PREFATIO
La parola non è che un arco spezzato
consegnato a un riflesso,
prigioniera di un ritmo imposto.
Il significato è il suo incubo
sedimentato con la forza.
Una parola non è che un viaggio
che nulla abbandona e nulla cancella.
Azione linguistica di Paolo Zignani, sommessa, infittita d'ombre e ispessita di impreviste ospitalità. Qui trovano rifugio narrazioni in versi e in prosa, al timido tepore dello sguardo del viandante mediato, che in se stesso partecipi comprensivamente del moto di frantumazione e ricomposizione del testo. Che colui che passa sappia ascoltare il profugo logos che tutto abbraccia. Che una bussola labirintica ne orienti l'arguto interpretare.
I tag indicano il tipo di composizione: poesie (una per post) o racconti (anche suddivisi in più post), ma non mancano appunti di filosofia e riflessioni sulla letteratura, la musica, la storia. Proprio i tag offrono un salvagente, un orientamento ai rari nantes smarriti nel gurgite dei post. Questo spazio soggiace alla tentazione razionalistica e perciò truffaldina di porgere un indice, un vademecum, un'irradiazione orientata all'audace viatore ermeneutico, cui spetterebbe il destino ben più ardito e soave dello smarrimento nell'infinito.
Post n°17 pubblicato il 24 Ottobre 2010 da pensierostraziato
Tra i rami di una quercia un violoncello squarciato decifra il dolore di un uragano. Era il giorno in cui il vento impazzito spaventava gli alberi, tanto che negli animali sprizzava un'anima di fuoco oscuro che solo il terrore poteva eccitare. Una ragazza seguì la danza immobile di una rosa di cristallo: uscì dal tempo; un angelo di marmo le tendeva la mano. Il raggi del sole amareggiavano i libri più antichi, modificando caratteri e senso. La memoria s'è incrinata, l'anima s'è messa in viaggio. |
Anche l'esercito celeste è stato sconfitto. Raggi di sole grigi avvolgevano come una bandiera che appassisce un angelo insanguinato, dalle ali spezzate, che si trascinava a stento fra le macerie degli alberi vinti e delle nuvole uccise. La psiche di una rosa morta sussurrava le ultime parole raccolte dal messaggero celeste che non poteva più volare. |
Post n°15 pubblicato il 25 Settembre 2010 da pensierostraziato
Il nazismo ricondotto alla mimetologia. Atto di semplificazione, con il quale il movimento di Hitler viene sussunto con eleganza e semplicità persino pericolose nello schema principe dell'imposizione greca di modelli. Nessuna originalità quindi in Hitler, nemmeno nella gelida, inaudita violenza che ha contraddistinto il nazismo. Ma questo è un solo un modo per semplificare il problema eludendolo. Fu Heidegger nazista? Il nazismo è comunque un fenomeno che s'inscrive in un tracciato preesistente. La conseguenza di Lacoue-Labarthe è una filosofia pro domo sua, una forma di autotutela del pensatore che si autocertifica estraneo, con la propria filosofia della differenza, a un movimento storico-ideale. Heidegger? Anch'egli inchiodato al vecchio modello: nazista o no. Così si preservano gli elementi del gioco del pensiero, comunque ulteriore, ma li si macchiano d'ombre oscure che poi impediscono il gioco stesso. La riduzione al modello greco non può funzionare: se non altro perché prima del pensiero ateniese classico tutto era stato deciso. Amleto-Heidegger è più antico è più nuovo.
