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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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UN ALTRO PRIMO MAGGIO

Post n°427 pubblicato il 01 Maggio 2007 da bargalla

     immagine

Se penso al Primo Maggio, penso a mio padre emigrante e a tanti come lui che negli anni sessanta lasciarono quest'angolo di mondo e gli affetti più cari per cercare altrove quel lavoro che qui continua ad essere una merce sempre più cara e rara, per "acquistare" la quale spesso bisogna scendere a compromessi ricorrendo al malvezzo della raccomandazione.
Così che il lavoro da diritto-dovere, diventa un pegno da pagare a qualche mammasantissima, ben ammanigliato con quel potere che qui come altrove, alimenta il sottobosco di una politica decisamente più agli antipodi di quanto l'etimo greco del termine "politica" suggerisce, tanto che quel lavoro che dovrebbe essere un diritto-dovere, diventa così "nero" e precario da sparire inghiottito nel gorgo di una sottoccupazione più umiliante della stessa disoccupazione.

Lavori mal pagati, senza contratto, con buste paga che indicano una cifra maggiore di quella effettivamente percepita, lavori privi di ogni tutela e garanzia, spesso svolti sotto il ricatto del "prendere o lasciare" di qualche padrone più attento alla produzione, al rendimento e meno alle condizioni contrattuali e di sicurezza che da ultimo hanno fatto impennare la tragica contabilità legata agli  "omicidi bianchi".
Il "padrone" gira in mercedes, si fa lo yacht, elude ed evade il fisco, ha un centinaio di dipendenti ai quali versa la metà di quanto dovuto e magari, pur essendo ladro, passa anche per benefattore.
Il tutto sotto gli occhi compiacenti di chi dovrebbe controllare e non lo fa,  forse perché non ha i mezzi o forse perché chiude entrambi gli occhi.
E se per sciagurata ipotesi, dovesse scapparci il morto, evenienza fra le più frequenti nell'edilizia o in agricoltura, ecco che quel morto, pur essendo ufficiosamente alle dipendenze di quel "padrone" da diverso tempo, per uno strano scherzo del destino muore al suo primo giorno di lavoro, un'ufficialità garantita per così dire da un'assunzione regolarizzata il giorno prima del decesso, buona comunque per coprire il rischio assicurativo, gli eventuali risarcimenti e le responsabilità del datore di lavoro.
La sistematica violazione delle norme di sicurezza e le assunzioni irregolari o fittizie, sono ai primi posti delle irregolarità riscontrate nell'ambito di un controllo straordinario avviato pure nella mia regione dopo il verificarsi di infortuni, anche mortali, che hanno riproposto in modo drammatico la gravità di una situazione nella quale pur essendo facile individuare le responsabilità non si fa praticamente niente per sanzionarle adeguatamente e risolvere alla radice quella che sta diventando una piaga sociale.
Anzi, dopo averne parlato di sfuggita in qualche comizio del primo maggio o in qualche estemporanea dichiarazione e dopo aver osservato il solito minuto di silenzio, buono solo per tacitare per quell'unico minuto la coscienza di chi, per le funzioni che svolge e per le negligenze che avalla, non può essere mai in pace con quella degli altri, ecco che si ritorna a "delinquere" cazzeggiando di "valori non negoziabili" di protezioni da assicurare a vescovi che si sentono soli, di papi che sparlano di "valori umani e religiosi senza i quali non è possibile costruire vere, libere e stabili democrazie".

