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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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DO UT DES

Post n°417 pubblicato il 04 Aprile 2007 da bargalla

                             immagine

Non me ne intendo di "alta finanza" e in verità la "finanza" in genere non mi appassiona per niente, non leggo mai le pagine finanziarie e borsistiche dei quotidiani anche perché non ne capisco un accidente, ma quando certi argomenti, per quanto ostici, si guadagnano le prime pagine dei giornali, non posso fare a meno di leggerli sia pure di sfuggita senza comunque riuscire a capirci più di tanto.
Alla "finanza" alle scalate, ai furbetti che vivono di rendita, preferisco l'economia, quella che è alla base del commercio equo e solidale, naturalmente.

Quindi tutto il gran parlare che si sta facendo su Enel, Eni, Telecom e Alitalia, sulle scatole russe e cinesi da monetizzare, sui vari "spezzatini" che certe operazioni comporterebbero, non stuzzicano per niente il mio appetito. Avendo io un rapporto per così dire conflittuale con il denaro in particolare e con il "capitale" in generale, trovo indigesto un piatto che in verità è fra i più presenti sui poveri deschi di certi magnati la cui fama è pari alla fame con la quale lorsignori si avventano sul fiero pasto, per cucinare il quale spesso non badano a spese.       
Mi basta sapere che "dietro grandi fortune ci sono grandi delitti" per mantenermi a debita distanza, non solo ideologica, da certi cosiddetti capitani d'industria, che si comportano più da squali che da provetti marinai e finiscono per sbranare prede spesso indigeste e in balia dei poteri forti e di quelli più o meno occulti.
Vien facile pensare all'Affair-Telecom, alle oscure implicazioni spionistiche e ai chiari risvolti giudiziari derivanti dall'uso spregiudicato delle intercettazioni abusive che vedono coinvolti alcuni fra i suoi più chiacchierati funzionari, per guardare con sospetto un ambiente nel quale la logica del profitto, da perseguire con ogni mezzo, lecito e illecito, ha la meglio su ogni altra concezione dettata da un'etica che fatico a ritrovare in un mondo dove prevale la logica del più forte, e del più ricco, ovviamente.
Per questo mi ha molto sorpreso la proposta avanzata anche da certi settori di una sinistra falsamente "statalista" (peraltro ampiamente condivisa dalla sponda destra italiota) i quali, per evitare che Telecom finisca in mani estere, hanno avuto un lampo di genio proponendo che sia l'ex presidente del consilvio a rilevare l'ex Sip.
Il telecavaliere, da bravo giocatore, ha rilanciato, subordinando il suo impegno al ritiro del ddl Gentiloni, che dovrebbe tentare di riformare il sistema televisivo, campo nel quale, com'è noto, il tricofilo minor ha corposi interessi da difendere in regime di sostanziale duopolio.
Ancora non è stato risolto il più generale conflitto d'interessi legiferando come da programma elettorale (e chissà se lo sarà mai) che se ne crea un altro, rafforzando una posizione già dominante in un settore sensibile, quello delle telecomunicazioni, che risulta essenziale per la democrazia di ogni Paese.
Bel modo di fare politica, cari ulivisti dell'Unione, io questo scambio di favori lo chiamo "do ut des" un modo decisamente scorretto di usare la res publica lasciando che sia un privato, e che privato, a difendere "un'italianità" che invece è patrimonio di tutti.
In questo settore il ruolo dello Stato dovrebbe avere il controllo sul libero mercato, facendo valere tutto il suo peso per salvaguardare in primo luogo la funzione primaria di un asset strategico per l'interesse nazionale, che non può essere oggetto di speculazione finanziaria, garantendo al contempo il posto di lavoro dei dipendenti e tutelando i consumatori e i piccoli risparmiatori.

 
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