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Post n°14 pubblicato il 07 Settembre 2010 da pensierostraziato
L'Olocausto non è stato un Olocausto. Nessun meccanismo arcaico vittimario. Solo un'operazione d'igiene. Che cos'erano gli ebrei? Pidocchi, scarafaggi. I nazisti hanno usato lo Zyklon B. La battuta revisionista è orrenda ma calzante. La terribile tragedia dello sterminio di massa degli ebrei è in questa freddezza. Il tema ritorna nel libro di Lacoue-Labarthe "La finzione del politico", dedicato al rapporto fra Heidegger e il nazismo. Nell'era della "morte di Dio" e del compimento del nichilismo l'Olocausto come tale non è possibile. La sua essenza è quella dell'eliminazione delle vittime "pura e semplice". Ma perché gli Ebrei? Per la loro significazione metafisica. |
Post n°13 pubblicato il 06 Settembre 2010 da pensierostraziato
Nessuno ha rappresentato i contadini durante il Risorgimento, per quanto abbiano combattuto una "guerra sociale eterna", pronti alla ribellione come nessun altro ceto, eppure disorganizzati, anarchici, refrattari a ogni inserimento in un ordine sociale. Una vicissitudine tormentosa, priva di giustizia. Anche perché senza di loro l'unità nazionale non sarebbe stata possibile. Jacquérie anarchiche, dicono i francesi. Così era anche durante la spedizione dei Mille. I contadini si alleavano facilmente col generale liberatore, ma tendevano a non rispettare la legge, con la conseguenza che persino l'Eroe dei due mondi - personaggio storico maltrattato dai luoghi comuni contemporanei a noi ma in realtà capace di far scaturire comportamenti carichi di generosi ideali rivoluzionari, e senza arricchissirsi con la politica per quale non era affatto portato - persino Garibaldi dopo aver rovesciato l'ordine costituito doveva allearsi con gli agricoltori per il rispetto di un ordine. Così i contadini vedevano combattere una guerra civile fra ceti emergenti diversi, erano protagonisti per l'impulso che sapevano dare (sempre pronti a bruciare un catasto, deviare l'acqua del mulino del padrone, appropriarsi di terre altrui ecc. spinti dalla miseria) ma finivano ai margini della rivolta. E degli onori conseguenti. Non sono riusciti per tutto l'Ottocento a unirsi in sindacati. La miseria li ha resi diffidenti l'uno dell'altro. Solo nel Novecento è maturata l'opportunità di un riscatto, prima che la Grande guerra prima, che li ha sterminati con l'infernale strategia del criminale di guerra Luigi Cadorna (come definire chi pratica strategie belliche così catastrofiche?), e poi il fascismo e l'industrializzazione più spinta li facesse sparire dalle campagne. In fondo alla società italiana sembra però che la maledizione sia rimasta. La situazione descritta dalla "Storia d'Italia" di Denis Mack Smith (Editori Laterza) cambia attori sociali ma non muta stile.
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Post n°12 pubblicato il 01 Settembre 2010 da pensierostraziato
Tu dove pareti di ghiaccio memorie non traspirano aleggiavi angelo d'ombra, né ti catturavano intuizioni o paradossi errabondi nel tuo planare senza storia come foglia d'eden come pensiero sfuggito a una mente divina e incrinata, finché insensibilmente un greco sulla vetta inviolabile del gelo hai raggiunto abbracciandolo, e frasi gli sussurravi intessendole a rimandi concentrici e vorticosi, scurendo il suo sguardo dorato. Le nubi ti decifravano, angelo oscuro, principessa che non torni, principessa di sogno, angelo, angelo nero d’un universo da sempre estinto; le nubi s'affoltivano attorno a te, principesssa, il tuono ruggiva memorie ma gli occhi greci sopportarono la tempesta che t'involse, principessa nera, poiché rimasero le stelle più lontane, gli astri d'un enigma inspiegabile. La tempesta è nel cuore, la serpe nel cuore che brucia, la principessa nel nero fuoco del cuore. (aprile 2008)
