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I RACCONTI DEL LABBRO LEPORINO: L'ALBA (seconda parte)

Post n°106 pubblicato il 11 Novembre 2012 da alex.canu

 

 

 

 

   A mezzogiorno in punto, Bachis aprì l'occhio destro, levò piano il braccio dell’amico che gli comprimeva la narice sinistra e capì perché aveva dormito tutta la notte con la sensazione di non respirare bene. La sua attenzione venne attirata casualmente dai montanti di ferro che reggevano la tenda e si accorse che uno di essi era più corto dell'altro. Lo seguì con lo sguardo per l'intera lunghezza e lo confrontò con una delle due giunzioni che reggevano il tetto. I due tubi di metallo avevano due lunghezze diverse e allora capì che il tubo di sopra, che recava la scritta: “Protezione ci”, andava giunto con quello di sotto, che invece portava una scritta che, fino ad allora, non era riuscito a comprendere: “vile”. Avevano persino la medesima qualità di macchie di ruggine. Si allargò in un sorriso e gridò “Protezione Ci-vile”! Diede di gomito al compagno. Giomaria! Giòma, sai perché non riuscivamo a montare questo cazzo di tenda? Che c'è? Protestò l’amico con la voce impastata dal sonno. Sai perché non riuscivamo a montare la tenda ieri? Lasciami perdere, non me ne frega niente, replicò Giomaria. Perché abbiamo sbagliato l'ordine dei tubi, continuò Bachis, indifferente alle proteste del compagno. Quello sopra andava sotto, cioè quello che sta sul tetto, lo dovevamo attaccare con quello che sta all'entrata e quello dell'entrata lo dovevamo giuntare con l'altro che abbiamo messo sul tetto. Vedi che la porta sta più bassa del dietro? è per quello. Adesso la smontiamo e la rimontiamo per bene. Tu sei scemo, gli gridò Giomaria, è l'alba cazzo! lasciami dormire. Che alba d’egitto, lo sai che ore sono? Non m'importa un fico secco di che ora è, voglio dormire e basta. Dai alzati! gli disse Bachis. Le cicale strillavano come pazze a quell'ora, senza nessuna pietà per gente come loro. Gridavano la loro gioia forsennata, per quel sole a piombo sul campo, che alzava la temperatura e faceva sudare la pelle. Le cicale amano quel sole, quella polvere che si sollevava da sola, sembrava che volesse evaporare dalla terra, come l'acqua del mare che forma le nuvole. Anche la polvere grigia del camping formava delle nuvolette, sollevandosi ogni volta che una macchina passava intossicando i campeggiatori. Quando Bachis e Giomaria, finalmente sveglio, guardarono in direzione di Bartolomeo, si accorsero che il sacco a pelo del loro amico era vuoto. Solo allora si resero conto che dall'esterno della tenda veniva un suono di chitarra con accordi disarmonici. Una voce stonata cercava di stare dietro a quella che pareva la canzone che, da sempre, chiunque voglia imparare a suonare la chitarra, si esercita a fare. Gli accordi più semplici del mondo, mi, la, re, Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi... Sempre la stessa canzone da quarant'anni. Eccolo li, deve essere lui, disse Bachis. La mia chitarra! urlò Giomaria. Quando si precipitarono fuori, videro Bartolomeo seduto su un sasso che cercava di spostare a fatica le dita dal mi al re. Che fai? gli disse Bachis, suono, rispose semplicemente Bartolomeo. Cerco di capire come si suona una chitarra, non si sa mai, può sempre servire. Giomaria gli prese la chitarra dalle mani dicendo che poteva scordargliela. Dai qua che ti faccio vedere come si fa, adesso t’insegno io. Non ho tempo ora, l'acqua della pasta sta già bollendo, fra poco si mangia, replicò Bartolomeo. Bravo! gli gridò Bachis battendogli una pacca sulla spalla, dopo prepareremo anche un buon caffè, abbiamo lo zucchero? No, disse Giomaria, però lo possiamo chiedere alle ragazze, chi ci va da loro? Ci vado io, rispose a sorpresa Bartolomeo, facendo meravigliare i due fratelli. D’accordo, allora dopo pranzo gli vai a chiedere lo zucchero, disse con un sorriso incoraggiante Bachis. A proposito, fece Giòma, Stefania me la prendo io. A me va bene Barbara, disse Bachis. A me non importa, disse Bartolomeo. Ah si? e allora perché vuoi andare tu dalle ragazze? chiese con una punta di malizia Bachis. Per prendere lo zucchero, rispose Bartolomeo, con un sorriso di cartone. Stella lo osservò uscire dalla tenda e poi percorrere il breve vialetto che li separava. Gli sembrò che quella mattina avesse una straordinaria leggerezza nel camminare e poteva giurare che quel ragazzo, timido e scontroso, avesse un sorriso che gli addolciva il volto. Viene qua, pensò.

