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« Messaggio #44Messaggio #46 »

Post N° 45

Post n°45 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

VENERDI’

 

Capitolo diciannovesimo

 

Sveglio. All’improvviso. Non percepivo diverse parti del mio corpo a causa della posizione assurda in cui mi trovavo disteso e iniziava a possedermi un formicolio crescente alle mani. Guardai attorno e vidi la luce entrare dalla finestra.

“Ancora giorno” pensai.

Decisi di sgranchire le gambe intorpidite e andai in cucina dove trovai, con molta sorpresa, la bella Elisa intenta nella lettura di un libro. Mi guardò sbigottita.

-         Ma tu quanto poco dormi? Sei tutto sporco.

“Sporco?”

-         ….

-         Sei sporco. Le scritte in faccia. Hai presente? Cucù. Ma ti ricordi qualcosa di quello che fai?

-         ….

Non la guardai negli occhi, presi una bottiglia d’acqua e ne bevvi mezza. La testa ricominciò a girare vorticosamente e non ci volle molto a capire che se avessi voluto riprendere sonno questo risultava essere il momento più adatto. Tornai a letto.

 

Mi risvegliai mezzo sudato senza sapere quanto tempo fosse passato, ma deciso a lavarmi per bene. Appena in piedi mi fermai un minuto per capirmi, avevo male allo stomaco e dovevo organizzare i pensieri.

Presi il beauty con il sapone, vestiti nuovi e asciugamani. Barcollando qua e là per raccattare il tutto vidi soltanto Michele e Alberto dormienti e scarabocchiati. Non sapevo ancora l’ora, ma avevo intuito che probabilmente era tardi. Almeno per come la vedevo io.

Filai veloce in bagno e mi lavai accuratamente, anche se con l’acqua fredda, strofinandomi per bene. Ero cosparso di scritte e non tutte si cancellavano con facilità. Dopo essermi lavato i denti con una tonnellata di dentifricio, causa alito pessimo, ed aver indossato abiti puliti, mi sentii di nuovo pronto.

Andai in cucina dove solo gli occhi della Valeria iniziarono a puntarmi e nessun altro, allora come un automa preparai il caffé. C’era silenzio e avevo un brutto presentimento. Non volevo rimanere solo con quella donna che mi fissava. Cercai di giocare in anticipo.

-         Dove sono tutti?

-         Sono andati a comprare le sigarette, c’era solo un pacchetto. Te ne hanno lasciata una sola, dicendo: “perché siamo buoni”. Dimenticavo: a comprare qualcosa da bere.

-         Ma da quanto sono partiti?

-         Dieci minuti.

-         Ma adesso che ore sono? Giusto per orientarmi un attimo.

-         Le cinque e dieci.

-         Onesto.

Finché portavo la tazzina alla bocca il mio cervello iniziò automaticamente un conto alla rovescia: “cinque, quattro, trova qualcosa da dire, tre, du….”

-         Ti devo parlare.- Mi disse lei continuando a fissarmi.

“Uno.” La guardai sottomesso, non potendo sottrarmi.

-         Ho pensato a quello che mi hai detto ieri sera e ti ringrazio, ma comunque non mi sento bene con me stessa.

-         Guarda, ci sarebbe una bellissima pagina in un libro di Baricco, che ora sarebbe utilissima. Paragona la vita umana a dei calzini. O una cosa del genere.

-         Vita e calzini?

-         Si, non ricordo più il dialogo però ricordo il senso. Praticamente c’è un adulto che cerca di spiegare ad un bambino il fatto che nella vita due tre cazzate ci stanno anche bene. Se no non si riesce più a dormire tranquilli.

-         In che senso? E i calzini cosa centrano?

-         “Noi non siamo qui con il fine principale di essere puliti, come i calzini.” Mi è venuta in mente la frase e per me vuol dire che certe volte dobbiamo toglierci degli sfizi, fare delle schifezze, il problema è non farne troppe. Ed accettare le conseguenze.

-         Che è il mio problema.

-         Non propriamente. Solo tu puoi decidere le tue conseguenze ed anche quelle degli altri. Sei fortunata. Se ti convinci di metterci una pietra sopra e di aver fatto una cazzata non succede nulla. Se invece vuoi nobilmente dire tutto, fallo, però sai che costerà qualcosa. Vedi tu quanto vuoi pagare. Per una cazzata. E sappiamo tutti e due di chi è la colpa.

Silenzio. Mi sentivo felice della fluidità del mio discorso. Non me ne ricordavo già più l’inizio, ma percepivo tranquillità nell’aria.

-         Grazie, dovrei parlare più spesso con te.

-         Quindi? Che si fa?

-         Fare cosa? Io non ho fatto niente.- Disse sorridendomi e abbracciandomi.

In quel contatto però iniziai a sentire dentro di me una sensazione triste. Non ero così sicuro di aver combinato la cosa giusta. Avevo insegnato ad una persona come mentire a se stessa. Forse. Non volevo nessun abbraccio e sentivo il bisogno di veder spuntare qualcuno dalla porta. Dissimulai il disagio mettendomi a girare una canna e la fumai condividendola col silenzio creato.

Stavo ancora fissando la porta quando dalla camera da letto spuntò Michele e lo abbracciai come si usa fare con l’amico di più vecchia data.

-         Come stai vecchio tricheco?- L’apostrofai.

-         Bene, proprio bene.

-         Ci credo hai dormito una botta.

-         Non sono abituato ai vostri ritmi. E comunque c’ho messo un’ora per lavarmi. Chi mi ha scritto “vomitino” in fronte?- Domandò, ma non era arrabbiato.

-         Non lo so. Anch’io ero pieno di scritte.- Dissi guardando la Valeria e trattenendo le risate.

-         Dopo indagheremo. Gli altri dove sono finiti?

-         A prendere le sigarette e comprare una ricarica per il frigo.

-         Bene bene. Ora la colazione, finalmente.

Si avvicinò ai fornelli e si preparò un the caldo. Mentre raffreddava si sedette e iniziò a girare una canna. Faceva parte del “pacchetto colazione” di tutti noi maschi, ormai.

-         Ma la sigaretta per la mista da dove l’hai tirata fuori?- Domandai incuriosito.

-         Io ho tre pacchetti. Erano rimasti in camera.

-         Furbo.

-         Furbo? Li avevo dimenticati lì. Cosa facciamo?- Intanto si era allungato e aveva acceso il portatile. - Filmata?

-         Ci sto.

Finì la sua “colazione” e senza domandare nulla a nessuno accese il computer, chiuse le finestre e i balconi, avvicinò al tavolo delle birre, il suo sacchetto di marijuana, la pipa ad acqua e tutto il necessario per fare la mista.

-         Preparatevi. Ora vedrete il film più gordo di sempre. Si chiama “A morte Holliwood”.

Lo guardammo e me ne innamorai. Michele mi disse di averlo visto per la prima volta durante una serata in appartamento, ad un’ora improponibile e su Rai Tre. Secondo lui per opera di Ghezzi, l’autore di Blob. Immediatamente l’aveva scaricato. Lo ringraziai.

 
 
 
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