Ma che parlassero di Dio e solo di Dio una buona e santa volta!
O di quella Dottrina Sociale che, al pari della Teologia della Liberazione, è solo un ricordo da rimuovere e con esso cancellare ogni riferimento al riscatto morale e sociale di quegli ultimi per i quali il Lavoro è ancora sinonimo di schiavitù.
Se penso al Primo Maggio, penso a mio padre emigrante, era poco più che ventenne il mio papà e in ricorrenze come queste, mi parla di quel periodo della sua vita che certo non fu facile, soprattutto perché pur di lavorare, accettò i lavori più umili e faticosi e, pur non sapendo una parola di tedesco o di francese, volle ugualmente salire sulla "freccia del sud" come tanti suoi coetanei, con la classica valigia di cartone, per recarsi in Svizzera, dove da stagionale, trascorse quasi vent'anni della sua vita. Nel frattempo mise su casa e famiglia, comprò un pezzo di terra e ritornò poi ad esercitare il mestiere forse più duro, più bello e meno retribuito: il contadino.
A volte prendo le sue mani fra le mie, per sentire, come facevo da bambino, i calli, o quel che rimane, di una vita che fu dura per tutti.
Se penso al Primo Maggio, penso al primo articolo della Costituzione Italiana: "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro..." e mi chiedo se questo, come tutto il resto degli articoli rimasti lettera morta, non sia solo una pia aspirazione dei Padri Costituenti, che certo immaginavano per questa Povera Patria un futuro migliore per tutti.
Se penso al Primo Maggio, penso al sacro principio dell'Uguaglianza, tante volte calpestato soprattutto da coloro i quali dovrebbero garantirlo e osservarlo, senza il quale la Libertà, diventa prerogativa di pochi; senza l'Uguaglianza, ha detto Moni Ovadia, la Libertà "è una truffa".
Se penso al Primo Maggio, penso all'ex presidente del consilvio e ad una frase che meglio di ogni altra ne illustra il pensiero politico:
"Continuano ad essere convinti che il fine del governo sia ridistribuire il reddito con le tasse, rendendo uguali il figlio del professionista e il figlio dell'operaio". Ipse dixit Berlusconi Silvio la sera del 3 aprile ‘06.

Se penso al primo maggio, penso al "Quarto Stato" il celebre quadro di Pellizza da Volpedo, vera icona di un movimento che sintetizza meglio di ogni altra, la cultura di una classe operaia che, purtroppo, non andrà mai in paradiso.
Così scrive in una sua lettera l'autore per presentare il quadro: "L'avanzarsi animato di un gruppo di lavoratori verso la sorgente luminosa simboleggiante nella mia mente tutta la grande famiglia dei figli del lavoro".
"Il cammino dei lavoratori" titolo inizialmente prescelto diventa "Quarto Stato" e nel catalogo generale si legge: "E' evidente che Pellizza non intendeva rappresentare esclusivamente una scena, sia pure molto importante, della vita sociale del proprio tempo, vale a dire un momento di sciopero e di protesta. Vi compaiono infatti delle figure che avanzano verso la piena luce, mentre sullo sfondo campeggia un tramonto: è chiara l'allegoria sociale del popolo che avanza verso un futuro radioso, lasciandosi alle spalle l'età dell'oppressione...la massa avanzante non è inerte, ma il gestire delle mani e dei piedi e il gioco delle ombre movimentano la sua rappresentazione producendo un'ondulazione".
Un manifesto senza parole che grida ai potenti la ferrea volontà di lottare della classe proletaria, sono operai e contadini in marcia verso la conquista del riscatto sociale, un simbolo reso freddo e inerte dalle moderne coreografie ufficiali e da una classe politica inetta, attratta e distratta dalle sirene del falso perbenismo borghese.
Strano destino quello del "Quarto Stato" che per certi versi sembra anche accompagnare il declino di quegli operai che voleva celebrare.
Il Quadro, olio su tela (285 x 543 cm) dipinto dal 1897 al 1901, venne acquistato nel 1920 dal Comune di Milano con una pubblica sottoscrizione che ne decretò la definitiva fortuna. Dopo essere rimasto per molti anni a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, oggi si trova esposto, in condizioni di luce non ottimali, nella Civica Galleria di Arte Moderna di Villa Reale, in via Palestro.
Bisogna fermarsi per guardare quel quadro, scegliere uno di quei personaggi e riprendere poi tutti insieme il cammino interrotto verso un altro Primo Maggio. 

 
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