PREFATIO
La parola non è che un arco spezzato
consegnato a un riflesso,
prigioniera di un ritmo imposto.
Il significato è il suo incubo
sedimentato con la forza.
Una parola non è che un viaggio
che nulla abbandona e nulla cancella.
Azione linguistica di Paolo Zignani, sommessa, infittita d'ombre e ispessita di impreviste ospitalità. Qui trovano rifugio narrazioni in versi e in prosa, al timido tepore dello sguardo del viandante mediato, che in se stesso partecipi comprensivamente del moto di frantumazione e ricomposizione del testo. Che colui che passa sappia ascoltare il profugo logos che tutto abbraccia. Che una bussola labirintica ne orienti l'arguto interpretare.
I tag indicano il tipo di composizione: poesie (una per post) o racconti (anche suddivisi in più post), ma non mancano appunti di filosofia e riflessioni sulla letteratura, la musica, la storia. Proprio i tag offrono un salvagente, un orientamento ai rari nantes smarriti nel gurgite dei post. Questo spazio soggiace alla tentazione razionalistica e perciò truffaldina di porgere un indice, un vademecum, un'irradiazione orientata all'audace viatore ermeneutico, cui spetterebbe il destino ben più ardito e soave dello smarrimento nell'infinito.
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L'eterna guerra sociale e l'eterna sconfitta dei contadini
Post n°13 pubblicato il 06 Settembre 2010 da pensierostraziato
Nessuno ha rappresentato i contadini durante il Risorgimento, per quanto abbiano combattuto una "guerra sociale eterna", pronti alla ribellione come nessun altro ceto, eppure disorganizzati, anarchici, refrattari a ogni inserimento in un ordine sociale. Una vicissitudine tormentosa, priva di giustizia. Anche perché senza di loro l'unità nazionale non sarebbe stata possibile. Jacquérie anarchiche, dicono i francesi. Così era anche durante la spedizione dei Mille. I contadini si alleavano facilmente col generale liberatore, ma tendevano a non rispettare la legge, con la conseguenza che persino l'Eroe dei due mondi - personaggio storico maltrattato dai luoghi comuni contemporanei a noi ma in realtà capace di far scaturire comportamenti carichi di generosi ideali rivoluzionari, e senza arricchissirsi con la politica per quale non era affatto portato - persino Garibaldi dopo aver rovesciato l'ordine costituito doveva allearsi con gli agricoltori per il rispetto di un ordine. Così i contadini vedevano combattere una guerra civile fra ceti emergenti diversi, erano protagonisti per l'impulso che sapevano dare (sempre pronti a bruciare un catasto, deviare l'acqua del mulino del padrone, appropriarsi di terre altrui ecc. spinti dalla miseria) ma finivano ai margini della rivolta. E degli onori conseguenti. Non sono riusciti per tutto l'Ottocento a unirsi in sindacati. La miseria li ha resi diffidenti l'uno dell'altro. Solo nel Novecento è maturata l'opportunità di un riscatto, prima che la Grande guerra prima, che li ha sterminati con l'infernale strategia del criminale di guerra Luigi Cadorna (come definire chi pratica strategie belliche così catastrofiche?), e poi il fascismo e l'industrializzazione più spinta li facesse sparire dalle campagne. In fondo alla società italiana sembra però che la maledizione sia rimasta. La situazione descritta dalla "Storia d'Italia" di Denis Mack Smith (Editori Laterza) cambia attori sociali ma non muta stile.
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