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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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« MEDITAZIONE VESPERTINAL'AQUILONE »

QUESTO E QUELLO PER ME PARI SONO

Post n°593 pubblicato il 13 Dicembre 2009 da bargalla

                     


Non credo ci sia altra Nazione al mondo in cui ogni giorno si celebra l’apoteosi
dell’imbroglio e della falsità così come quotidianamente accade in Italia dove camarille, chiese, cupole e clan si contendono la palma dell’ipocrisia applicata al falso perbenismo di facciata sotto le cui croste albergano le peggiori pulsioni.
Politici in odore di mafia, clerico-gerarchi depravati, parassiti e bigotti, papi-filosofi del monotono teismo, pessimi ottimati, criminali inquisiti e riveriti ogni giorno sputano leggi e sentenze dall’alto di pulpiti mediatici eretti sulla dabbenaggine di un popolo bue scioccamente aduso ad obbedir tacendo che nulla può dinanzi alla patologia del potere, al trionfo dell’arroganza e della disonestà, ingredienti di un sistema di potere cresciuto a dismisura sulle anomalie, alimentato dalla complice acquiescenza di un esercito di scherani e di inutili idioti sul conto dei quali risulta perfino inutile infierire giacché la palesata imbecillità li rende degni di essere solo dei cavalier serventi, degli accoliti al servizio di monarchi che blaterano di gregge, di popolo e di sovranità così come gli impostori parlano di trucchi senza inganni.
Questi fulgidi campioni dell’arte d’infinocchiare il prossimo vogliono passare per sacerdoti, filantropi, statisti e benefattori dell’umanità, quando poi al netto delle loro tare comportamentali non sono altro che preti e politicanti da strapazzo, velenosi tessitori di ragnatele, dei ciarlatani patentati che spacciano dio, la libertà, l’onestà e quant’altro possa prestarsi ad esser specchietto per gli allocchi, unicamente in funzione di interessi che spaziano dalla religione alla politica tentacolare facendo vibrare sensibilmente quella corda che tintinna al suono della corruzione e del malaffare.
Gerarchia, stato e popolo: la demagogia applicata alla gestione delle anime e dei corpi, vuoti a perdere ammassati nelle discariche del consenso estorto con la promessa di una vita eternamente trascorsa a dire signorsì per permettere a un branco di profittatori di manifestare il loro dispotismo, la natura totalitaria della chiesa dei papi, quella eversiva del malgoverno “creato” a immagine e somiglianza dell’innominato; le criminali cointeressenze dei padrini del sommerso e le inique prerogative dei padroni del vapore.

L’intolleranza predicata come verbo “messianico” diventa un presupposto fondante di un’ideologia che annichilisce la libertà di essere semplicemente uomini con pari dignità dinanzi ad una legge (sic) divenuta  instrumentum regni, mero esercizio leguleio col quale forgiare l’usbergo degli arcana imperii.
Si parla tanto in questo oscuro tempo italico delle condizioni in cui versa il sempre più cagionevole Stato di Diritto (divenuto stato del dritto) e le intemperanze del monarca (ogni giorno sempre più mona) che, aiutato dai suoi fidi cortigiani fa di tutto per contro-riformarlo, naturalmente pro domo sua. Contrariamente a quanto fece Giustiniano (un nome, una garanzia!) al quale pure l’innominato dice di ispirarsi ignorando che la conditio sine qua non può esserci Stato di Diritto è proprio l’esclusione del potere arbitrario.
Il che significa che gli atti con i quali si esercita il potere devono essere ispirati al Diritto positivo (lo so, è un concetto ostico per siffatta gentaglia) e trarre da esso la loro giustificazione affinché siano validi in senso giuridico e legittimi in senso politico ovvero correlati all’osservanza dei corrispondenti doveri. (Non è un caso se gli Organi di Garanzia a tal fine preposti siano nel mirino di un riformatore da riformare).  
Lo Stato d’eccezione in cui nostro malgrado siamo, depone in senso contrario stante la presunzione dell’unto di ritenersi arbitrariamente super leges, (forse è meglio dire super palles); c’è infatti un’istituzione chiaramente eversiva che sfida le altre e le delegittima tentando di attribuirsi (da qui gli “attributi” di cui sopra) una patente democratica lungi dall’essere espressione della volontà popolare pretestuosamente adottata per tentare di sovvertire l’ordinamento costituzionale.
Qualcuno giustamente si è chiesto: “Come non vedere in questo caso l’abuso del potere esecutivo che usa il legislativo come scudo dal giudiziario?” 
Solo i furbi e gli orbi per partito preso ignorano che la teoria politica attribuisce un nome a questa deforme congerie di strisciante illegalità in cui anche il Principio di Legittimità è svilito dalla mancanza di Legalità: assolutismo, dittatura, bonapartismo o, se volete, plebeismo populista, ovvero la non democrazia al tempo del declino del senso del dovere (di farsi anche giudicare per le proprie malefatte) così da indebolire in modo forse irreparabile l’intera struttura sociale come pure quella costituzionale di ogni società civile, a maggior ragione di quella italiana che rimane pur sempre un esempio di democrazia incompiuta o a sovranità limitata dalla presenza di un papa re che, con una mimica da becchino direbbe Nietzsche,  prova ultimamente “rabbia e vergogna” dinanzi alle turpi nefandezze compiute  dai preti pedofili irlandesi (per non dire degli orchi preteschi di ogni latitudine) dimenticando che lui in tempi abbastanza recenti ha coperto con l’omertà tipica di ben altre cupole quelli che chiama “crimini odiosi”.

