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« blog bottino del giornoMessaggio #43 »

E quando non hanno più scelte da fare che molti si accontentano invece di decidere.

Post n°42 pubblicato il 23 Febbraio 2006 da renatosanna
Foto di amya

Non era il solo a conoscere la verità. Tantomeno l’unico.
Altri prima di lui avevano avuto quell’esperienza. Altri prima di lui potevano vantare, se di vanto si tratta, quella capacità.
E lui continuava a pensarci. Ogni giorno, ogni ora... ogni minuto.
Sempre, sempre... SEMPRE!.
Non era questo il modo di affrontare una cosa... Non era questo il modo di viverla.
Lui non lo voleva accettare ma la sua vita era anche questo. La coscienza di saperlo.
Si addormentò.
Era tardi. Sognava....

Il mattino si alzò presto. Non aveva sonno... la giornata era splendida, calda, umida ma splendida.
Non aveva voglia di recarsi al lavoro. Era troppo bello il giorno da vivere per sprecarlo lavorando.
Ma non aveva soldi, e quelli che guadagnava li servivano.
Prese la moto e partì.
Un po’ come tutte le mattine.
L’umidità la leggevi nell’aria quasi fosse nebbia, foschia.
Si concentrò nella guida. Troppe macchine circolano al mattino a Genova e tanti sono i pericoli da evitare per conservarla, questa fragile vita.
Passò oltre la via. Sapeva che lei stava li.
Bellissima come sempre.
Quei lunghi capelli un po’ scuri, che il sole schiarisce... quegli occhi dolci. Puoi scioglierti a osservarla.
E intanto la cerchi, la speri, la vuoi.
E lei... è li.
A pochi passi da te. Ma tu... o non ne hai il coraggio o non lo vuoi affrontare o aspetti che il mondo giri da se e nel frattempo sopravvivi.
Oppure speri.. credi. Forse tutto cambierà... in fondo quello che a te piace è questo. Ti senti un po’ sadico perché cerchi lei ma non la trovi, non la vuoi trovare. Oppure la sensazione che tutto non sia come te lo immagini... ti uccide. E morirai così.

Con tutto è così.
Una cosa la cerchi, la desideri, la speri. Poi... eccola li: “e ora?. Che faccio”.
Lo so era proprio quello che volevo, il giocattolo tanto sperato da un bimbo. E cominci a smontarlo. Ci giochi dalla mattina alla sera. Te lo porti a letto. Te lo tieni stretto.
Poi un giorno lo lasci a casa, il giorno dopo lo metti in una scatola e alla fine... finisci per dimenticartene.
Ma lei, lei no. Non è un giocattolo.
Ogni giorno sa... farmi impazzire. È diversa ogni giorno e ogni giorno con lei è davvero diverso.
È un qualcosa di instabile.
Credi che lei si comporti così... dai per certo che quello è il suo comportamento... alle volte ci rimango un po’ male!.
Ma è lei... l’unica.
E intanto il tempo passa, il semaforo verde. L’ultimo: che rumore fastidioso.
Mi svegliai.
Avevo dormito bene. Tutta la notte.
Mi alzai, stavolta sul serio. E mi recai al lavoro.

Il telefono cominciò a squillare, come sempre.
“È per te...”, disse passandomi la cornetta.
“Grazie”, e risposi: “Pronto?”.
“Ciao... non mi riconosci?”: Pantera!.

Non la riconobbi subito, ma poi... una volta avevo sentito la sua voce. L’ho conosciuta o meglio ho parlato con lei qualche volta, via chat. Sapevo solo che è una persona dolce, simpatica anche carina, forse, comunque un’amica.

“Dimmi Ale... come mai...”, lei capì.
“Ho bisogno di aiuto”, aggiunse, “per favore, incontriamoci e ti spiego”.
Non ci incontrammo mai. La vidi soltanto... all’obitorio.

Era bella.

Arrivai li puntualissimo. Ma qualcuno aveva pensato di porre fine alla sua dolce vita.
Ero incazzato. Con me, con il mondo, con la vita.
La polizia mi tenne sveglio tutta la notte: non mi credevano.
Poi il mattino dopo mi lasciarono andare.
La mia vita da quel giorno cambiò.
Mi sentivo seguito, osservato, controllato.
Il mio telefono. Anche lui come me.

Ero stanco.

