Creato da littlelone il 06/02/2014

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le avventure di un espatriato

 

 

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elegia del teatro albatros

Post n°16 pubblicato il 20 Marzo 2015 da littlelone

 

 

Da qualche settimana ho cambiato lavoro. Faccio il maestro di microfoni, dice Lorenzo. Technical Manager hanno scritto sul mio visto. Lavoro per la Shure. Quindi posso dire che la mia precedente carriera è terminata, almeno per ora. Non faccio più il fonico, basta concerti, adieu tour. Da molto tempo avrei voluto scrivere di quel che sono stati questi anni in giro per l'Italia e il mondo, a girare pippoli sui mixer o ad accordare le chitarrine, e ho provato ad iniziare il racconto da punti diversi. Poteva iniziare dalla fine, quando la voglia se ne è andata del tutto. Era il deludentissimo tour 2012 della Mannoia. Ma forse la fine è arrivata a Trieste, dicembre 2011, quando, sorpreso di essere ancora vivo Maurizio mi ha abbracciato davanti al corpo di Francesco Pinna, ucciso dal ferro maledetto e dall'avidità. Potevo iniziare da Baglioni in Sud America e Australia e da quelle telefonate su Skype con Lorenzo piccolissimo, che sono diventate la norma oggi. O prima. Magari quando Pino Daniele, era suo il mio primo cd, mi disse che ero licenziato, e io rimasi senza parole. In Giappone con i Meganoidi, ubriaco di rum dopo il primo concerto a Tokyo? O una delle date con gli amatissimi Timoria davanti a un oceano di gente? O forse l'inizio era stata la mia prima data di un tour, con i Dirotta su Cuba, a fine anni '90 in un'assolato paese della Sicilia chiamato Corleone? Molti gli episodi divertenti, le stranezze da artisti, gli aneddoti (o nanetti, come li chiamava Luigi negli interminabili viaggi in cui mi ha spiegato come gira il mondo) ma anche le delusioni, le facciate, i giramenti di coglioni di cui raccontare. Non mi mancherebbe la possibilità di autocompiacermi come, comunque, ho appena fatto per un percorso che è stato quello che ho voluto, anche con una certa testardaggine, e di cui sono felice. Ma c'è un momento e un posto preciso che sono davvero l'inizio. 

 

Era ottobre, e l'anno doveva essere il 1993 quando con il mio amico Simon, quello tanto amico e da sempre, che è un pezzo di me, alle ore otto in punto ci siamo presentati davanti alle porte del teatro Albatros. Era il teatro del dopolavoro ferroviario del nostro quartiere, mica il CBGB, e sui cartelloni c'era scritto che il concerto sarebbe iniziato alle nove e mezza. Noi arrivammo un po' prima per paura che finissero i biglietti, e poi, a dirla tutta, eravamo lì per il gruppo spalla che quei francesi che avrebbero suonato dopo mica li avevamo mai sentiti. 

Se qualche giovine si imbattesse in queste righe mi piace ricordare che è esistito un tempo in cui non c'era youtube, internet era una roba da nerd appassionati di matematica, e in cui per sapere cosa suonasse un gruppo di quelli che non passavano nelle radio si poteva comprare il vinile, k7 o ciddì o andarli a sentire dal vivo. L'unica eccezione era un amico più grande che ti passasse le cassette su cui aveva ricopiato i titoli e gli autori delle canzoni, ma ai tempi della nostra storia quell'amico ancora non c'era. So chi ci accolse alla porta di quel teatrino di provincia, con l'aria stupita, mentre il gruppo usciva per andare a cena finito il soundcheck (anche qui parlo col senno di poi: non sapevo chi fossero nè cosa fosse un soundcheck) perchè poi è diventata per un po' una sorella maggiore, e riesco a immaginare le risate alle spalle di quei due mocciosi che volevano già entrare. L'attesa fu abbastanza interminabile. Un paio di birre al bar di fronte, probabilmente ordinate ancora con l'imbarazzo infantile, forse una canna (dai mamma, non ti arrabbiare, anche se lo so che ti arrabbi comunque!) alla stazione di Rivarolo. Poi entrammo, comunque tra i primi, nel teatro  buio, con la musica di sottofondo. Dopo, molto dopo, iniziarono a suonare. Non era il mio primo concerto. Ne avevo visti un paio al palasport, tra cui Baglioni con uno strepitoso, e probabilmente annoiato, Tony Levin al basso. Ma quella era un'altra roba. Se i Sensasciou erano potenti, e lo erano, la band franco-algerina, come avevo letto sul secolo xix, primaria fonte delle mie conoscenze in quel momento, gli Zebda furono una pura detonazione nucleare. Funky, rap, rock and roll. Chitarra, basso, batteria, tastiera e tre voci, che, grazie a una certa dimestichezza col francese, a tratti capivo. Non erano poesie in musica come De Andrè (anche lui visto in teatro l'anno prima), erano ribellione, violenza, libertà. Non avevo mai superato l'imbarazzo, il mio sentirmi, probabilmente a ragione, goffo e ridicolo, nemmeno l'estate precedente quando Chiara provò senza successo a trascinarmi sulla pista di una discotechina in Corsica, ma quella sera ballai come un tarantolato. 

