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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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SILENZIO ROTTO DALL'INDIGNAZIONE

Post n°547 pubblicato il 03 Febbraio 2009 da bargalla

    

Mia madre dice che dinanzi ad Eluana la cosa migliore da fare è tacere, osservare un religioso silenzio che è muta partecipazione e magari pregare con la voce del cuore. Sarà per questo che ogni volta che in televisione si parla di Eluana, lei schiaccia quasi con rabbia il tasto del telecomando, cambia canale e diventa improvvisamente muta, giusto il tempo di recitare un Requiem, per poi tornare a parlare e coprire di insulti e di invettive quella torma di cani rognosi che si aggirano famelici attorno al corpo di una donna “morta” 17 anni fa.
Seguo parzialmente il suo consiglio e mi impongo un rispettoso “silenzio” anche perché se scrivessi tutto quello che penso sul profittevole cinismo del clericalume imperante e del fariseume trionfante che in Italia regnano sovrani, rischierei di essere più impulsivo e ribelle di quanto normalmente già traspare da questi post dettati dalla sterile voglia di indignarsi; sì sterile, giacché la parola senza l’azione è destinata a languire nelle coscienze obnubilate dagli operatori di iniquità incardinati in un sistema perverso che sfrutta tutto e tutti, finanche Dio, perfino l’agonia di una donna e la morte di un uomo ogni giorno crocifisso nella pervicace negazione di diritti volti ad affrancare proprio i più deboli non certo dalla schiavitù del peccato, giacché quello è solo un paravento, un pretesto per compierne di altri ben più esecrabili e riprovevoli, empiamente perpetrati nel nome del falso perbenismo predicato dai sepolcri imbiancati di stanza oltretevere.

In queste ore stanno aizzando i loro luridi mastini intorno ad un letto d’ospedale e già questo dovrebbe far riflettere i benpensanti catto-vaticani, seppure distratti dalle certezze di una fede che se fosse davvero tale consentirebbe loro di smuovere le montagne e di spianare le colline, di riempire le valli e, magari, di resuscitare anche i morti.
Così come ha forse inteso fare chi ha protestato contro il trasferimento della paziente da Como a Udine e ha gridato: “Eluana, svegliati” quasi avesse a che fare con un altro Lazzaro, solo che stavolta il potere taumaturgico degli invasati e dei travasati mentali nulla può contro l’evidenza di una realtà che, insieme alla negazione dell’humana pietas, indica la perfida volontà di opporsi all’applicazione di una sentenza.
Cosa questa già di per sé riprovevole e ancor più lo diventa se per veder riconosciuto un proprio diritto un comune mortale deve adire le vie legali proprio per chiedere di morire con dignità, senza cioè quell’accanimento terapeutico, divenuto nel tempo accanimento mediatico, sul cui altare si immolano i capri espiatori sgozzati dall’egoismo e dalla crudeltà mentale di squallidi personaggi che devo coartare la mia coscienza per definire “uomini”.
Anche se l’Italia è un paese a laicità limitata resta pur sempre la Patria del Diritto e sarà bene rammentare agli ayatollah catto-vaticani quanto recita l’articolo 32 della Costituzione Italiana e l’articolo 5 della Convenzione di Oviedo, entrambi questi articoli pongono l’accento sulla volontarietà delle cure e sulla necessità di dare il proprio consenso a qualsiasi trattamento.

