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UN VELO DI IPOCRISIA

Post n°410 pubblicato il 18 Marzo 2007 da bargalla

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Il ministro della difesa statunitense ha annunciato che le forze armate a stelle e strisce rimarranno in Medio-Oriente per svariati decenni ancora perché "devono difendere i legittimi interessi americani".
Il voto dell'altro ieri del Senato americano, nonostante i vari proclami e le promesse elettorali di stampo "democratico" sul ritiro entro il 2008 delle truppe, risoltosi per i voti dei soliti "voltagabbana" a favore dell'attuale maggioranza repubblicana, sembrano confermare questa previsione.
Resta da chiedersi (una certa ingenuità è d'obbligo) quali "interessi" abbiano gli americani in quello scacchiere, stante la loro lontananza geografica da quelle latitudini, per giustificare un'avventura bellica che come ogni guerra porta solo morte e distruzione per la folle, unica gioia dei soliti quattro pazzi che stanno organizzando le prove generali per  la apocalisse che verrà, a loro esclusivo uso e consumo.
 
In momenti simili infatti, il mercato azionario legato all'industria bellica schizza alle stelle, idem quello legato alla cosiddetta "ricostruzione" nella quale guarda caso, la Hallyburton, già diretta da un certo cheney il cui ruolo è diventato sempre più determinante nei gabinetti presieduti dai bush padre e figlio,  ha cospicui interessi nel ramo petrolio, guerra & affini: distruzione, ricostruzione e sfruttamento, al modico prezzo di una guerra preventiva e permanente.
La costruzione della mega ambasciata statunitense in Iraq, che per le dimensioni ha tutta l'aria di essere una mega base militare, un vero avamposto amerikano nel cuore di Baghdad, è solo uno dei tanti esempi di come le guerre siano funzionali agli interessi di una lobby che dispiega la sua potenza per incrementarne gli utili con un modo decisamente cinico, discutibile, antieconomico e penalizzante, per gli stessi contribuenti americani che materialmente finanziano con le tasse un'economia di guerra le cui cifre secondo uno studio condotto in prospettiva da due insigni economisti americani, Joseph Stiglitz premio Nobel per l'economia e Linda Bilmes docente di finanza pubblica ad Harvard,  ammonteranno alla stratosferica cifra di 2.200 miliardi di dollari.

Un dato che tiene conto dei costi a lungo termine dell'operazione, dai costi sopportati per le cure mediche dei feriti a quelli per il "materiale di consumo" casermaggio, equipaggiamento e armamenti vari.
Naturalmente è impossibile quantificare il costo della "materia prima" stante il valore inestimabile della vita umana, per quanto i signori della guerra siano abituati a considerarla carne da macello e come tale degna appena di essere enumerata, grazie ad una matricola o alle piastrine di riconoscimento, così come si fa con i capi di bestiame marchiati a fuoco e destinati ad essere uccisi in un qualsiasi mattatoio.
In Iraq in quattro anni di guerra sono già morti oltre 3200 soldati americani e 600 mila iracheni, in Afghanistan secondo Human Right Wach nel solo 2006 oltre mille civili sono morti per gli effetti collaterali della guerra fra Isaf-Nato (di cui fa parte anche l'Italia) e Taliban.   
L'esportazione della cosiddetta democrazia, la personale crociata buscista contro il terrorismo fondamentalista, la guerra ai talebani, gli studenti di teologia islamica che come tutte le teologie al servizio del potere sono alla base di ogni regime integralista e totalitario, mi ricordano un po' quelli che in balistica si chiamano "falsi scopi" ovvero il mirare a qualcosa di diverso per giungere poi a colpire quello che è il vero obiettivo, il rubinetto petrolifero, la conquista "manu militari" di un territorio i cui giacimenti petroliferi risultano vitali per l'approvvigionamento energetico degli Usa, insieme alla creazione di una testa di ponte amerikana, essenziale per meglio controllare le mosse del gigante "Cindia".
L'influenza geo-politica dello zio Sam in quelle latitudini è ormai incurabile, il virus buscista sembra aver intaccato anche certi organismi internazionali, quali la Nato, il cui "atlantismo" è smaccatamente al servizio del socio più influente e come tale si riduce ad essere solo il paravento dietro cui i generali a stelle e strisce sono impegnati (vedi Afghanistan) nel pianificare ben altre strategie che di fatto esulano da quelle propriamente stabilite dal Patto, la cui esistenza evidentemente ha senso solo perché è funzionale al peso specifico del membro più influente e al disegno egemonico dell'unica superpotenza che ha superato indenne la guerra fredda e il disfacimento dell'Unione Sovietica.
In questo contesto suona perfino miserrima la reiterata pretesa di qualcuno, che in un simile scenario conta meno di una scartina al gioco della briscola italiota, di continuare scioccamente a parlare di "missione di pace" sapendo già in partenza che per il semplice fatto di aver affidato a dei militari il compito di imporre la pace, ci si espone ad azioni di guerra, perché non è detto che il nemico stia a guardare aspettando con le mani in mano i "pacificatori" armati di tutto punto e decisi a portare a termine la missione per la quale sono lautamente pagati.
Pazienza se poi, per gli effetti collaterali della solita "missione di pace" militarmente dispiegata, siano poi i civili a pagare il prezzo maggiore morendo sotto i colpi di armi tutto sommato più "intelligenti" di chi le usa per seminare la pace inquinata dalle stellette guerrafondaie e geneticamente modificata dalla morte di cittadini inermi.  
Come risulta geneticamente incompatibile con il dettato costituzionale, il tentativo del nostro ministro della guerra, di stravolgere il senso letterale e sostanziale dell'art. 11, laddove il de cuius, per giustificare l'uso delle armi da parte dei soldati italiani che in Afghanistan partecipano all'operazione "Achille" in appoggio delle retrovie, si è aggrappato alle ragnatele per individuare il "velo di ipocrisia e forse, anche più di un velo" che dal suo strabico punto di vista ci sarebbe nel citato articolo 11. 
"Quell'articolo va rispettato integralmente, sia nella parte che ci chiama a rifiutare la guerra e quindi ad esercitare la nostra azione solo in termini di difesa, sia in quella che ci chiama ad impegnarci attivamente per la pace, nel quadro delle organizzazioni internazionali che la ricercano e la propongono".
Una volta liberato l'articolo 11 dal "velo di ipocrisia" che lo renderebbe poco chiaro, il ministro della guerra ha aggiunto: "le truppe italiane impegnate in Afghanistan possono fare dunque uso delle armi, in quanto la loro missione è una missione volta a stabilire la pace".
A questo punto è bene leggere l'articolo 11 della Costituzione Italiana e coprire con il classico velo pietoso l'ipocrisia di un ministro che si è calato troppo nella parte che recita per non accorgersi di aver interpretato troppo liberamente un testo che non necessita di stravolgimenti esegetici.
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alla limitazione di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".

 
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