   Barbara e Stefania erano andate a fare la spesa e lei era rimasta da sola a lavare i piatti, mettere a posto e riordinare la tenda. Quando Bartolomeo arrivò, lo salutò con un semplice ciao e lui non trovò di meglio da dire che avevano l'insalata che bolliva, cioè no, era l'acqua della pasta che dovevano condire e che, cioè, se avevano un po’ di zucchero che gli mancava il sale. Insomma se per quella sera non erano impegnate potevano organizzare qualcosa giù in spiaggia. Giomaria avrebbe portato la chitarra e tutti qualcosa da mangiare e da bere. Disse tutto questo con un'unica lunga boccata di ossigeno, si stupì lui per primo della sua audacia. Adesso però avevano il caffè che veniva su e se...

   Qual’è il tuo vero nome? gli chiese Stella a bruciapelo. Il mio vero nome? domandò lui sorpreso, fingendo di non aver capito la domanda. Come ti chiami veramente? lo incalzò lei. Roberto, mi chiamo Roberto, no? Sei sicuro? disse Stella con una leggera inflessione di rimprovero nella voce. Mi chiamo Bartolomeo, disse, guardando confuso da un’altra parte e pronunciare quel nome gli costò quanto un'ammissione di colpa. Mi chiamo Bartolomeo, un nome così brutto che non lo puoi accorciare o cambiare in nessuna maniera. Se dici Bart sembri uno dei Simpson, se dici Meo sembri uno sfigato. Una volta ho provato a farmi chiamare Lomi, però mi vergognavo, sembravo gay. Quando mi presento a qualcuno che non conosco mi lascio prendere dal panico e allora dico il primo nome che mi viene in testa. Una volta ero così emozionato che ho ripetuto lo stesso nome che porto. Ho detto Bartolomeo, e mi hanno chiesto se quello era lo stesso nome di mio nonno. Non ti preoccupare, disse lei, neanche il mio è un granché. Qualcuno mi prende in giro ogni tanto e mi chiama Stalla, come la casetta degli animali, proprio a me che non ho mai visto una mucca o un asino in vita mia. Come vuoi che ti chiami? gli chiese con un filo di voce che gli arrivò dritto in fondo al cuore. Come ti pare, le disse, non ha importanza. Allora, ti chiamerò come ti chiama tua madre da sempre, col tuo vero nome. D’accordo, rispose lui, però adesso ti aiuto a sparecchiare e ad asciugare piatti e posate. Hai qualcosa contro i gay? gli chiese Stella. Io no, perché? rispose Bartolomeo sorpreso. Niente, così, replicò lei. Ti fa male il taglio che hai sul labbro? gli chiese ancora. Non è un taglio è una cicatrice, precisò Bartolomeo. Si chiama labio-palato-schisi. Lo so come si chiama, replicò con un tono di voce fattosi improvvisamente più duro. Tacquero, allora Bartolomeo iniziò a cantare a bassa voce No woman, no cry, mentre lavoravano in silenzio. Stella lo seguì, ma ognuno cantava una strofa diversa e quando ebbero finito lui se ne andò. Hai portato lo zucchero? Chiesero Bachis e Giomaria. Cazzo lo zucchero! disse Bartolomeo battendosi una mano sulla fronte, mi sono dimenticato. Lo sapevamo che ti saresti dimenticato, fecero i due amici guardandosi preoccupati e ridendo di lui. Non eri andato da Stella per prendere lo zucchero? A proposito, disse Bartolomeo deviando il discorso, che ne dite se stasera ci portassimo la chitarra sulla spiaggia e qualcosa da bere e da mangiare? Ne ho parlato con Stella e mi ha detto che sarebbe una buona idea. Ottima, fece Giomaria con entusiasmo, ricordatevi però che Stefania è mia. Allora dovremmo organizzarci e fare una piccola spesa anche noi. Che ne dite di prendere delle birre e un po’ di carne da fare alla brace in spiaggia? Propose Bachis. D’accordo io mi occuperò di raccogliere della legna per il fuoco, voi ricordatevi di comprare anche un po’ di pane. Mentre Giomaria se ne andava in giro dentro la pineta a raccogliere quel poco di rami secchi e pigne che sarebbero serviti per accendere il fuoco, Bachis e Bartolomeo andarono con la moto in paese a comprare la carne, il pane e la birra. Al supermercato incontrarono Barbara e Stefania, così decisero di fare un conto unico e dividere la spesa. Quando giunsero alla cassa misero le buste sul rullo di gomma e grande fu la sorpresa di Bachis quando, sotto una confezione di prosciutto cotto, vide una scatolina colorata di rosso che aveva una foto con due giovani che correvano a piedi nudi su una spiaggia esotica. Fece appena in tempo a leggere la scritta “ritardanti”, che già Stefania l’aveva spostata e messa insieme alle altre cose sopra il nastro scorrevole. Le due sorelle si guardarono e si sorrisero complici, Bachis e Bartolomeo si fecero invece rossi in volto, fingendo indifferenza, ma non riuscendo in realtà a celare l’imbarazzo. Anche questi li paghiamo ai mezzi? sdrammatizzò Barbara. Tutto, disse prontamente Bartolomeo, recuperando un po’ di senso dell’umorismo. Uscirono dal supermercato che ridevano a crepapelle, erano amici ormai, si conoscevano già da un intero giorno. Caricarono tutte le buste nell’auto delle due sorelle e si separarono, dandosi appuntamento per la sera in spiaggia.

