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« c'è tanta gente alle no...provo di nuovo a legare ... »

la fottuta, brutale verità

Post n°126 pubblicato il 26 Ottobre 2013 da andrea_firenze
 

la fottuta, brutale verità, e non collette e telegrammi con cui si liquidano i funerali allo stesso modo dei compleanni; e far l'amore con la donna ispida, con le gambe di cactus, al posto delle costruzioni della delusione, delle deboli tracce della sollecitazione, difficili come l'alfabeto dei Maya. E mi vedo affondare nella sodaglia mentre cerco di divincolarmi come su una gruccia, un po' stropicciato, con la forfora nei capelli, cercando di immaginare il ponte. Ogni volta è una nuova autoscopia; perchè i ricordi sono la realtà, mordono come pulci, e tu sei l'esperienza al di fuori di essi. E come sono vivo se mi vedo con le scarpe impolverate, affondate nella ghiaia bianca come le braccia della bambina di Saigon; toccato dal vento, nel mezzo agli ombrelloni della libertà, a strisce azzurre e bianche, volati al di là del muro; al ritmo del charleston, con in mano la rosa dei venti, ascoltando novelle africane. Condensato nella trama delle superfici urbane, vittima dell'angolo acuto dell'osservazione, infiammato, ferito dalla lucentezza della lacca nei capelli; sensibile come quando non avevi ancora conosciuto nessuno, come quando sei stato abbandonato da qualcuno. L'unico che sa chi sono sei tu, che guardi da sopra al letto, con la testa pesante, il sonno greve di papà; che lo tiri per la mano rattrappita e dura provocandoti dolore; e tu, che leggi la fierezza tacita di mamma sul suo bel viso, ad un commento semplice sulla sua buona cucina. Sono di nuovo a questo tavolo, con le stesse ed altre persone. Non so se ho già preso l'aereo per Praga o devo ancora partire. Il venditore di rose canine è caldo dietro la mia schiena, ogni volta con una faccia più scura. Ci ubriachiamo e ci infradiciamo degli altri, non diversamente da uno qualunque degli oggetti permeabili, come un mucchio di fieno ridotto a strame al tavolo di un ristorante. Sciolgo un uovo nell'acqua e te ne cospargo il corpo: ché questo sia il giorno della tua rinascita, oltre l'impostura del riconoscimento di ciò che incessantemente cambia sotto un nome, dietro ad una direzione, eliso nella simpatia degli altri human beans. E quanta perfezione c'è nelle uova di Mozart in fila fra i cristalli di Boemia, mentre cammino stordito dalle fotografie in sequenza, annebbiate dal fumo del vino caldo che sa di cannella, alla ricerca di un bottiglia di Slivovice o Becerovka. I senza tetto ci osservano, confusi fre la folla di piazza dell'orologio; aspettano che gettiamo gli avanzi del nostro pranzo frugale. Il giullare sui trampoli fa roteare i birilli in aria, nella luce intricata dei palazzi illuminati. Ha una bella bocca, sbavata di rosso fin quasi alla punta delle orecchie. Il jazzista di strada suona uno strano strumento di legno a percussione: ci picchietta e ci struscia le dita, protette da dei ditali di metallo; meno silenzioso di mia nonna quando cuciva, ma dolce e sconfitto allo stesso modo. Dev'essere comoda e calda la sua mascella sotto la barba folta. Sua nipote tiene la cesta delle offerte, ha il viso sbattuto e lo sguardo assente su una testa bianca che sbuca sopra ad una tutina rosa un po' stretta e consumata. Lei ha i miei stessi sogni ma ancora non sa di averli. Fa freddo; ognuno di noi riesce a conservare delle piccole sacche di tepore, da qualche parte, sul corpo, sotto i vestiti. È difficile condividerle con gli altri. Il resto parla nelle orecchie, come ti conoscesse da sempre, e tu non sai riconoscerne neppure una parola. Ma quando tutto è distorto è più facile percepirne le differenze: non si è distratti dalla complicazione appuntita delle cose; riesco a vedere attraverso la mia e la tua carne vizza con l'empatia con cui si guarda dentro se stessi, traboccando negli occhi liquidi di San Francesco in estasi; rivolto al cielo come lo sguardo di Sonny Linston al tappeto. Ogni nuovo momento, ogni singolo appuntamento e le esperienze che facciamo sono pavimento che crolla, e il non raggiungere mai il fondo è un po' come guardare la terra agganciati ad un'orbita, in continua rivoluzione, frustati sulle spalle dal flagello massiccio del soldato nella flagellazione del Tintoretto o catapultati nella pace pingue degli dei dell'Olimpo di Rubens; o carponi, come la vittoria che incorona l'aquila reale, un po' titubante, coi calcagni sulle ginocchia sporche del turco. Cammino in queste sale lucide con lo stesso spirito con cui mi arrampicavo sui sentieri nel bosco, fra le foglie dell'erica e del ginepro rosso, come se a incombere fosse sempre la passività divenuta attiva del poter rotolare; e buco l'aria allo stesso modo in cui respiro, con Geremia che dal basso punta il dito in mezzo a coloro che sciolgono l'innocenza dai capelli come fosse un nastro bianco, recitando sempre la solita noiosa pantomima. E non riesco ad entrare nei disegni dei bambini di Terezin, nelle loro teche di vetro. Sono come foreste che vedi dalla strada o da un aereo sul fondo della vallata. Non è come quando ci siamo persi nel bosco e sarebbe stato bello anche essere sbranati dall'orso. Proprio come scriveva Thoreau: possiamo succhiare l'essenza della nostra vita solo quando abbiamo raso al suolo tutto il resto, quando si fa buio e non ce la fai ad orientarti. In quel momento, sotto la croce, mi sono accorto che avrei saputo proteggerti e rassicurarti non perchè eri tu, ma perché ti eri convertita ad essere viva come me sotto la luna piena. Quei bimbi sono ormai morti, in pace come la testa pelata ed il torace emaciato del Mahatma Gandhi in quella foto in bianco e nero che mi affascina tanto; impenetrabili come le enormi lapidi del cimitero ebraico, ammassate le une sull'altre, che li proteggono. Ci sei tu qui accanto. A breve dovrò rientrare a lavoro. Abbiamo prenotato solo per qualche giorno. Ogni sera saliamo in groppa all'albatros che ci aspetta sulla riva della Moldova e continuiamo a litigare sugli sguardi lanciati ad ogni ragazza bionda come Alice nel paese delle meraviglie che mi faccia innamorare. È facile invaghirsi della gioventù, anche se non ha faccia e personalità. Questa è la normalità. Adesso sono vicino ad un nuovo io. Potrei facilmente rientrare in una delle tante e ed accurate statistiche sulla popolazione di Framingham, nel Massachusetts. Ma a volte mi punge forte: rimpiango fino a struggermi quella indefinita sensazione d'assenza che fa avvertire meglio la mancanza di se stessi. Se avessi la possibilità di scegliere un'altra vita sarebbe comunque bello poterti mettere in valigia. Vorrei che vedessi che questo lo dico col sorriso.

 
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