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« la notte è stata breve n...la fottuta, brutale verità »

c'è tanta gente alle nozze di Cana

Post n°125 pubblicato il 19 Ottobre 2013 da andrea_firenze
 

c'è tanta gente alle nozze di Cana, ma tutti si interessano solo a chi trasforma l'acqua in vino e sta già fuori dalla bolla. E invece un delfino è in ogni poesia, come in ogni mare. Non si dovrebbero gettare reti in acqua. La faccia dell'uomo è pensierosa, senza misteri e con tanti denti di fronte al miracolo; seppellirà tutto nel sangue e non ci saranno più pianure sconfinate dove non avvertire mai la sensazione di essersi persi poiché non si sono potute imboccare strade sbagliate. Quanti uomini per le vie affollate come di spighe di grano, con la schiena affrancata dai campi che non hanno bocca, dalla terra antica che conserva idee nelle caverne come ricordi inconfessati. Le loro facce, piccole come chicchi d'orzo, abitudini ad una quantità di dolore, sono protette dalle frottole d'aria che gli escono dalla bocca, dalle montature precise e fragili degli occhiali, dalle mani ancor più piccole, così tutte simili ed avide sulla diversità dei genitali altrui. È così strano e contorto passarsi accanto e che ogni emozione ruoti intorno e converga alla linea ed al cerchio. E come abbia potuto abbandonare ogni autostoppista al margine della strada, mentre avrei voluto prenderlo a bordo. Sento la paura che ci alita nel petto, la stessa che mi saliva alla gola quando ti baciavo e carezzavo di lato la tua testa bionda e liscia, gonfia di tanto cervello, prima nell'orto dei limoni, poi sotto la statua del sommo poeta, sempre così accigliato. Per quanto fosse dolce, ho sempre provato desiderio e repulsione per ciò che nasce nella deformità; e soffro del fatto che gli occhi non si possano toccare là dove luccicano e spumano come la chiocciola che si ritira nella conchiglia. Conosciamo l'introspezione solo verso l'esterno, nel disporre i fatti e le persone sui mobili come maioliche affinché ciò che esiste e noi stessi siamo compatibili non solo all'esistenza ma anche all'immagine che ce ne siamo fatti. Ma niente si può dedurre da questi isomeri, se non le copie invidiate delle rappresentazioni di un unico canovaccio. L'ossessione è spargere ovunque questi idoli mummificati come candele, tutti con la nostra stessa faccia. E la vorresti poter lasciare impressa nella carne e stamparla sui libri, firmata nei quadri come la pisciata del cane sul prossimo albero, sulla prossima inferriata. Ed eccolo là il tuo sosia che ti viene incontro, per le vie del centro, appena fuori dalla porta di casa, dietro ogni angolo, malato di fregolismo proprio come te. La tua bocca può cambiare accento ed i tuoi occhi espressione. Soprattutto puoi scopare di più, scopare negli altri ogni altro te stesso. E scavare, scavare, scavare ancora. Appuntare la matita. Ma non hai mai niente in più; non sai mai niente di più. Esistono reazioni ma non colori. Tutto fa parte del sistema; non c'è cosa in sé. Ed ogni forma di coscienza ed esistenza è solo uno degli infiniti microsistemi, dei tanti freni tesi come molle. Se ci pensi, il secondo principio della termodinamica lo puoi applicare a tutto: ai corpi in decomposizione, alle società, agli artefatti, alle famiglie che si disgregano, ai figli che se ne vanno, all'ubi sunt dei popoli antichi, alle lingue e a tutto il resto. E ogni mano che stringo ed ogni cosa che vedo o provo è un argine provvisorio di fronte all'aumento dell'entropia, prima di nuovi argini. Ogni cuore è destinato ad essere infranto. Specialmente quelli pieni di speranza, affaccendati ed impegnati dietro ad ogni cosa su cui sperimentare un'inconscia, inattuabile sottomissione. Come quelli di queste ragazze accampate nel cortile dell'università, fra le buste dell'Ikea e i palloncini colorati. I loro polsi stretti lasciano trasparire deboli vene di colore opaco, la pelle di un lombrico. Disquisiscono senza senso su ciò che non conoscono, di Gaza e della Palestina, appoggiate alle cassette della frutta "orchidea". La più carina ha portato una chitarra sulla cui cassa ha scritto la parola "ribellione" con un pennarello rosso. È una specie di contrappasso l'illusione di fermare il tempo e la storia, non diverso dalla casualità della distribuzione delle molecole sul tuo bel viso. Non c'è nulla in quella parola. Avete portato troppe cose. Vi siete vestiti. Di qui a qualche giorno ve ne andrete. Nel frattempo, con qualcuno di questi ragazzi, fra una parola e l'altra, vi stuzzicherete i genitali e sarete già scesi a compromessi. Lo striscione si sta già inclinando. I gabbiani sono in cerchio sulla vostra orda di schiavi, come sui letti degli ospedali, come sui gladiatori nell'arena. Presto qualcuno o qualcosa morirà insieme ad ogni labile pensiero e non resterà nulla di un'idea. Ribellione è un po' d'acqua su una tavola liscia. La libertà che cerchi è sacrificare tutto e subito. Tutto e subito è il corpo che ti tiene in braccio.

 
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