi sbagliare, perché porta all’isola, l’isola che non c’è. Sorrisero e Bartolomeo la informò che Giomaria, quella canzone, la sapeva suonare davvero bene, ci mette anche il pezzo d’armonica! disse.

   Quale musica ti piace ascoltare? le chiese, mettendo la testa accanto alla sua.

   Mi piace tutta la musica, quella che mi fa stare bene e quella che mi sa far piangere,     disse lei.

   Preferisci il dolce o il salato? Chiese ancora Bartolomeo, sorridendo.

   L’uno e l’altro, rispose Stella divertita.

   Hai paura del buio della notte?

   Da piccola morivo al solo pensiero di muovermi al buio. I miei genitori mi costringevano ad andare in camera mia con le luci spente e tornare indietro con un oggetto. Io piangevo e mi bloccavo a metà del corridoio, paralizzata dal terrore.

   E la morte, ti fa paura?

   Non ci penso mai. Una volta ho assistito a un incidente, due macchine prima di noi. Ho sentito un gran botto e una signora è caduta svenuta per terra. Pensai che fosse morta, ma poi vidi i suoi occhi riaprirsi e da allora penso sempre che la morte sia così, come un incidente, ma in fondo anche come un gioco.

   Quanti anni hai?

   Ventitré, disse Stella, ma me ne sento almeno il doppio.

  Sei felice dove vivi? chiese Bartolomeo, e questa domanda gli parve particolarmente idiota. Lui non avrebbe mai voluto rispondere a una cosa come quella. Stella invece mostrò di gradire la sua curiosità. 

   No, non sono felice, rispose. Dove vivo io l’unico obiettivo è fare soldi, non capisco perché. Il denaro serve, però non deve essere il fine, ma il mezzo per raggiungere una pienezza della vita. Dove vivo io non conta chi veramente sei, ma quanto è lungo il tuo conto in banca. Sei apprezzato maggiormente se possiedi una macchina di grossa cilindrata, una villa con piscina, i figli che frequentano scuole private ed esclusive. Se non hai queste cose sei uno sfigato che si alza alle sei del mattino per andare a lavorare come tutti gli altri, sei la massa, cioè niente. C’è un dipinto di un pittore francese, si chiamava Courbet, l’hai mai sentito nominare? No, ammise Bartolomeo, ma che c’è in questo quadro? C’è un bambino piccolo, con i suoi pantaloni corti. Saranno forse le sette del mattino, di una fredda giornata di Marzo. Dentro un vagone ferroviario di terza classe, la gente, la massa di persone povere e anonime, si stringono nei sedili di legno. Un signore grasso, con la bombetta e il collo tozzo, strizzato dentro una giacca che pare strapparsi da un momento all’altro, occupa con le sue spalle un terzo del dipinto. Quel bambino piccolo, al quale accennavo prima, ha le mani ficcate in tasca, il suo cappello è appoggiato sopra una scatola chiusa con dello spago. Poggia la sua testa sulla spalla di una signora anziana, con un cappuccio e un cesto di vimini, dove tiene le cose che evidentemente venderà al mercato. Alla sua destra una donna giovane allatta al seno un bimbo, forse il fratellino del bambino che dorme. Non so perché ti dico questo, ma ho sempre immaginato di essere io quel ragazzino morto di sonno. Mi vengono le lacrime ogni volta che guardo quel dipinto. Penso a quanto sia ingiusto che un bambino non possa stare nel suo letto a dormire, ma debba alzarsi così presto per guadagnarsi la vita. Ecco, dove vivo io la gente è ormai così, povera e stanca.

   Bartolomeo ascoltò attentamente la lunga risposta di Stella, ma c’era un’altra domanda che gli urgeva. Una domanda che riguardava anche lui e nasceva non da una certezza, ma da una sensazione alla quale non riusciva a dare forma.                                                       Vedi questo taglio? le disse, mostrandole il labbro leporino e sollevandolo leggermente, scoprendo i denti. Io ho sofferto molto per questo, ma quando oggi mi hai domandato se mi facesse ancora male ho avuto la certezza che tu conoscessi già la risposta.                          La conosco, disse Stella, perché ho avuto lo stesso problema anch’io anche se ora non si vede più niente. C’è una parola magica, chirurgia estetica. Non serve solo a ripianare le rughe delle signore snob, o ad alimentare con due taglie in più la vanità femminile. Con i soldi puoi pagare tutto, anche il dolore e la tua insicurezza perché si allontani per un po’. I miei genitori hanno contattato una clinica Svizzera, non sono ricchi e hanno preso un prestito che ancora pagano. Il mio labbro è normale, ma la sua sensibilità in questo punto è ridotta. Stella si toccò il labbro superiore e altrettanto fece Bartolomeo. Lascialo così, gli disse, non commettere neanche l’ingenuità di farti crescere i baffi, come quelli che tingono i capelli o si fanno il riporto. Mascherare vuol dire rendere più evidente ciò che vuoi nascondere. Lascialo così, sei bello, gli disse.

