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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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MA CHE BELLA PONZATA!

Post n°584 pubblicato il 16 Settembre 2009 da bargalla

                      


Avendo da tempo boicottato ogni forma di infotainment-filogovernativo (l’intrattenimento come mezzo pseudo giornalistico impiegato per fottere, mentire e concupire le platee bellamente disinformate dal regime mediatico) evito accuratamente di guardare, sia pure per sbaglio, quelle che uno dei dioscuri italioti, anche lui finito nel tritacarne della real casa per lesa maestà, ebbe a definire comiche finali.
Infotainment strafottente, chiaramente propagandistico che vede la compagnia di giro dell’innominato e lo stesso presidente del consilvio, protagonisti indiscussi (indiscutibili!) di burle, balle e farse priapesche, amplificate con l’enfasi richiesta dal padrone del vapore (noto venditore di aria fritta) dai tiggì minzo-mingenti servile encomio e da talk show minchionatori e rai-set…tari, nei quali l’assenza del contradditorio e la presenza della claque e del pennivendolo di fiducia rendono falsa e inverosimile qualsiasi verità e raffigurazione di ciò che si è e si rappresenta, e questo in forza di una iattanza che rende lorsignori inconsciamente coscienti di essere congenitamente inadatti a ricoprire ruoli e cariche considerate semplicemente un mezzo col quale perseguire fini inconfessabili e interessi personalistici.      

Les amours des autres sont ignobles
, per definizione, ma gli amori, le tresche e gli inganni dei politicanti italioti sono qualcosa di peggio, sono a dir poco burleschi; per quanto ci sia ben poco da ridere dinanzi agli abusi del potere “costituito” da emeriti puttanieri, statisti immaginari, assurti all’onore delle cronache avendo come unico scopo (sic) quello di comandare, fottere  e mandare a puttane un’intera Nazione.
Si veda l’ultimo editto legaiolo che non si accontenta più del federalismo, ma invoca la secessione.
Ministri “eversori” che hanno giurato fedeltà alla Repubblica Italiana, tramano e attentano all’Unità Nazionale senza suscitare sdegno e indignazione in quanti assistono, corrivi e impotenti, al disfacimento di uno Stato degradato a proprietà privata, troiaio, suburra e signoria; uno Stato ripetutamente oltraggiato nei suoi simboli (la Bandiera, la Costituzione e la Capitale) da squallidi personaggi al cui confronto certi “terroristi” finiti nelle patrie galere, rischiano di passare per martiri e perseguitati politici.      
Un parlamento nato da una porcata, partorito da una maggioranza formata da manutengoli e nominati, deve attenersi a direttive aziendali, propriamente oligarchiche, che con la Democrazia hanno ben poco a spartire, pena il “licenziamento” in tronco di quegli utili idioti, i quali pessimi ottimati, pur di fregiarsi del titolo di onorevoli e senatori, devono legiferare a comando e tenersi buoni capi e capetti, detentori di golden share che consentono poi al malgoverno di violare i diritti umani, cancellare Principi Fondamentali, attuare una subdola strategia della tensione, sproloquiare di gabbie salariali e quant’altro richiede la personale contingenza di questo o quell’altro portatore sano e malato di interessi privati scavando divari incolmabili nel sistema Paese per favorire, logge, cupole e confraternite di bassissima lega.

Esempio fra i più banali e sottaciuti: un rampollo certo degno di cotanta schiatta, quello che si diletta facendo rimbalzare il clandestino fra un “Roma ladrona” e un oltraggio al Tricolore, ebbene quel figlio nordista di padre ministro dichiarato ripetutamente “immaturo” è stato nominato, in forza di chissà quali titoli di merito, membro del consiglio di direzione dell’osservatorio sulla trasparenza del sistema fieristico lombardo. Un carrozzone mangiasoldi che se fosse in circolazione in Terronia sarebbe già finito fuori strada, ma siccome è stato ideato dai soloni longobardi deve pur servire a qualcosa, meglio dire a quel figlio di ministro che sol perché porta quel cognome, come peraltro accade ovunque ai figli di papà, avrà la sorpresa di intascare ogni mese la bellezza di Euro 12.000. Dieci volte lo stipendio dei professori, forse terroni, che hanno avuto l’imprudenza di bocciarlo; quindici volte lo stipendio dei ricercatori universitari, forse precari, i quali per ironia della sorte devono anche subire le direttive della “beata ignoranza”.

