Creato da bluewillow il 31/03/2006

L'angolo di Jane

Tutto su Jane Austen e sui libri che mi piacciono!

L'ANGOLO DI JANE

Benvenuti nel mio blog!

Questo spazio è dedicato a recensioni di libri e film, ai miei racconti,  a riflessioni personali di varia natura e soprattutto a Jane Austen, una delle mie scrittrici preferite.

Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell'orgoglio e dall'orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.

(Hermann Hesse)

 


 

 

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L'avvelenatrice - Alexandre Dumas (padre)

Titolo: L'avvelenatrice Titolo originale: La marquise de Brinvilliers Autore: Alexandre Dumas (padre) Traduzione: n.d. Casa editrice: Salani pag: 125 nell'edizione originale del 1905 note: questa recensione è fatta sulla copia liberamente distribuita da Liber Liber e scaricabile qui

Tra il 1839 e il 1840, Alexandre Dumas, che quel tempo non aveva ancora scritto i romanzi storici destinati a regalargli l'immortalità, era ancora noto solo come drammaturgo e decise di lanciarsi, da grande sperimentatore qual era, in un genere letterario ancora nuovo, ma destinato a riscuotere un grande successo, quello del romanzo-inchiesta su crimini efferati e storicamente celebri.

Il primo volume dei Crimes célèbres (Crimini celebri) fu dedicato ai Borgia e ai loro veleni (ne ho parlato qui), e il successo fu tale che ben presto Dumas si trovò a sfornare un libro dopo l'altro: uno di questi fu proprio“La marquise de Brinvilliers” , in italiano noto come “L'avvelenatrice”, dedicato a Marie-Madeleine d'Aubray, marchesa di Brinvilliers, serial-killer francese del XVII secolo, la donna il cui processo fu solo uno dei più noti del clamoroso “Affare dei veleni”, in cui risultarono coinvolti molti notabili di Francia, inclini a risolvere i problemi esattamente al modo dei Borgia, con una buona dose di pozioni fatali.

Nello specifico la bella e affascinante marchesa uccise, o tentò di avvelenare, il padre, i fratelli, la sorella, una cameriera e, secondo Dumas, anche diversi sconosciuti, che furono semplici cavie dei suoi mortali rimedi, il tutto allo scopo di ottenere una eredità più cospicua e la libertà di vivere separata dal marito, in compagnia del suo demoniaco amante, Godin de Saint-Croix, in questa edizione chiamato, all'italiana, Santa-Croce.
Anche se ancora acerbo nella scrittura, non ancora ai livelli raffinati di dettaglio che raggiungerà in seguito, Dumas è come al solito originale e non si accontenta certo di ammannire ai suoi lettori una storiella morbosa, piena di dettagli truculenti e nemmeno di descrivere, come sarebbe facile, la contessa di Brinvilliers come una donna odiosa e repellente.

Al contrario, Dumas ha tutta l'intenzione di farci amare la sua perfida marchesa, di farcela apparire crudele e senza coscienza in un primo momento, al limite stesso della follia, per poi farcela piangere e compatire nel momento della sua condanna, che coincide anche con un assoluto e contrito pentimento, favorito dalla presenza dell'abate Pirot, teologo della Sorbona.
La folla curiosa, che non si sazia di violenza, vuole il sangue? Ebbene, Dumas glielo offre, ma a patto che si sia pronti a finire sul patibolo insieme alla condannata, condividendo le sue sofferenze e vedendola, sebbene criminale, come un essere sofferente da compatire, piuttosto che da odiare.
La parte più rilevante de “L'avvelenatrice” è infatti dedicata alla difficile e riottosa conversione della fatale marchesa.
Alla fine del romanzo si è così partecipi del dolore di questa donna, che fino a qualche pagina prima progettava addirittura di uccidere i suoi carcerieri, che Dumas può concludere, senza scandalizzarci, dopo la sua esecuzione:

“-Il dimani – dice la signora di Sevigné – cercavansi le ceneri della marchesa di Brinvilliers, perché il popolo la credeva una santa”.

Diverse delle opere che fanno parte dei “Crimini Celebri” fecero da modello a romanzi successivi di Dumas, fra questi c'è certamente “L'avvelenatrice”, in cui Marie-Madaleine d'Aubray è l'antesignana della celebre Milady, la terribile nemica dei moschettieri, con una passione per il veleno, che replica i tentativi di corruzione di un carceriere fatti dalla marchesa: nella finzione de “I tre moschettieri” Milady ha successo, nella realtà invece il carceriere fu più furbo della prigioniera, e usò alcune sue lettere affidategli come prova della sua tendenza al crimine.

In questo volume è presente anche un parallelo, ma in negativo, con la prigionia di Edmond Dantès in “Il conte di Montecristo. Se durante i quattordici anni di carcere Edmond incontra il buon Abate Faria, che gli insegna la storia, le lingue e ne fa una persona migliore (fornendogli comunque in tal modo gli strumenti per la sua vendetta futura), Santa-Croce in carcere, dove finisce una prima volta solo per il fatto di avere una relazione adultera con la marchesa, incontra un altro italiano, Esili, maestro di veleni, che lo forgia artefice di mortali rimedi per sé e per la d'Aubray, segnandone così il destino di sicario, come pure quello di donna “fatale” della sua amante.
L'edizione che ho letto de “L'avvelenatrice” è molto vecchia: dalle mie (brevi) ricerche in rete credo risalga almeno al 1905, anche se dalla lingua usata, decisamente antiquata, si direbbe addirittura ottocentesca. Si tratta di un'opera pubblicata, a quell'epoca, da Salani, una delle più antiche case editrici italiane. Essendo da lungo tempo decaduti i diritti di copyright anche sulla traduzione, di cui mi è ignoto l'autore, il libro è ora liberamente scaricabile in rete, ed è per questo presente su Liber Liber a questo indirizzo, dove, se volete, potete tranquillamente e legalmente scaricare una copia de “L'avvelenatrice”.

La lingua obsoleta potrebbe forse, in un primo momento, frenarvi (ho letto addirittura una parola italiana che non credevo esistesse “guari”, che significa molto), ma Dumas è scorrevole in tutte le lingue e ben presto la prosa vi risulterà naturale (un po' come leggere i libri di Camilleri su Montalbano, nel suo siciliano d'invenzione).
Forse vi piacerà meno il tentativo di santificazione della marchesa, lungo e forse anche un po' straziante, ma potete tentare di farvelo piacere se immaginate (come ho fatto io) che Dumas odiasse la pena di morte e le pubbliche esecuzioni (cosa che deduco, oltre che da questo libro, dal fatto che scrisse “Riflessioni sulla pena di morte”) e che questo fosse il suo modo di tentare di educare le masse.

Molto interessante invece la breve trattazione sulla questione legale del “Non auditur perire volens”, cioè del fatto che non si possano accettare le confessioni dei criminali come uniche prove dei loro crimini, il cui primo teorico fu, ci dice Dumas, addirittura San Tommaso.

La lettura di un libro di Alexandre Dumas non è mai vana, quindi se volete conoscere più a fondo questo scrittore, e apprezzarne fino in fondo il talento anche in ambito al confine fra il giornalismo ed il romanzo, potete leggere tranquillamente “L'avvelenatrice” (in fondo è gratis!).

 

 
 
 
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