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Mancano solo le ascisse e le ordinate, eppure nulla sembra più serenamente in ordine come l'ambiente mozartiano: fonte di pace interiore, terreno di palpitante vitalità orientata a un lieto, gratificante, quieto sviluppo. Sembra che così apparisse a Tchaikovski: un miraggio illegittimo dalla genesi autogiustificata, prodotta sulla via del rifugio della sua gloriosa follia creatrice. La villa palladiana, il salotto ottocentesco, il giardino francese, l'ambiente dominato dall'architettura, dalla pace dell'ordine, come un eden umanizzato, civilizzato. Un miraggio tuttavia indifeso. Irrompe la furia degli incubi confessati nelle ultime tre sinfonie (la Quarta, la Quinta e la Sesta). Incubi, visioni diaboliche, orribile, che sconvolgono l'animo. L'isola mozartiana, quello stile settecentesco che spunta qua e là, quella grazia che affiora nei balletti, in alcuni brani sinfonici, viene travolta. Imperversa la furia, che s'impossessa della potenza del genio russo, esaltato, entusiasta, posseduto da una torbida gioia creatrice noire. Sembra potenza infernale, che però si salva lanciandosi nel volo di quelle melodie altissime, travolgenti, vertiginose. Che ne è più del romanticismo? Si apre un orizzonte sconvolto e irregolare. Il romanticismo si squarcia a uragani passionali. E' il tempo delle rivolte di massa dei servi. Dei moti rivoluzionari in Europa. Le sinfonie di Tchaikovski sono scritte per un tempo ulteriore. |
Ricordo i tuoi pensieri generarsi |
Senza vento, ciascuna foglia iniziò a sussurrare |
Tu eri e io non ero e lo sentivo in quel fruscio di sussurri intrecciati, porte che si chiudono, passi nei cortili, e parole traspirate dai muri. Solo tu esistevi, una voce che seguivo e da dentro mi raccontava: era la tua dolce malinconia, il tuo autunno, il tuo sole dai raggi che ormai affaticati strisciavano in quella sera che variava ogni sera, dalle sfumature color caffé e le passioni raccontate dal violinista che mi avevi presentato quel giorno lontano, dal quale non so se oserei ripresentarmi con quella giacca strapazzata dalle note. Lo so, lo conosco il colore dei tuoi occhi quando pensi quelle cose. La temperatura è salita dentro di noi, dentro e lontano forse, nel nostro Paese, laggiù, dove troverai il sole, il tuo sole, i riflessi dei tuoi alberi che conosci credo per nome, che ti confidano vicissitudini narrate da piogge curiose, affettuose, invadenti! Io lo so che qui si specchiava la luna. Non te n'eri accorta, ma per questo l'aria era così dolce fra noi. |
Post n°6 pubblicato il 24 Luglio 2010 da pensierostraziato
L’ultimo respiro cambiò il colore delle assi di legno della sua camera, dal marrone scuro sottratto agli alberi che ancora ne pativano, lasciando una macchia alabastro in mezzo al bosco, a un viola variegato, un caleidoscopio di sfumature del nero più amaro e profondo. Piangevi per lui, e lui era, lo sentivo. Faceva l'operaio e non sapevamo bene nemmeno come si chiamasse. Quello sguardo ti faceva male, per quanto fosse sereno. "Entrava in una fabbrica degli anni Cinquanta, concentrandosi su una vecchia foto" ci avevano raccontato. Riappariva di sera con la tuta sporca, stravolto. Si diceva che a casa avesse un laboratorio, dove di notte costruiva un meccanismo magnetico vegetale composto di ibridi spesso inaccettabili. Eppure proprio lui aveva visto quei personaggi che ti seguivano e di cui nemmeno conoscevi l'esistenza: la signora con l'ombrello da sole e la borsetta rosa, che cambiava anch'essa colore, come l'ombrello, non sai se per l'umore o il clima. Vedeva anche il 14enne che componeva musica e si avventava su ogni pianoforte che trovava e la ragazza innamorata seguita da pettirossi saltellanti, da colombe, persino da fiori. Non ci potevo credere ma così raccontava colui che aveva preparato una piccola valigia dicendo che sarebbe servita alla sua anima. Ormai la valigetta era sparita: nemmeno questo si comprende. Barbara sostiene che era stata proprio l'anima a portarla via. La psiche che era rimasta ancora piccola, con l'altezza di un ragazzo. Così lo immaginava colei che mi avrebbe voluto sposare, alla quale non potevo credere nemmeno questa