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« ti ascoltoc'è il gallo sulla colonna »

le bolle di mota

Post n°135 pubblicato il 07 Novembre 2013 da andrea_firenze
 

le bolle di mota punteggiano la vernice nera della Lancia Y che hai da poco comprato. Apparteneva ad una signora sulla cinquantina, rugosa, disperata, con l'alito pesante e le poppe che le fregano per terra come budelli di vacca, che l'ha venduta per acquistarne una quasi identica, fiammante, appena uscita dall'autosalone, come quella di una ragazzina col moccolo al naso e i pantaloni lucidi e aderenti. L'unica differenza, dici tu, è nella forma e nel design dei fari anteriori che mi ricordano un po' i grandi occhi idioti delle giraffe dei cartoons. È agile e veloce; la pelle dei rivestimenti, un po' consumata sui poggiatesta, è inodore. Peccato non si possa indossare come un reggiseno: avrebbe fatto comodo a lei, mentre sarebbe inutile per le tue zinne dure. Sono un po' sbronzo alla guida e spingo sull'acceleratore pensando ad altro, con un orecchio teso allo spacciatore di erezioni, confidando nella parte automatica dell'azione. Rifletto sulla mania di coloro che abitualmente e con facilità caricano i nomi di aggettivi e predicati magniloquenti: le cose importanti, le persone indispensabili, chi si è amato, mentre neppure sanno riconoscere il fatto che l'unica cosa che più o meno consciamente desiderano è la sborra in faccia e nella fica e fottere le penne, i vestiti, i cavalli, i dolci, le sedie. Scrivono con rigore, con dolore, delle cose importanti, delle persone indispensabili; e che nessuno si permetta di mettere in dubbio tali affermazioni. Le cose importanti, le persone indispensabili, chi più ho amato al mondo. Che idiozia e che falsità. È talmente limpido: se questo fosse vero, riusciremmo forse a farne a meno? Se così fosse, sarebbero mai sostituibili? Con che facilità scovano invece le penne da fottere, e i vestiti da fottere, e i cavalli e i dolci e le sedie. Ce ne sono di tutti i tipi, di tutte le fogge. E, peggio, c'è una sorta di autocompiacimento nella semplicità di far gravare le cose di responsabilità piuttosto che guardarsi in faccia ed ammettere il proprio squallore, che ben si conosce come nozione condivisa ma non condivisibile; è scontato dall'origine ed innato, e quindi noioso e banale da esternare che un appiglio valga l'altro e che l'unico fatto veramente necessario sia riuscire a sopravvivere, a scapito prima delle parole, poi degli altri, infine di ciò che ci appartenga; sarebbe uno spettacolo da due soldi, senza un pubblico ad applaudire. Assorto, dondolo la testa, estatico, soddisfatto di me stesso. Mi parli e io faccio cenno di sì muovendo il mento, ma fatico ad ascoltarti. Mi sorprende che tu non te ne accorga; le luci delle auto e dei lampioni dovrebbero rischiararmi abbastanza la faccia, una faccia su cui ogni pensiero è trasparente. Forse hai avuto poco tempo, perché siamo già arrivati. Breve è il tragitto per Bombay. Il Seek Kebab somiglia a delle canne di bambù carbonizzate, ad un cilum d'argilla per inalare. Lo cuociono in particolari forme di terracotta, servito su dei sottopiatti decorativi tirati giù direttamente da qualche parete; dietro è rimasta traccia del gancio che serviva ad appenderli. Sopra c'è una raffigurazione del Taj Mahal, un mausoleo grottesco in onore di vittime ridicole. I camerieri sono ospitali e riservati come Abramo con gli angeli. Nella cucina di casa, intanto, l'acqua sporca resta per qualche ora sull'acciaio del lavello Inox, a dondolare, poi si asciuga lasciando impronte secche come catarri sulla superficie argentata. Il gatto vomita sul copriletto ed i succhi gastrici e la carne di scarto delle scatolette permeano i materassi; e non c'è più mamma a rimettere tutto a posto. Il rubinetto gocciola come un orologio con l'aritmia. Tante donne gravide sono inchiodate mani e piedi al soffitto con le pance piene di ninnoli sulle nostre teste. Suonano, ma non mi sveglio. Mi sono accomodato al tavolo di questa stanza senza essermene reso conto. In velocità, attraverso lo spazio, anche adesso presente, sempre altrove. Anche il tempo è una delle dimensioni dell'ergonomia delle cose rispetto alla fragilità: le descrizioni, i cumuli di foglie sopra la terra, i pensieri