Dimenticare questi semplici enunciati rivela una perfidia senza limiti, d’altronde il sadismo dei fondamentalisti mascherato dalla retorica della vita, si nutre proprio della presunzione di essere nel giusto, infliggendo, agli altri beninteso, pene e supplizi che loro non si sognerebbero mai di subire. E semmai per ventura dovessero essere sfiorati dalla malattia, cosa che in cuor mio auguro loro di buon grado (giacché solo portando la croce si può capire il calvario della malattia) eccoli pronti a chiedere di essere lasciati in pace. Proprio com’è capitato al vecchio LoleK.
Un’attenta analisi delle condizioni di salute di Karol Wojtyla nelle ultime settimane della sua esistenza dimostra in modo inoppugnabile (anche grazie a un libro scritto da un archiatra papale, Lasciatemi andare…) che per sua scelta non gli sono state praticate alcune cure che pure avrebbero potuto tenerlo in vita ancora a lungo.
Nel caso di Eluana, così come nel caso del papa polacco, alla fine c’è un sondino naso-gastrico che fa la differenza, ma pur appartenendo entrambi al genere umano, c’è sempre qualcuno che si ritiene più “umano” degli altri, troppo umano, direbbe Nietzsche, e pretende e ottiene per sé un trattamento di favore.
Ai corti di memoria e di comprendonio ricordo quei giorni, le immagini scorrono come un film proprio adesso che altre si sovrappongono a quelle inducendo ad una riflessione che diventa preghiera e amorevole silenzio rotto dal frastuono di polemiche ambigue e crudeli.

Chi non ricorda il vecchio papa che a fatica compie ogni suo gesto?
Perfino respirare gli costava fatica, eppure fra tutti i problemi del complesso quadro clinico sviluppato dal paziente Wojtyla, l’insufficienza respiratoria acuta non costituiva da sola causa di imminente pericolo di vita per l’illustre paziente. Il papa si stava lentamente spegnendo per una complicanza legata all’evoluzione del morbo di Parkinson: i muscoli laringo-faringei non riuscivano più a contrarsi provocandogli perciò l’incapacità di deglutire.
Non potendo deglutire, il paziente non era quindi in grado di alimentarsi, va da sé che in queste occasioni si ricorre all’alimentazione forzata e al posizionamento di un sondino naso-gastrico.
Tralascio ogni altra considerazione legata all’evoluzione del quadro clinico, ricordando però l’ultima volta che il papa si affacciò dalla sua finestra, il 27 marzo 2005: la sua struttura muscolare era visibilmente debilitata dalla denutrizione, oltre che dal m. di Parkinson; la notevole astenia gli rendeva faticosa la respirazione anche attraverso la cannula tracheostomica, per non dire della fonazione pressoché assente che gli procurò uno dei pochissimi gesti di rabbia in pubblico e quella benedizione muta rimasta a mezz’aria.
Il suo sistema immunitario era stato fortemente compromesso dalla denutrizione ed era ormai così depresso da non assicurargli più alcuna difesa, per cui una banalissima infezione (con iperpiressia e collasso cardiocircolatorio) è potuta diventare mortale nel giro di pochissime ore. Nel pomeriggio dello stesso giorno, la gravità estrema della situazione convinse finalmente gli archiatri papali a posizionare quel sondino naso-gastrico, ma ormai era troppo tardi.
Karol Wojtyla morì infatti sei giorni dopo.

Non si conoscono le ragioni per cui non si è proceduto in tempo utile all’alimentazione artificiale, anche se è lecito pensare che sia stata la volontà del paziente stesso a influenzare una condotta terapeutica che a prima vista sembrerebbe ambigua. Come dire: essendo in grado di intendere e volere si è avvalso di quanto prevede il consenso informato, negando un atto terapeutico.
E’ da notare che la cura non somministrata al paziente Wojtyla a tempo debito, vale a dire la nutrizione artificiale, è precisamente quel trattamento che un documento approvato dal comitato nazionale di bioetica, voluto da un gruppo di bioeticisti cattolici, ha codificato come “sostegno di base” permanente che non si può mai negare in nessun caso e a nessun paziente.
Per ironia della sorte il testo di riferimento del suddetto documento è l’enciclica Evangelium vitae, scritta dallo stesso Karol Wojtyla il quale avrebbe dovuto usufruire del supporto di tutti i mezzi resi disponibili dalla medicina moderna e, in particolare, avrebbe dovuto accettare tempestivamente il supporto nutrizionale artificiale, poiché superata la crisi respiratoria, la sua morte non era né imminenteinevitabile.
L’evoluzione della malattia di Karol il Grande, vista dall’esterno con occhi profani è apparsa “logica” perché il paziente sembrava così vecchio e debole, cosicché la morte sembrava a tutti “naturale” nel senso che nessuno l’ha trovata strana. Per non dire dolce!
A quel che è dato sapere, papa Wojtyla probabilmente non aveva dubbi sul fatto che il sondino naso-gastrico per l’alimentazione enterale sarebbe stato un atto sproporzionato e gravoso per lui (come da definizione di “accanimento terapeutico” riportata nell’Evangelium vitae).
Era evidentemente convinto che il suo rifiuto fosse “accettazione della condizione umana di fronte alla morte”. L’humana pietas dei medici gli ha consentito di agire in base a tale convinzione ed egli ha potuto attendere “serenamente il momento del sollievo” e di chiedere e ottenere di “andare dal Signore” recitando il nunc dimittis, la preghiera di Simeone.