volta. Faceva l'operaio, è vero, questo solo era certo. Solo di rado lo incontravo. Arrivava un gabbiano lungo la spiaggia. Quel gabbiano, sempre lo stesso. Pensai anch'io, come diceva Barbara, che venisse mandato da lui. Eppure ogni volta lui mi aspettava. Dico lui. Penso "lui". Eppure sono io. Io e lui. Mi aspettavo. Mi avvicinavo a me stesso. Al funerale non avrei invitato i tuoi fantasmi inconsapevoli, se avessi potuto comunicare con loro. Venne il cielo, ma disunito, spaccato, come fosse stato spezzato. Era disorientante vederlo dominare su ogni cosa altissimo e scardinato, come una porta impossibile. Fra le presenze del tuo dramma la ragazza sembrava circondata da stelle polari, al punto da non poter camminare. Sedette in riva una roggia, confortata dalla madre. Quel che più meravigliava erano le condizioni della salma dell'operaio, poiché avevano inifinite ubicazioni sul pianeta. Ciascuna cellula del suo corpo si era scomposta e come per un'insospettabile forza reattiva e disgregatrice le une erano finite immensamente lontane dalle altre. Vidi una fabbrica nel deserto fustigata da opposti venti prima fischiare poi emettere suoni d'organo. Suonò una sirena. Cantò una sirena. Vidi un uomo non lontano piegarsi in due dal dolore e lo udii parlare di un mare lontano. Il suo sguardo sembra ribollire di memorie. Si aprirono i cancelli della fabbrica. Vidi uno sconosciuto uscire, un operaio. Uscii e vidi uno sconosciuto, e non lontano un uomo contorcersi dal dolore. Vidi uno sconosciuto uscire dalla fabbrica e avvicinarsi a me. Uscii dalla fabbrica e vidi il proprietario. Mi guardai negli occhi. Mi chiesi: "Chi sei?" con due voci in due deserti e i cieli si sdoppiarono e l'organo impazzì di una musica che costringeva le stelle a muoversi. I due deserti danzarono. La terra si muoveva nel vuoto. L'uomo piegato in due dal dolore si rialzò e corse disperato verso uno spicchio di mare. Io ed io ascoltammo i silenzi di due lune spezzarsi per due deserti. Era il nostro cielo di due lune rosse e delle stelle sdoppiate che danzavano follemente per amore della musica che ogni cosa strappandone l'essenza aveva attraversato. Fu la musica a uccidere il proprietario della fabbrica. Prima di spirare delirava di un cielo con due lune e di una musica d'organo e di stelle che danzavano sdoppiate. Nessuno udì il colpo di pistola. |
Argentea farfalla notturna che il sogno attraversi sino al fiore amaro di psiche, tu che ignota e intima trascorri l'anima a sé estranea, guida nella terra dei riflessi estremi me che fra polvere e macerie come un cieco vago smarrito, e fa' che la danza d'ombra del tuo palpito d'ali io possa decifrare nell'uragano del tempo. La lunga corsa verso il sogno si arresta qui, dove l'ultima oscurità invade il cuore, ombra di memoria, tepore d'assenza. Poi il balzo senz'ali oltre l'orizzonte, nel regno del sogno che infinite intesse lontananze. Rivolta alla tua ultima eco sboccia, fra le pietre d'un chiostro al confine del pensiero, la rosa della superstite follia, che diffonde il silenzio d'una preghiera nel cimitero del mondo. Mi scaldo al tepore della luna, ti chiamo, t'invoco, eternamente lontana principessa nera. Un'onda di memoria inquieta l'intimo abisso che ti protegge, fragranza d'anima in lacerazione. Alberi immensi sovrastano il dolore. L'ansia del vento abbraccia in fuga rami e foglie, la luna nera sta per tramontare. Io sono nel regno della morte, dove senza rumore seguo l'argentea farfalla del sogno. Tu principessa incantata, del lago ghiacciato del cuore sei prigioniera, dove specchi deformanti si susseguono senza fine. Costellazioni spente irradiano echi di disarmonia celeste. Piove nella mente la grigia acqua del lago di morte ove tutto s'acquieta. Nel delirio del tempo, nel futuro senza tempo, le nostre anime s'abbracceranno, ombre fiammeggianti nel silenzio del mondo. |
Post n°4 pubblicato il 24 Luglio 2010 da pensierostraziato
Profugo di Babele, guidato da uno stomaco veggente |
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