Quello fu l'inizio di una serie di concerti strepitosi, in un periodo fantastico per la musica italiana e non. E l'Albatros divenne la nostra Chiesa. Lì si officiava il sacro rito del concerto, e per qualche anno da lì passarono tutti. 99 Posse, Almamegretta, Lou X, Urban Dance Squad, Frankie Hi Nrg, Dee Dee Ramone, Bisca, Joe Ely, Casino Royale, Daniele Silvestri, Ozric Tentacles, Ottavo Padiglione e infiniti altri. Vidi spettacoli incredibili. Ma ben presto il posto in sè assunse un'importanza notevole. C'erano i miei amici, c'erano un sacco di persone che non conoscevo e che avrei voluto conoscere. C'erano Maria e Totò, che erano i promoter e molto di più in quel luogo magico. Talmente magico che spesso finivamo per passarci anche le noiosissime domeniche pomeriggio quando da club alternativo si ritrasformava in un tranquillo cinema di provincia. Fu da lì che iniziò il mio amore per i concerti. Da quel luogo e da quelle persone. Con loro iniziai a scaricare furgoni, tirare i cavi e ad attaccare lampadine chiamate PAR a una roba di ferro che si chiama americana.

Fu in una di quelle serate all'Albatros che la fascinazione per i concerti, che avevo già subito quando Bob Dylan suonò a Genova nel '92, vedendo gli omini in nero affaccendarsi con le chitarre sul palco di Vasco Rossi-"Gli spari sopra"  o di Ligabue"Sopravvissuti e sopravviventi", sbocciò definitivamente. 

E divenne una roba seria col tempo. Quando la mia fidanzatina terribile mi stava per fare impazzire alla fine del liceo decisi di andare a Milano alla SAE, pensando che quello che avevo fatto qualche volta per il gruppo del mio amico che mi spacciava le cassettine coi titoli forse poteva diventare davvero un lavoro. E proprio Totò mi chiamò, gennaio 1999, come fonico di palco nel locale che avrebbe dovuto raccogliere l'eredità dell'Albatros. Gli anni 90 stavano finendo e con essi quell'ondata di energia e ritmo che li aveva caratterizzati, per me era il periodo della tekno e dei free-party e quel posto fu un gabbiano più che un albatros. Nonostante il posto non fosse all'altezza del precedente aveva una situazione tecnica migliore e quei mesi furono per me un buon modo di finire la scuola. Da lì partii in tour, in un girare isterico durato 15 anni, in cui ho rivisto dal punto di vista del palco quasi tutti gli artisti e gli show che mi avevano impressionato. E oggi che non è più il mio lavoro sono piuttosto felice del fatto che dopo averne visto un po', coi miei alti e bassi, me ne sono andato anche perchè non c'era più niente che volessi fare.   Quel mondo ha smesso di fare per me, o io per lui. E qui, in questo pazzo posto, ho trovato un nuovo lavoro, che mi sta dando un sacco di motivazioni. Ma tutto ha avuto inizio quella sera troppo presto davanti all'Albatros, e quando pubblicherò le mie "memorie di un backliner" è da lì che inizierò a raccontare.

 
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