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L'angolo di Jane

Tutto su Jane Austen e sui libri che mi piacciono!

L'ANGOLO DI JANE

Benvenuti nel mio blog!

Questo spazio è dedicato a recensioni di libri e film, ai miei racconti,  a riflessioni personali di varia natura e soprattutto a Jane Austen, una delle mie scrittrici preferite.

Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell'orgoglio e dall'orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.

(Hermann Hesse)

 


 

 

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L'occhio del purgatorio - Jacques Spitz

Post n°694 pubblicato il 09 Novembre 2011 da bluewillow
 

Titolo: L'occhio del purgatorio Titoli originali: L'oœil du purgatoire - La guerre des mouches Autore: Jacques Spitz Traduzione: Giuseppe Lippi Casa editrice: Mondadori Collana: Urania numero: 105 pag: 288 costo: 5,50 € Note: questo libro è in vendita solo nelle edicole

Se c'è una cosa che detesto leggere nelle recensioni altrui è "questo personaggio mi è antipatico" o "non sopporto il/la protagonista", visto che l'antipatia di un personaggio di solito non pregiudica affatto la bontà di un'opera (la zia Norris di Mansfield Park, ad esempio, è insopportabile, ma  la sua leggendaria antipatia è semplicemente la colonna portante di tutto il libro) eppure anche per me è giunto il momento di scrivere le parole che aborrisco tanto: Jean Poldonski,  il protagonista de "L'occhio del purgatorio" è semplicemente una delle più detestabili e antipatiche creature letterarie che abbia mai letto, tanto che il vero purgatorio è stato finire questo, sia pur brevissimo, romanzo.
Che ha che non va il povero Jean, vi chiederete. Non che sia tutta colpa sua in effetti: è colpa del suo autore, Jacques Spitz, che evidentemente aveva una mentalità assai arretrata: questo volume trasuda un modo di pensare così antiquato, che non lo definirei nemmeno maschilista, perché già così sarebbe troppo moderno. Direi che per trovare analoghi del pensiero di Spitz bisognerebbe tornare indietro fino al medioevo, quando ci si chiedeva se le donne fossero ad esempio dotate di anima e se fossero davvero umane e sottolineo che per formulare questa opinione su l'opera dell'autore mi avvalgo anche del secondo romanzo contenuto in questo volume, dal titolo "Le mosche", che articola in maniera ancora più esplicita la scarsa considerazione che Spitz doveva avere per le donne.
Jean Poldonski, pittore di scarso successo, incontra casualmente un tale Dargelöff, dedito ad esperimenti su un ceppo particolare di batteri, selezionati per la capacità di riuscire a viaggiare nel tempo. Secondo Dargelöff, infatti, in natura molte creature hanno la capacità di fare brevi salti temporali: sarebbe per questo ad esempio che è così difficile catturare una mosca, visto che questa, viaggiando più velocemente nel tempo degli uomini, sarebbe sempre in grado di anticiparne le mosse. Quando  Dargelöff intuisce che Jean, disgustato di sé stesso (e come dargli torto, in effetti), ha deciso  di suicidarsi, decide di usarlo come cavia involontaria per un suo esperimento: fingendo di consolarlo contagia i suoi occhi con i suoi speciali batteri, in modo che la sua vista sia quella di un uomo che può guardare in avanti nel tempo. L'esperimento è persino più efficace del previsto: Jean comincia a guardare nel futuro così in avanti da vedere le cose prima come saranno da lì a poche ore, e poi a distanza di anni e perfino di millenni. Il mondo comincia ad apparigli alla vista popolato solo di scheletri (gli uomini morti), di case in rovina, di abiti malandati, di cibo già digerito, anche se il resto dei suoi sensi è intatto: se chiude gli occhi profumi, odori e suoni sono gli stessi di una vita normale. Quello che Jean finisce per vedere è quello nessun uomo dovrebbe mai osservare: la morte mentre si è ancora in vita, in un macabro mondo popolato di creature prima di sole ossa e poi di addirittura immateriali. Il pittore riesce ad esempio a vedere, osservandosi in uno specchio, persino il momento della sua stessa dipartita.