   Bartolomeo fu molto colpito dal racconto di Stella, toccò piano le sue labbra, ma lei istintivamente si ritrasse, non permettendo che quel contatto proseguisse. Per un attimo la tensione divenne insostenibile e quando Stella gli rivolse uno sguardo di scusa le fece la prima domanda che stemperasse l’imbarazzo reciproco.  Allora le chiese se studiasse ancora.  

    Si, ancora studio, però lavoro anche, per mantenermi e non pesare sulla mia famiglia. Di giorno sono una brava studentessa di filosofia e di sera mi travesto da barista e vado a lavorare in Burgher King, nel centro di Milano.

   Cos’è un Burgher King? Chiese Bartolomeo.

   E` una specie di Mc Donald, però il pane è italiano, ma fa schifo lo stesso. A proposito non ti ci far mettere il ghiaccio nella coca, perché sa di acqua e loro risparmiano. E tu che fai? Studi o lavori, chiese inaspettatamente Stella interrompendo le domande di Bartolomeo.

   Io non studio più, ammise lui, lavoro dove capita e solo quando ho bisogno di soldi. Avrei voluto fare degli studi d’arte, ma i miei me l’hanno sconsigliato, dicendo che il futuro era nella grande industria chimica. Poi invece è fallito tutto e il padrone della giostra è scappato con la cassa. Hanno rimandato a casa un mucchio di gente. Però non mi va di parlare di questo e neppure di me.

   Dovresti riprendere gli studi, gli disse lei, assumendo un tono di voce più dolce possibile.

   Allora diventerai una dottoressa filosofa? Disse ancora Bartolomeo.

   Diventerò una fallita, come tutti quelli della nostra generazione, aggiunse lei sconsolata e me ne dovrò andare via per trovare un lavoro dignitoso.

    Bartolomeo osservava Stella rispondere alle sue domande e pensava che adesso, però, doveva stare un po’ in silenzio, prenderle il viso fra le mani e poi abbracciarla, era così che si faceva dopotutto no? Il cielo con le sue galassie infinite, la Via Lattea col suo sciame di luce che passava proprio sopra la loro testa. La risacca di quel mare buio e profondo, “che si muove anche di notte e non sta fermo mai”. La roccia cui si erano appoggiati, ancora calda del sole del giorno appena trascorso. Non si sarebbe realizzata mai più una coincidenza di fattori così positivi e romantici. Se non la prendo ora sono proprio un coglione, disse a sé medesimo. Pensò a Bachis e Giomaria, che in quel momento, sicuramente non stavano certo facendo grandi discorsi sulla bellezza del creato o sulla corruzione degli imprenditori del nord. Pensò che fosse giunto il momento e stava quasi per decidersi quando Stella gli chiese se le sue domande erano finite. Pensavo che ti dessero fastidio, le rispose. No al contrario mi piacciono, fammene ancora delle altre, disse lei. Così Bartolomeo le chiese del suo rapporto con Dio, dell’Amicizia, dell’Infinito. Le chiese una definizione del concetto di Bene e di Male. Le chiese dell’infanzia, dei genitori, se avesse o no fratelli e sorelle. Le domandò del Destino di ognuno di noi, se è già segnato oppure se ce lo costruiamo giorno dopo giorno.