Mi rimetto quindi alla “clemenza” della libera stampa, mai sufficientemente cattiva e “farabutta” con chi pretende tacita acquiescenza, giornali e mass media non allineati e non casualmente tacciati d’inenarrabili violazioni della libertà e della privacy da parte di chi pretende di essere al di sopra della Legge, reclama impunità e confonde liberalismo e libertinaggio, così come accade in certe satrapie, dove il satrapo è anche satiro avendo al seguito un harem sempre pronto a spegnere i furenti bollori del rais.
Almeno così crede di essere il “misirizzi” italiota a cagione di una satiriasi senile non estranea comunque al maschio latino, all’uccello italico, il quale credendosi un grande amatore, un trombeur de femme (mi si passi il calembour) rischia di essere a sua volta trombato e a furia di volare basso, s’impantana nei bassifondi paludosi all’uopo preparati da chi la sa molto più lunga di lui, e ci lascia le penne rimediando la figura del classico merlo alle prese col “fattore d”. Una variabile non prevista dinanzi alla quale le minacce in stile mafioso, il killeraggio mediatico e il “character assasination” orditi dagli organ house del fregnone rischiano di ritorcersi contro chi pesca nel torbido usando un boomerang raccattato in certi dossier pompati ad arte da un pio e zelante servitore cresciuto alla scuola dei servizi deviati; servizi, alias “cessi” sporchi di farina del diavolo, latrine scavate all’ombra di betulle da chi trama vigliaccamente e trema solo all’idea di essere (finalmente) sputtanato, finendo i suoi giorni “appeso” al giudizio popolare, esposto e additato al pubblico ludibrio, come fosse un trofeo di caccia; sì, proprio lui un predatore ridotto a preda.
Cerco pertanto di farmi un’idea di quel che in Italia accade navigando nel mare magnum della rete, mi costruisco un menabò tutto mio e, in attesa delle idi di marzo, l’ordalia di primavera la chiamano, mi accontento di seguire le res gestae di un paraninfo affetto da uno straripante complesso di superiorità il quale pensa di essere perfino un grande statista. 

Un caso patologico, si direbbe; eppure la pericolosità sociale ed eversiva del soggetto non è adeguatamente riconosciuta e trattata come merita considerato l’obnubilamento di coloro che assistono impotenti alla distruzione del sistema immunitario dell’organismo “Stato” consentendo ad un agente patogeno di infettarne liberamente i gangli vitali e di presentarsi come “il migliore” dei peggiori.
Il guaio non è tanto lui, quanto chi si lascia contagiare senza prendere alcuna precauzione rischiando una vera e propria “mitridatizzazione” un lento avvelenamento della coscienza civica non più in grado di opporsi alla tossica influenza di un dittatore che concentra nelle sue mani un potere senza pari, alla faccia di qualsivoglia conflitto d’interessi, specie nel momento in cui trasforma il Parlamento in un bivacco per i suoi manipoli, instaura la dittatura della maggioranza e si perita modificare il palinsesto televisivo,  trasmettendo a reti unificate i bluff, gli spot ( i flop, vivaddio!) che reclamizzano la sua premiata ditta, delle vere e proprie prove tecniche di regime; una buffonata recitata sfruttando una tragedia.
Odio, e lo dico con tutto il disprezzo possibile dal caso richiesto, chi approfitta delle disgrazie altrui per trarne da esse un certo tornaconto personale, sia pure uno squallido ritorno d’immagine; odio chi si appropria dei meriti altrui per portare acqua al suo mulino; odio chi confonde la carica delle truppe mammellate col movimento tettonico; odio chi non ha avuto remora alcuna nel trasformare un dramma in un reality show dove il dolore diventa spettacolo, i terremotati diventano comparse e il protagonista assoluto è lui, il tracotante presidente del consilvio in veste di nababbo natale, l’utilizzatore finale che distribuisce specchietti per le allodole e gli allocchi.

Chi si loda s’imbroda
, recita il proverbio, ma per uno che è già unto e bisunto di suo non c’è sporco che possa aggravare o nascondere una sozza coscienza che si vorrebbe fosse pulita come il “culus” dei versi dal buon Catullo scritti proprio per simile marmaglia infatuata dall’influenza del porco.
Ha ragione il tribuno Di Pietro; bisognerebbe disdire il canone Rai, non fosse altro in ragione di quel principio liberale secondo cui no taxation whitout representation.
Non mi sento rappresentato da simile gentaglia né da un parlamento che mi considera extraparlamentare, ancor meno da mamma rai divenuta matrigna per la quale ci sono figli e figliastri.
Per la serie “come lui nessuno mai” leggo di una spudorata esibizione del presidente del consilvio in prima serata nel vespasiano del ronzante neo e del contemporaneo, censorio, rinvio di un programma informativo ritenuto stonato. Fin qui nulla di nuovo conoscendo i precedenti edittali e l’alvo diarroico del ponzante nonché la noiosa stitichezza di un male…adorante coleottero, novello Vezio, il quale a furia di leccare culi e piedi ha perso il pungiglione e non riesce più a suggere il nettare dell’imparzialità finendo per restare intrappolato nella melassa prodotta dal regime berlusconiano.
Dopo una così bella ponzata andata in onda sulla rete ammiraglia, è igienicamente consigliabile azionare lo sciacquone e ricacciare nella cloaca del potere baracca e burattini, pupi e pupari ai quali dedico i versi licenziosi e mordaci di un certo Catullo.                


             “A te più a chiunque altro va bene, spudorato come sei,Vezio,
                quello che si usa dire dei chiacchieroni vanesi in te lo si trova.
                          Con questa tua lingua, potresti all’occasione
                                 leccare ugualmente culi e scarponi;
                          ma se davvero, Vezio, vuoi distruggerci tutti,
                         non c’è problema: basta che tu apra la bocca”.

                                            
- C. Valerio Catullo, carme 98 -   

                            *******************************************

                  
   

 
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