Alla fine Jean giunge alla conclusione che quello che resta degli uomini non è ciò che essi sono stati materialmente, che hanno compiuto o la percezione che hanno di sé stessi: nell'universo degli uomini rimangono tracce solo delle impressioni che hanno dato agli altri ed è il pensiero altrui a definire ciò che siamo davvero. Quindi Jean, che è sempre stato disumano e disonesto con sé e con gli altri, si rende conto, alla fine del libro che quello che è davvero è una creatura completamente diversa, e assai peggiore, dall'idea che aveva cullato di un sé stesso creativo e geniale.
Spitz fa del suo personaggio un uomo cinico, distaccato e che disprezza fondamentalmente l'umanità, ma persino nel suo disprezzo generalizzato, si intuisce come le donne siano su un piano addirittura peggiore: sono le creature da bordello, le amanti senza troppo cervello e pronte a tradire, quasi cose e non persone. Nel vedere la sua fidanzata invecchiata alla vista, quest'uomo pensa solo al fatto che quello è un corpo che non lo attrae più e lascia intendere che questo sia l'unico valore che è in grado di dare ad una donna.
Il dubbio che questa idea non appartenga solo al personaggio, che in fondo è descritto come pessimo, viene fugato dal secondo romanzo "Le mosche". Qui Spitz rende chiarissimo quello che poteva apparire nascosto fra le pieghe de "L'occhio del purgatorio".
Protagonista de "Le mosche" è Juste Magne, un entomologo, che si trova a fronteggiare una strana ondata di mosche aggressive, che si diffonde prima in Asia e poi nel resto del mondo.
Le mosche appaiono a sciami, invadono città e villaggi, diffondendo malattie e riproducendosi a velocità vertiginosa.
Osservando a fondo le mosche Magne si rende conto che è avvenuto l'incredibile: in realtà le mosche sono intelligenti, hanno imparato a diffondere consapevolmente le epidemie e stanno dichiarando guerra all'uomo per la conquista del mondo.
Ma, e qui viene il punto dolente, come fa Magne ad accorgersi della mutazione degli insetti, come fa a formulare l'incredibile pensiero che le mosche siano intelligenti?
Ebbene, osservando la sua fidanzata Micheline, descritta come bellissima ma in pratica  una mezza ebete, si chiede "ma sarà davvero intelligente?", da qui passa alla speculare osservazione riguardante le mosche "ma saranno davvero sceme?". Ecco, qui mi son cascate le braccia. In più punti l'autore descrive il mondo in preda alla paura delle mosche, dicendo che il sesso femminile ( chiamato il sesso debole, tanto per non farci mancare nulla) è preda particolare della follia a causa delle mosche. Quando poi le mosche hanno infine conquistato la Terra, Spitz scrive:"Al momento attuale siamo in quattro con tre donne". Spiego bene, se non si fosse capito: non sono quattro di cui tre donne, sono sette. Sono quattro esseri che Spitz ritiene un "noi", qualcuno che è qualcuno per davvero, più tre donne. Chi mai si esprimerebbe così? Inoltre Spitz ci dice che delle tre donne, due sono delle vecchie, non più fertili, ma almeno servizievoli: le uniche cose che evidentemente contano per l'autore.
Idee maschiliste a parte, "Le mosche" è un romanzo anche un po' ridicolo:gli insetti diventano capaci ad esempio di farsi maglioncini per ripararsi dal freddo e di usare pietruzze come decorazioni. L'idea poi che riescano a conquistare tutto il mondo, compreso l'Antartide, è assai poco scientifica: le mosche non potrebbero mai invadere le zone fredde del mondo, anche con tutti i maglioncini del pianeta!
Attualmente sembra che il francese Jacque Spitz, sia un autore piuttosto dimenticato anche in patria: onestamente non mi sembra poi un gran male, visto che chi ha bisogno di immaginarsi le donne tutte stupide forse non ha più molto da dire agli altri.

 
 
 
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