    Che vuol dire “ritardanti”? chiese Bachis a Bartolomeo mentre tornavano al campeggio con la motocicletta. Non lo so, ammise, io non li ho mai usati e tu? Neanche io confessò Bachis, forse vuol dire che certe cose non si devono fare in fretta, che bisogna prima parlare, farsi un po’ di carezze, darsi dei baci, roba così. Ah! ho capito, gridò Bartolomeo sfidando il vento che gli veniva contro.

   I “preliminari”, si dice così, le ragazze vanno matte per i “preliminari”. Delle volte si ricordano più di quelli, che di tutto i resto. Quello che verrà dopo i cosiddetti “preliminari” la segnerà per tutta la vita, disse Bachis con un tono da macho. Speriamo, fece Bartolomeo. Io invece ho sempre avuto dei problemi, ammise preoccupato. Che genere di problemi? domandò curioso l’amico. Niente, che quando è il momento mi batte forte il cuore e non riesco a controllarmi. Io ci provo, resisto, penso a qualcosa di spiacevole per distrarmi, ma non funziona, ogni volta faccio una figura di merda e dopo ci sto male per giorni. Succede anche a me, disse Bachis dopo una lunga pausa, ma non me ne preoccupo, la seconda è sempre la migliore. Le ragazze sono molto più intelligenti di noi in questi casi. Loro lo sanno che noi ragazzi siamo dei Siffredi solo a chiacchiere, l’importante dell’amore, non è l’amore in se, ma la dolcezza che ci metti, bisogna essere se stessi, con i propri difetti se necessario. L’amore non prevede la menzogna, anche farlo per una sola volta è più bello se pensi, ecco, questo sono io, non sono un supereroe, una macchina senza emozioni. Non avevo mai avuto il coraggio di parlarne con nessuno disse Bartolomeo. Neanche io, ammise Bachis, lasciando per un attimo la guida della moto e portando la mano destra indietro, all’altezza della spalla. Bartolomeo la strinse e fu tutto quello che si confidarono in fatto di sesso. Forse quella parola, “ritardanti”, si riferiva proprio a quello, disse Bartolomeo in un guizzo d’intuito maschile. Può essere, replicò Bachis, le donne ne sanno sempre una più del demonio. Ho avuto una fidanzata una volta, avevamo le stesse idee, la pensavamo allo stesso modo su tutto, ma non andavamo mai d’accordo su niente. Forse sarebbe spettato a noi comprarli, ammise Bartolomeo. Comprare cosa? Chiese Bachis. Niente, niente, pensa a guardare avanti. 