Non così per la cara Eluana!
Non così per i loro cari schiacciati da un dolore e da un peso reso ogni giorno più insopportabile dall’arroganza e dalla crudeltà di inqualificabili personaggi che inneggiano alla non-vita.
Oggi vi è certamente la necessità di ribadire che la vita di un uomo non è “disponibile” secondo l’arbitrio di altri uomini, e neppure della persona coinvolta. Ciò significa che non si può decidere per egoismo, per interesse, per indifferenza, tantomeno per disprezzo e per odio.
Viceversa si deve sempre decidere per amore.
La cosiddetta società civile offre (dovrebbe offrire) informazioni accurate, strutture adatte a curare, sostenere la vita e la sua qualità per tutti i cittadini; e alcune leggi che impediscano a qualcuno di aggredire ingiustamente la vita degli altri (magari derubandoli delle loro risorse vitali). Qui il discorso si allarga al mondo, naturalmente. Se è ragionevole invocare il criterio di precauzione per non sottrarre l’idratazione a un malato in coma irreversibile, è anche più ragionevole dichiarare che non si possono sottrarre le risorse d’acqua e di alimentazione (e le medicine, e la sicurezza e la libertà...) a milioni di esseri umani nel mondo. Solo l’indifferenza, se non l’ostilità, per la vita degli altri uomini spiega l’atteggiamento di nazioni e continenti (sedicenti cattolici e cristiani) verso milioni di moribondi in tutto il mondo.
Ma se è vero, com’è vero, che mai nulla accade per caso, dovrebbe far riflettere un dato incontestabile, se volete una coincidenza, un segno, chiamatelo come volete, voi ipocriti bigotti che osservate la pagliuzza nell’occhio del fratello (il rifiuto del sondino) e non vi accorgete della trave che avete nei vostri ( l’eutanasia di un papa e la negazione della dignità umana).
Proprio ieri, giorno in cui Eluana, come foglia sospesa staccatasi da quel ramo del lago di Como per raggiungere e trovare la pace e la Quiete negli amati luoghi paterni, la liturgia della Parola ha proposto il brano del Vangelo che descrive la circoncisione e la presentazione di Gesù al tempio e la preghiera di Simeone. Ieri mattina ho letto il Vangelo, ieri sera tardi le agenzie battevano la notizia dell’ultimo viaggio di Eluana. No, non può essere una semplice coincidenza.
Or ecco, c’era a Gerusalemme un uomo di nome Simeone, persona giusta e timorata che attendeva la consolazione d’Israele…venne dunque al tempio, condotto dallo Spirito, e quando i genitori introdussero il bambino Gesù per fare secondo l’usanza della legge, egli lo prese tra le braccia e benedisse Dio dicendo: Ora, Signore, lascia che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola…” Luca 2, 25-29

Lasciamo che Eluana, come Karol, vada dolcemente in pace verso una morte che è parte della vita. I toni da crociata non servono a nessuno anche se oggi qualche gerarca catto-vaticano ha dato il peggio di sé lanciando i soliti anatemi volendo fermare “quella mano assassina”.
Sta ora alla politica pronunciarsi in modo chiaro e inequivocabile sul “fine vita” senza farsi influenzare da condizionamenti chiesastici soprattutto alla luce di quanto da tempo va affermando il professor Veronesi il quale si è sentito in “dovere di lanciare un allarme, perché a un passo dall’approvazione di una legge sul testamento biologico, auspicata da chi crede nei diritti, si profila il rischio che venga applicata una legge che invece calpesta e nega tali diritti”.

 
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