      Stella continuava a rispondere alle domande di Bartolomeo, ma la notte stava quasi finendo e iniziava anche lei ad essere stanca. Un lume lontano annunciava un gozzo di pescatori che rientrava, eppure nessuno dei due riusciva a prendere l’iniziativa di avvicinarsi all’altro. Laggiù, verso l’orizzonte, una luce, dapprima tenue e timida, poi sempre più gagliarda, iniziava a farsi spazio, guadagnando lentamente porzioni sempre più ampie di cielo. Il freddo diventava pungente e i primi uccelli del mattino si lanciavano sulla spiaggia per raccogliere gli avanzi della notte appena passata. E` l’alba, disse lei, sento freddo. Bartolomeo la abbracciò e Stella protese il collo verso di lui. Si lasciarono andare a un bacio esasperato e stanco, privo di slancio, che non aveva più niente di piacevole, che non preludeva a nient’altro se non al suo rapido esaurimento. Non riempiva un’attesa, ma lasciava un senso penoso di vuoto. Stella trasse dalla tasca i due preservativi e glieli mostrò malinconicamente. Guarda, gli disse, Barbara me ne aveva dati due. Bartolomeo ritrovò la scritta del mattino, “Ritardanti” e rise disperato. Adesso capisco cosa significa quella scritta, disse con una smorfia di disgusto per se stesso. Non bisogna tardare quando è il momento. 

   Perché mi hai fatto tutte quelle domande? chiese Stella.

   Perché ero convinto che ti facesse piacere, le rispose lui.

   Certo, replicò lei, però mi avrebbe fatto anche piacere fare l’amore con te.

   Non ti piacciono le donne? chiese Bartolomeo.

   Si, ma stanotte mi piacevi tu.

   Perché non me l’hai detto? chiese quasi arrabbiato Bartolomeo.

   Perché pensavo che tu non lo volessi, mi facevi tutte quelle domande, ho persino pensato che fossi un omosessuale non dichiarato.

    Il cielo si era fatto nel frattempo più luminoso e si distinguevano chiaramente le montagne a ridosso del mare. Il bar del campeggio riapriva, si poteva sentire da così lontano il rumore del vapore caldo della macchina del caffè. Qualcuno iniziava già a pulire la spiaggia, raccogliendo le bottiglie vuote abbandonate sulla sabbia. Il camping confinava verso l’entroterra con una serie di tanche, dove c’erano mucche e capre, da una di queste si levò, improvviso e surreale, il ragliare disperato di un asino. Stella lo ascoltò sorpresa e chiese a Bartolomeo, se era proprio un asino quello che stava facendo quel verso. Bartolomeo cercò di nascondere il ragliare sgraziato dell’animale alzando di più la voce e cercando di distrarre Stella. Lei gli chiese di fare silenzio e lasciarle ascoltare, per la prima volta in vita sua, il richiamo dell’asino. L’aveva sentito solo in qualche documentario per televisione, ma non l’aveva mai ascoltato dal vivo. E` un richiamo verso un altro asino che si trova vicino in qualche altra tanca, spiegò lui, non credevo che fosse così interessante. Stella si ricordò dei profilattici che teneva in mano e, improvvisamente, le venne un’idea. Tagliò con i denti la plastica che li avvolgeva, li srotolò e ne diede uno anche a lui. Lo invitò ad alzarsi e mettendo i piedi nudi a mollo li riempirono con l’acqua del mare. Ci soffiarono dentro, gonfiandoli ancora un po’, quindi li lanciarono per aria. Li riempirono ancora e poi se li lanciarono addosso, dando inizio a una battaglia che andò avanti per una decina di minuti. Ridevano, stanchi e affamati. Stella si lanciò finalmente in acqua e nuotò per alcuni metri finché arrivò a non toccare più il fondo. Si fermò e osservò a lungo il ragazzo mentre si slacciava il reggiseno. Bartolomeo si tuffò e la raggiunse con poche bracciate. L’acqua fredda li risvegliò completamente, tutto appariva irreale. Il sole stesso galleggiava indeciso, sospeso nell’azzurro freddo del primo mattino, in attesa di un qualsiasi evento. Nuotarono ancora dentro l’acqua, quindi Bartolomeo prese fra le mani il reggiseno che Stella gli offriva. Se lo mise in testa e finse di essere Micky Mouse. Lei rise e gli toccò il labbro tagliato, lo accarezzò a lungo e toccava allo stesso tempo il suo labbro superiore, che così bene nascondeva l'antica ferita. Avvolse Bartolomeo alla vita con le sue lunghe gambe, premendogli contro con forza. Si aggrappò con le braccia al suo collo. Fece ih-oh e rise. Per la prima volta toccava un uomo. Per la prima volta sentiva il ragliare di un asino, o forse era un’asina, con una folta criniera rossa. Si lasciò andare, allungando le braccia e tenendosi al collo di quel ragazzo conosciuto appena il giorno prima. Chiuse gli occhi e lasciò che i suoi capelli, toccando l’acqua del mare si bagnassero, appesantendosi e  allungandosi. A lui, ora.

 
 
 
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