O forse non avevo voglia di vivere. “A che serve vivere?”, mi chiedevo... “sforzarsi di essere, di diventare, di sembrare quando poi.. così. Ti svegli un giorno... hai un sospetto e... . Finita li, per sempre”.
Mi addormentai sul divano.
Mi svegliai per le 20.00 più per la fame che per il sonno. Accesi il PC, non so perché. Forse volevo solo parlare con qualcuno che non conoscevo.
Posta.
Chi è che mi scrive... a già... Punto Informatico.
Vediamo un po’ che dice:


SONO ENTRATA ADESSO IN RETE E TI HO TROVATO SMACKKKKKKKKKKKK.
OGGI NEL POMERIGGIO PROVO A METTERE I FILE.. WOWOWOWOOWWOWOWOWOWO
POI TI RISCRIVO E TI DICO COSA E' SUCCESSO.. UF NON VEDO L'ORA DI
PROVARE MA ADESSO C'È GENTE E ROMPONO.. E VOGLIO STARE TRANQUILLA..
A PIÙ TARDI DOLCE RENATO E GRAZIE GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
:-)))))
ALE

Non può essere, lei è morta. Chiusi tutto e tornai a letto.
Ero troppo stanco per lavare i piatti.
Guardavo il soffitto. Avrebbe bisogno di una rinfrescata. Si, si. Sono solo cinque anni che non gli do il bianco. Anche la tappezzeria andrebbe cambiata.
“Ma certo... idiota”, mi alzai, accesi il computer e stampai il messaggio.
Sicuramente me lo ha spedito prima di... certo e magari voleva dirmi qualcosa.
Strappai letteralmente il foglio dalla stampante, “sempre lenta”, e lo rilessi con calma.

“SONO ENTRATA ADESSO IN RETE E TI HO TROVATO SMACKKKKKKKKKKKK
OGGI NEL POMERIGGIO PROVO A METTERE I FILE.. WOWOWOWOOWWOWOWOWOWO...”

“Sono entrata adesso in rete... e ti ho trovato....”, forse non è lei a parlare. Ma qualcun’altra o qualcun altro. “Sono entrata...”, per forza qualcun’altra.
“Ti ho trovato...”, sa che uso LOL e che mi connetto come Renato: un’amica di Alessandra, un amica di chat o un amica...
“Oggi nel pomeriggio provo a mettere i file”. Dove?.
Bella domanda.
Questo è il primo enigma.
“poi ti riscrivo e ti dico cosa e' successo.. uf non vedo l'ora di provare ma adesso c'è gente e rompono.. e voglio stare tranquilla..”.
“Poi ti riscrivo”, cazzo.
Presi il modem, lo accesi... la linea telefonica: Tac. Connesso!.

“Sorry, you don’t have any new mail.”.

Secondo enigma. Poi... Quando?.
“voglio stare tranquilla...”, probabilmente in ufficio o comunque non a casa sua. A casa di Alessandra.

A PIÙ TARDI DOLCE RENATO E GRAZIE GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
:-)))))
ALE

Come?.
Come fa a sapere che lei mi chiamava dolce.... terzo enigma: Come?.
Come... dove, quando. Le cose che tutti sempre si chiedono. Eppure quei file... sono convinto che da qualche parte sono. E aspettano me.
In ufficio. Certo nel suo ufficio. Ma come faccio a entrare e a curiosare sul suo PC.
Questo lo vediamo domani. Adesso nanna.

Via A. Castelli... eccola.
Computer On Line. La sua attività.
La vita continua. Forse non era l’unica socia o forse... clienti da soddisfare, comunque.
Ma certo che stupido: entrai.
“Buongiorno”.
“Buongiorno... posso esserle utile?”, un commesso gentile.
“Si. Mi manda il commercialista e vorrei...”, mi interruppe.
“La stavo aspettando. Però ho un problema, i file che cerca sono nel computer di Alessandra”, si interruppe.
“Si ho saputo e mi dispiace”, aggiunsi.
“Sono sempre i migliori che se ne vanno”, disse, “...ed io non so come fare per copiarli”.
“Lo posso fare io”, aggiunsi, “se per lei va bene”.
“Si certo. Il computer è di la, l’accompagno”.
Era parecchio che non avevo una fortuna del genere.
“Ed ora al lavoro... password.... pantera”, esatto!.
Aprii Eudora, meno male che anche lei lo usa per la posta, e... “Non è stato spedito un messaggio”, due attach. I file che cercavo.

Corsi subito a casa. Dovevo aprirli e leggerli.
Due file dati tanto inutili quanto incomprensibili. Ma forse valevano molto. Molto più della sua vita.
Ero convinto che quelli erano il movente della sua morte. Ma non li capivo.
Dovevo capirli.
Mi restavano ancora due enigmi: come e quando.

La mattina entrò in camera mia invadendola letteralmente. Il sole illuminava il mio viso, il mio corpo e tutta la casa.
Sono giorni come questo che ti aiutano a vivere, che ti caricano le pile, che...
Ma lei.. chissà se esiste un futuro, un mondo parallelo. Non so.
Lei non vedrà più il sole. Ed io.
Io, perché. Forse dovrei andare alla polizia e dire tutto.
Consegnarli i file.
Magari loro sanno qualcosa e io no.
Bussano. Chi sarà mai a quest’ora?.
“Chi e?”, aprii.