Sono migliaia nel mondo le vittime dei lupi travestiti da agnelli verso i quali il pastore tedesco ora ringhia rabbioso; eppure in un moto di umana resipiscenza dovrebbe domandarsi chi in questi anni ha protetto col silenzio e l’omertà i preti pedofili dato che è lo stesso la cui firma figura in calce insieme a quella del suo attuale reggicoda nell’epistola “De delictis gravioribus” in cui si fa esplicito riferimento alla famigerata “Instructio crimen sollicitationis” che sostanzialmente nega il ricorso alla giustizia ordinaria imponendo che i reati contro il sesto comandamento del Decalogo commessi da componenti del clero con persona d’età inferiore ai diciotto anni  siano condotti nella massima segretezza e, una volta definiti con sentenza esecutiva” (del tribunale ecclesiastico) “vengano coperti da silenzio perpetuo; tutti coloro che, in qualunque modo, sono personalmente addetti al tribunale, ovvero per il loro ufficio sono ammessi alla conoscenza delle questioni in causa, hanno l’obbligo di osservare inviolabilmente il segreto strettissimo… sotto pena d’incorrere nella scomunica latae sententiae ipso facto…”
L’epistola citata più succintamente stabilisce che “le cause di questa natura sono soggette al segreto pontificio” il più rigido dei segreti previsti dal diritto canonico dopo il sigillo della confessione.  
Su tale segreto sorgono due domande, la prima sul senso che esso assume nel suo contesto e la seconda sulla possibilità che influenzi e ostacoli il corso della giustizia dello Stato.
Per la farisaica chiesa dei papi lo scandalo che potrebbe scaturire dalla notizia del peccato, rischierebbe di smarrire altre anime, a tutela delle quali è posto il vincolo del segreto. Tale argomentare accontenta forse i credenti, ma non chi porta nell’anima i segni della violenza poiché non si vedono altre esigenze meritevoli di essere valutate insieme al timore di uno scandalo dato che manca del tutto la pietà per le vittime e la considerazione delle sofferenze e dei turbamenti che costoro sono costretti a subire anche a grande distanza da quegli avvenimenti che, vivaddio, avvampano di cinica vergogna herr ratzinger.      

Ha senso prevedere una pena canonica più grave per la vittima che violi il vincolo del segreto piuttosto che per il carnefice il quale veniva (e forse viene ancora) trasferito di parrocchia in parrocchia con licenza di continuare tranquillamente a fare strame dell’innocenza violata?
Tanto poi si confessano e si assolvono fra di loro!
Ora si indignano, provano rabbia forse perché colpiti in quello che hanno di più caro: il patrimonio.
Alcune diocesi negli Usa hanno dichiarato bancarotta, altre in mezzo mondo sono sul lastrico, i risarcimenti milionari alle vittime dei preti pedofili sono il mezzo migliore per colpire al cuore l’impero dell’ipocrisia. 
Fu un abuso sessuale sistematico e ampiamente diffuso ai danni di bambini e adolescenti di entrambi i sessi, in scuole, orfanatrofi e riformatori gestiti da cattolici” documenta il rapporto Ryan.
Racconti atroci, di uomini e donne, all’epoca bambini affidati alle “cure” di preti impossibile da assolvere e perdonare: lupi travestiti da agnelli che hanno sbranato bambini, orfani, disabili che speravano di ricevere quel conforto che non avevano mai conosciuto ritrovandosi invece inghiottiti in un orrore dinanzi al quale la tolleranza e la titubanza della gerarchia ecclesiastica costituiscono la prova di una complicità che li rende colpevoli tanto quanto i preti pedofili.    
Se fossero coerenti (ma la coerenza non è una virtù che alberga nei cosiddetti sacri palazzi apostolici) dovrebbero applicare alla lettera quanto prescrive il Vangelo: “E chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui se gli si lega una macina d’asino al collo e lo si getta in fondo al mare.”

Altro che instructio crimen sollicitationis et epistula de delictis gravioribus!


 
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