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č incomunicabile ciņ che abbiamo posseduto

Post n°128 pubblicato il 30 Ottobre 2013 da andrea_firenze
 

è incomunicabile ciò che abbiamo posseduto. La proprietà non appartiene alle parole, che si limitano a scimmiottare le cose. Vorrei che sapessi quanto è vero ciò che non ti ho detto, allo stesso modo in cui hai conosciuto il sudore del mio petto contro la tua schiena. Potresti vedere con i miei occhi le mattonelle fredde del tuo bagno angusto, del colore dell'acqua sporca; la bilancia su cui dondoli un po' ogni mattina, concentrata, e la fila di scarpe consumate di te e dei tuoi genitori, indossate quasi tutti i giorni, che segnano il percorso a cui non si fa caso. Uno dei tuoi capelli lunghi e profumati se ne sta attorcigliato nero in un angolo; il mio corpo muscoloso è nudo nello specchio, un po' ridicolo col profilattico spiegazzato come un calzino, non ancora sfilato: è l'istante incredibile ed irripetibile in cui tutto il tuo ed il mio mondo sono fioriti insieme, in una notte d'aprile, e subito sono gelati senza che ci fosse nessuno a darne testimonianza. Ciò che crediamo di aver vissuto, e le frasi; tutto ciò che insomma è stato scambiato era palesemente falso. La verità è rimasta solo in me. Oggi la neve si rovescia all'improvviso dai pini, setacciata come farina, come uno spillo che cada su rette parallele; o li spezza all'improvviso come denti. Mi diverte osservare l'ombra dei fiocchi su quella appena caduta, impazzita come bolle d'acqua, frenetica come api che portano il polline da fiore a fiore; sottile ed impercettibile, come i nerini del buio che si nascondono fra le travi vecchie di una soffitta. È strano non aver deciso quanto tempo debba passare prima di accorgersi che manca poco tempo. Succede perché non ci si pensa e, se per pura casualità ti passa per la mente, sembra di non avere lo spazio di soffermarsi o si crede che se ne avrà altra occasione; soprattutto si è certi che sarebbero altre menzogne. È la stessa cosa che faccio qui: rimando, costruisco sopra, ammucchio; vengo continuamente distratto da altro. È una scelta consapevole infondo, perché sotto c'è la verità, e le verità è noiosa e vuota: c'è tutta la banalità che sta dietro le mie parole, la grettezza su cui le soffio a caso come foglie d'autunno. Non ho il coraggio qui di raccontare gli amori mancati e neppure di constatare la realtà che vivo e a cui non mi rassegno; e non so se sia vero che mi manchi o sia solo una presa di posizione. Infondo me ne frego degli altri eccetto in ciò che costituisce la carnalità che mi lega a chi mi ha generato, ai miei genitori; ed anche nei loro confronti spesso sono vittima di una spietata volubilità. L'attaccamento che a tratti provo probabilmente non è che l'altra faccia dell'abbandono, della lussuria che ho per me stesso. Ma la simpatia perfetta, quella la ricordo, e la sintonia e l'affetto, oltre le cose dette: nei gesti, perfino nelle direzioni del camminare, nel modo di rannicchiarsi con i piedi sotto le ginocchia, e le ginocchia contro il seno; nell'ordine d'importanza dato alle cose. Anche queste, se le osservi bene, sono sensazioni con una connotazione sessuale, posizioni da Kamasutra. No, non esiste amore nel senso che lo cerchi e arrivi al punto in cui lo puoi toccare, ma quella comunanza che c'era non era neppure qualcosa di costruito o di culturale, non proveniva dal vissuto. Era naturale, inaspettatamente simile, conforme a tutto ciò che adoro in qualcuno senza spiegazione. A te avrei potuto raccontare con facilità ciò che non ho raccontato da bambino neppure a mia madre, e non perché tu mi potessi capire o apprezzare, ma semplicemente perché di fronte al tuo viso e al tuo sorriso le parole mi uscivano con facilità dalla bocca: anche a me, che non parlo mai ed ogni sillaba mi sembra uno sforzo. Non c'era alcuna paura: come quella volta che ti ho raccontato dell'amico che ha insistito per farmi un pompino e per te è stata come la cosa più naturale del mondo; non per l'atto in sé, ma perché ti sembrava bella ogni cosa che riguardasse me. Tu l'avresti presa la mia sborra in bocca. Adesso penso che fosse vero, anche se non reale: il vero che non ci riguarda, un tentativo fallito di costruire una cosa bella, non quello di cui sempre si parla e che stimiamo in termini di durata. Era un'idea che abbiamo avuto, subito dimenticata, ma per caso. Era molto rumore per nulla; se nulla è rimettere le cose a posto, se mai hai avuto un posto. Ora che si è fatto silenzio riscopro di nuovo l'amore adolescenziale per la vita sbandata, l'unica che ho sempre sentito davvero mia e che ancora non ho vissuto e probabilmente non vivrò mai. Ora che lo spettacolo è finito, cala il sipario e dovrei, ma non mi va, ballarci su.

 
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