Mi ritrovai legato ad una sedia, mani e piedi, ed un livido in testa.
Potevo essere ovunque. Non sapevo nemmeno quanto tempo era passato. L’orologio non riuscivo a vederlo.
“Grazie”, una voce lontana.
“Grazie di che?, chi sei?”.
“Non mi riconosci... dolce Renato!”, rabbrividii.
“Tu?, ma non eri morta?”.
“Si questo lo pensa la gente... e ti ringrazio per questo”, aggiunse.
Del tutto incredulo aggiunsi, “perché grazie a me...”.
“Hai riconosciuto il mio cadavere... hihihihihi”, allora quella era veramente la sua risata.
“Perché proprio io...”.
“Tu eri perfetto. Non mi avevi mai visto ma mi conoscevi... non sapevi com’ero ma lo immaginavi”, rise nuovamente, “un complice perfetto”.
“Perché mi hai scritto ancora”, continuai.
“Tutti possono sbagliare, anche tu. Sei partito subito, senza leggere la posta... maledetta rete.”, cominciava ad arrabbiarsi, “ma sei riuscito a superare l’ostacolo”.

Mi baciò.

Avevo immaginato più di una volta come potesse essere un suo bacio. Quale sensazione trasmette, quali emozioni può darti. Ma ora, non sentivo nulla di tutto questo. Come se quel bacio non le appartenesse. Si certo la situazione era cambiata, ma quelle labbra non avevano quella dolce sensazione che avevo immaginato. Errori ne ho commessi tanti con lei, uno più uno meno.
Uscì:
“Grazie per i file...”.

La corda che mi stringeva le mani si allentò.
Rimasi solo in quella stanza e, per fortuna porto sempre con me il mio coltellino. In un paio di minuti mi liberai.
Corsi verso la porta a origliare.
Non si udivano rumori. Silenzio.
Provai a girare la maniglia, aperta. Probabilmente non pensavano mi potessi liberare.
Un corridoio lunghissimo e altre tre quattro stanze.
Udii dei passi, provai ad aprire una stanza ed entrai.
Lei era li. Legata.

I suoi occhi, teneri mi osservavano chiedendomi aiuto. La slegai. Rimasi immobile a osservarla.
Attimi, emozioni, sensazioni. È un istante la vita. È un attimo. Lo vivi, lo cerchi lo speri e quando lo trovi devi essere pronto. Pronto a coglierlo, così come viene. La baciai.
Provai quella sensazione che prima cercavo.
Quell’emozione che avevo maturato in me e che volevo, e cercavo.
“Alessandra...”, azzardai forse con il cuore.
“Si... come fai a sapere il mio nome”, rimasi impietrito.
“Sono Renato”.
“O mio dio... anche tu”, disse quasi senza speranza.
“Perché che succede...”.
“Ho una sorella, gemella”, e poi aggiunse, “una pazza. Quando eravamo piccole e i nostri genitori morirono in un incidente, lei impazzì. Finì in un istituto di cura ma ora è scappata. Mi tiene qui perché ancora non è riuscita a trovare i documenti che la porterebbero nuovamente in galera. Ho registrato la conversazione nel mio computer in ufficio...”, si interruppe.
“Ma se tu sei qui allora... ha già i file... te li avrei spediti per posta. Dimmi di no ti prego”, la sua voce si sciolse.
“Stringimi forte...”, lo feci, “non lasciarmi mai”. Morì.
Erano passati quattro giorni, senza mangiare ne bere. Non ce la faceva più. Poverina.
Si spense fra le mie braccia. Un sorriso rimase impresso sul suo viso. Un dolce sorriso che conserverò sempre nel cuore.
Riuscii a scappare e l’arrestarono. Mi ci vollero due giorni per spiegare tutto alla polizia, ma alla fine mi credettero.

A volte penso che lei non sia morta. Credo che lei sia ancora li. Come se in quell’ultimo bacio, il suo ultimo contatto col mondo, la sua anima fosse passata in me. Mi piace sentirlo.
Mi piace pensarlo.
È strana la vita. Conosci qualcuno, anche solo un istante e ti accorgi che invece lo conoscevi da sempre.
Non so se esistono gli Angeli, se volano in cielo. Non so se sono tra noi.
Anche oggi, anche ora, mi sembra che nulla sia accaduto. Che lei non sia mai esistita, che la mia fantasia... No. Lei c’è!. È qui. Quel giorno, quel maledetto giorno nevicava:
Anche oggi.

È così dolce la neve. Forse la purezza, la semplicità di ogni suo fiocco...
Oggi il cimitero è chiuso. Mi spiace non poterla andare a trovare.
Ma lei, so che mi guarda.
A volte mi sembra di parlarle... A volte mi sembra di trovare quel suo sorriso, chiacchierando con qualcuno.

Non so se lei viva in me. Ma è così che mi piace amarla.
R!

 
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