ed i gesti di un dio strafatto comodo nell’immacolata incoscienza, e la merda, l'evacuazione di noi stessi da noi stessi, le marezzature della merda calda e liscia come un osso piatto, spazzolata via come un ragno dal perfettamente anatomico collo del water; l'acqua piovana nei tubi di scarico, le ghiandole eccrine per la termoregolazione, i cisticerchi sulle ghiande nelle bocche nere dei maiali, le misure di una cassa da morto, un cazzo turgidamente teso verso la fica, o a testa in giù, guardando in basso, come un impiccato, per pisciare, ed un mucchio di regole in metastasi sull'ideazione dello spirito confermano che non esistiamo se non come l'iconostasi provvisoria della costipazione su cui tutto e tutti affondano le zanne e si sbarazzano delle uova. Non esiste generazione spontanea, quindi neppure autentica generazione. Pensare l'assenza, in questo è il mistero; non nell'assenza di pensiero. Essere nella mia abnorme normalità e poter vedere senza sapersi vedere è il rompicapo, e la pena desiderare dall'interno di un corpo che è una specie di toro di Falaride, sempre incandescente, rosso frustata, eccitato come acqua che bolle, emettendo suoni che non corrispondono alla propria voce ma rotolano, deviano, si sfaldano e s'ingigantiscono come echi, come una valanga all'interno dei tubi viscidi da cui parliamo; e sperare di esserne liberati, di essere toccati. Dell'abnormità personale degli altri me ne sbatto invece, m'interessa solo la riconoscibilità, come a chiunque di chi non sia se stesso del resto; credo sia dovuto all'inevitabile assuefazione ai sensi, alla costrizione della vista. Non ci sono colpe. Non si può fare a meno di guardare. Perfino il corpo di un cieco barcolla sempre in avanti, proteso come la torre di Pisa, perché tutto è una metafora, un video game, un percorso ad ostacoli con brevi pause fino al game over. Fottere il nemico, fottere l'amico, fottere tutte queste troie prima che loro fottano te. Fottere questa ragazza bionda, che ti sta di fronte, seduta di schiena. Forse ha diciotto anni; è alta, con i capelli spessi e la frangetta. Ha le spalle appuntite. La sua fica dev'essere come una buchetta scavata nella terra fresca, dove dei bambini abbiano nascosto un portagioie di poco valore, tempestato di pietre di bigiotteria. Porta un vestitino corto, color malaga, le calze scure, i tacchi alti. Ha le narici appena slargate, il naso curvato sul viso e le labbra sul mondo, un piccolo neo sul lato destro del mento, gli occhi selvaggi, le natiche precise. È secca come uno sturalavandini. Ho voglia di scoparla, leccarle la fica come un gelato, consumarla come un oggetto da usare e da buttare. Infondo l'esistenza che altro è se non piccole quantità di carne in entrata e carne in uscita. Cos'altro potresti farci che valga la pena, che sia reale. L'obiettivo maldestramente nascosto è soddisfare i bisogni, pisciare, mangiare e poi cacare tutto fuori e sgusciare lontano, come fanno i cani con i loro di bisogni, e mettere le ruote sull'asfalto e, sopra, cucirci dei bei sorrisi; e poi di nuovo perdere la bussola sull'autostrada, ancora più euforici e sbronzi, fra le case, sorpassando il multisala di periferia, indistintamente frastornati da ciò che abbiamo lasciato e perso, fosse merda o amore. E poi aprire gli sportelli e pisciare ancora ai lati delle strade nel dolore e nel rimorso, dopo il piacere, su tutti i sacri sentimenti che sono solo un attributo, un etichetta su cui applichiamo un prezzo che conferisca valore a cose che non ne hanno, un mezzo per condividere l'oscenità, per essere uniti nella vergogna, per partecipare dell'umanità, esclusivi come al circolo del Fight Club, nella banda bassotti, come al Country Club dei poveracci, l'acme della contestualizzazione del vissuto e del vivente in microsistemi di minuteria linguistica ed emotiva; e passare precipuamente le ore ad invidiare quante donne si riesca a scopare, a lamentarsi che a nessuno importi di fottersi il dildo rugoso e contorto del tuo mondo interiore. Non ho altro a cui pensare, e questa è l'occupazione che rivela come siano tutte bacate le mie intenzioni e come la bellezza sia quanto sia efficace il travestimento. Squallido quanto gli altri. Che ci vuoi fare.

 
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