   Il resto del pomeriggio lo trascorsero al mare, in spiaggia. Dormirono a lungo sdraiati sulla sabbia, cuocendosi al sole più mite del tardo pomeriggio. Nessuno di loro sapeva effettivamente nuotare, si limitarono a qualche capriola in acqua e qualche tuffo di pancia. Le ragazze raccoglievano conchiglie e vetrini colorati, bianchi, verdi e color dell'ambra che il mare restituiva, levigati e traslucidi. Ci voglio costruire una lampada con i fili di nylon, come ho visto fare in un film francese, disse Stefania, aiutatemi a raccoglierne degli altri. Si alzarono tutti e camminarono insieme lungo la battìgia, cercando vetrini colorati. Scrutando la sabbia si unirono in coppie. Bachis si allontanò con Barbara, Giomaria rimase indietro con Stefania e Bartolomeo raccoglieva pezzetti di vetro, gusci vuoti di riccio e piccoli frammenti di corallo rosso. Metteva tutto nelle mani di Stella che accoglieva quei piccoli oggetti con stupore. Quante cose restituisce il mare, disse. Tutto quello che prende, cose e persone che a lui si affidano, che su di lui si gettano o sono gettati, il mare li riporta a casa, sempre. Spesso nella gioia del ritorno, a volte nella sofferenza che può causare. Anche le persone dovrebbero fare così come fa il mare, non credi? Bartolomeo annuì con la testa, pensieroso. Quando ero piccola, m’infilai un salvagente di plastica, era bianco e blu, semplice ma carino. Non c’erano pupazzetti colorati, né disegni stampati di alcun tipo, solo il bianco e il blu, come le casette del mare. Una ragazzina con i capelli biondi e il costume rosso si tuffò dagli scogli ed io desiderai seguirla. Mi sembrava un angelo e volevo raggiungerla. Mi lanciai in acqua ma il salvagente non mi seguì ed io finii sotto di qualche metro. Vidi la ciambella galleggiare e le bolle d’aria uscire dalla mia bocca mentre cercavo di chiedere aiuto. Mi parve che i capelli d’oro della ragazzina mi avvolgessero per salvarmi, ma erano le braccia di mio padre che mi sostenevano e mi riportavano a galla. Non so perché ti racconto queste cose, disse Stella con una smorfia, fra qualche giorno non ti rivedrò mai più. Bartolomeo rimase in silenzio senza rispondere, guardò più avanti e vide Bachis che abbracciava Barbara, poi tornò indietro a scrivere con un bastoncino qualcosa sulla sabbia. La indicò a Bartolomeo ridendo, facendogli segno di leggerla. Giomaria aveva preso a cavalluccio Stefania e correvano e ruotava su se stesso per farle perdere l’equilibrio e lasciarla cadere sulla sabbia. Forse si baceranno ora, pensò Bartolomeo con invidia. Quando raggiunsero il punto dove Bachis aveva tracciato la scritta, Stella lesse: “ritardati”, la ripetè a Bartolomeo chiedendogli che senso avesse, ma lui sorrise appena, sorvolando. Niente, disse, Bachis è scemo e non sa neanche scrivere. Quello si girò e gli fece un gesto osceno con la mano, al quale Bartolomeo rispose con un cenno di saluto. Continuarono a camminare in silenzio, Stella lo superava in altezza di almeno sei o sette centimetri e commentarono scherzosamente la differenza. Un pensiero però rotolava dentro la testa di Bartolomeo, faceva rumore e aveva paura che lei se ne accorgesse. Bisognava farlo uscire, allora le domandò, ti piacciono le ragazze? pentendosi subito della domanda così diretta. Sentiva le mani bruciargli dal desiderio di prendere le sue e correre liberamente come facevano gli altri. Lo ammetto, rispose semplicemente Stella, mi sono sempre piaciute le donne. Avrebbe voluto dirgli che le piaceva anche lui e la sua dolcezza, così nuova e inaspettata in un ragazzo, ma le pareva di non conoscere le parole adatte per dirlo. Bartolomeo non commentò la confessione di Stella, ma la cosa parve sollevarlo dall’obbligo di dimostrarsi maschio e deciso. Sorrise con maggiore franchezza e continuarono a camminare in silenzio, raccogliendo piccoli frammenti di vetri colorati, ciottoli con le forme più strane e conchiglie inutili, che avrebbero buttato via il giorno dopo. Si fermarono a guardare il tramonto, tesi e spaventati tutt’e due, le mani strette sotto le ginocchia. Coscienti delle sciocchezze che stavano dicendo sulla bellezza di quel mare e sui colori del cielo al tramonto. Quando tornarono alle loro tende, era quasi buio e trovarono gli altri che avevano già preparato la carne e raccolto la legna. Li accolsero con fischi di approvazione e risatine appena mascherate. Stella si arrabbiò molto e come sempre quando era nervosa, divenne super efficiente e riorganizzò tutto, distribuendo i compiti con fare brusco e deciso. Lavò e tagliò la verdura, mise del rosmarino nella carne, prese i piatti di plastica, i bicchieri e le posate. Bartolomeo la seguiva silenzioso. Le due sorelle capirono che non era il momento di fare battute di spirito. Bachis pulì per bene la piccola griglia che aveva portato e Giomaria riaccordò la chitarra, accennando appena alle note iniziali di Don’t cry, dei Gun’s ‘n Roses. La cantarono tutti, in silenzio, bisbigliando appena il motivo, erano amici, già amanti, si conoscevano da un giorno e mezzo appena.

 

 

 
 
 
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