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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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CI VORREBBERO I MULINI A VENTO

Post n°600 pubblicato il 24 Gennaio 2010 da bargalla

                                   


Prediche inutili
, questi miei post, lo so, non c’è bisogno di qualche anonimo commento di qualcuno a ricordarmelo; ma così Luigi Einaudi intitolò una raccolta di suoi scritti pubblicata più di cinquant’anni fa da Laterza, illuminato editore di un Sud volutamente tenuto al buio da una classe politica stracciona e affarista. Se solo i Meridionali (e gli Italiani) fossero meno servili e tele-rimbambiti e leggessero di più, forse, imparerebbero a pensare in proprio, senza delegare ad altri utili idioti, etero diretti, il compito di farlo per conto terzi; forse saprebbero meglio discernere il grano dal loglio, e magari distinguere il ladro, l’imbroglione, il bacherozzolo e l’imbonitore che s’inventano politici di lungo corso e continuano tranquillamente a fare quello che hanno sempre fatto: rubare, truffare e raggirare il prossimo.
Eppure tanto inutili le prediche di Einaudi non furono se poi, con quelle teorie, il futuro Presidente della Repubblica e il pugliese Menichella, fu governatore della Banca d’Italia, salvarono il Paese dal baratro.
Altri tempi, si dirà. Altri uomini di ben altra tempra e spina dorsale, ma a volte si ha come l’impressione di gridare al vento il proprio scontento e di essere come voce di colui che grida nel deserto, solo che invece di raddrizzare le vie del Signore più di qualcuno investito di messianica mala-etica si perita raddrizzare le banane infilandole nel podice del popolo bue.
Un senso di frustrazione annulla qualsivoglia reazione: fossimo almeno dei mulini a vento!
Immagine appropriata quanto mai, dato che in giro c’è un cavaliere che in quanto a farsa tragicomica non ha nulla da invidiare a don Chisciotte. Per l’incauto cavaliere che inseguiva i suoi sogni e le sue illusioni, almeno una reazione dei mulini a vento ci fu e lui finì miseramente a terra ai piedi del suo ronzino.
I don Chisciotte non servono al Palazzo, ma si servono del Palazzo!

Il collante lobbistico che lega il cavaliere alla sella dei poteri reali, i cosiddetti poteri “forti” della loro oligarchica tracotanza (la politica, l’economia, il do ut des, la mafia e il malaffare istituzionale) è come la tela di un ragno che cattura le sue prede ed è difficile da squarciare, mettere in crisi e neutralizzare soprattutto per la capacità del gruppo dominante costituito in gran parte da chi possiede la golden share, di riassorbire, narcotizzare o demonizzare chi rischia di mettere in crisi l’italica “non democrazia” dell’ipocrisia elevata a sistema, non a caso tutelata (sub tutela) dal clericalume imperante e suffragata dal fariseume trionfante.
Una “rivoluzione” in Italia è impossibile: abbiamo famiglia! Aveva ragione Leo Longanesi.
Del resto non c’è mai stata, gli stessi moti rivoluzionari per l’indipendenza di risorgimentale memoria e, passando per la dis…unità d’Italia, ogni altro “cambiamento” in odore di eversione, ivi compresi i recenti anni di piombo, sono stati determinati da fattori esterni e/o interni aventi il gattopardesco obiettivo di stabilizzare lo status quo riciclando uomini e ideali finiti nella spazzatura della storia e riemersi sotto la spinta di un fascismo perenne, un mitridatismo cesarista, che da sempre avvelena e malgoverna le genti del paese dei buoi, divenuto stazzo del popolo bue.
L’arte italica del “tirare a campare” ha fatto il resto benedetta da una chiesa catto-vaticana ben rappresentata da una cupola che ha sempre condizionato la politica. Un po’ come accadeva nel Medioevo, tuttora vigente nell’organizzazione del sistema-Italia, in cui sopravvivono il feudalesimo e le corporazioni.

La classe politica della prima Repubblica, i nostalgici del papa re, i loro superstiti, i loro eredi, i valvassini, i valvassori e i cascami partitocratici senza idee e ideali, riciclatisi in confraternite e camarille di basso conio, hanno riproposto e vivono rapporti di vassallaggio in forza del quale si esplica il criterio di distribuzione dei benefici e dei privilegi, ovvero l’esercizio del potere legato alla coltivazione dei propri interessi chiaramente confliggenti con il Bene Comune, per non dire degli abusi compiuti in nome di un dio o di una Legge divenuti instrumentum regni.   
Quanto all’ereditarietà dei feudi, basta leggere i cognomi della nomenklatura nazionale e locale per cercare la conferma di un ferreo blocco della mobilità sociale, così che ai padri succedono i figli degni di cotanta schiatta che per il solo fatto di portarsi dietro quel certo patronimico li porta ad avanzare pretese precluse ai comuni mortali, da qui la “lotta per le investiture” mascherate da candidature improponibili e da elezioni farsa. Tanto che (c’è da giurarlo!) a silvio succederà piersilvio!
Il recente attacco alla Magistratura mosso dal coimputato piersilvio ( degno di cotanto padre) lascia ben sperare i giacobini post litteram.
Il discorso diventa più calzante se tocca le corporazioni “medievali” costituite dagli impenetrabili fortini di ordini professionali e delle conventicole clericali che si arroccano in difesa dei loro assurdi privilegi anche qui trasmissibili per ereditarietà dinastica o suggellati da quel pattizio leonino chiamato concordato.   

Leggo che il signor camillo ruini, di professione cardinale in pensione della chiesa dei papi ha ricevuto, nel suo boudoir, l’innominato e il di lui damerino nonché gentiluomo del papa: hanno parlato di coalizioni partitiche nella Regione Lazio e il cardinale-sponsor del “doppiorfornista” pierfurby ha speso i suoi solfurei uffici decretando che le destre debbano stringere una santa e proficua alleanza col suo diletto baciapile.
E’ cosa buona e giusta farlo, soprattutto nel Lazio, noto possedimento papale, per contrastare Emmatar, notissima mangiapreti, schierata da una sinistra in cerca di identità.
Emmatar, “vessillo dell’anticlericalismo, vogliamo forse correre il rischio di farla vincere?”  
Per carità, mai e poi mai, eminenza delle mie rotanti sfere! Or dunque, dilettissimo presidente del consilvio, urge imbarcare sul bastimento dei propri interessi gli accattoni catto-vaticani uddiccini che in Parlamento sostengono ad esempio la crociata a favore del testamento biologico ispirato dalla morale dogmatica e spalleggiano spudoratamente il finanziamento pubblico delle scuole private (leggi madrase cattoliche) ponendosi come argine ad una salutare deriva laicista, purtroppo lungi dal travolgere siffatta marmaglia che vive “more uxorio” e aborrisce le unioni di fatto.  
Inutile chiedersi che c’entra un cardinale con la politica e il malgoverno italiota, c’entra eccome, anche perché viene in soccorso un vecchio film anticlericale di Luigi Magni “Nell'anno del Signore” allorquando regnava il papa re e una sequenza, in particolare, dove su un muro scrostato compare la scritta “abbasso il governo dei preti infami”.
Il signor camillo ruini, negli ambienti noto come il “cardinal sottile” fa venire in mente “il mal sottile” e il patologico, venefico cardinale della chiesa dei papi papponi sta alla politica e alla religione come la sifilide sta al sesso e all’amore.   

Non c’è mai limite al peggio. Le ombre del passato più lontano si allungano sui secoli successivi e li attraversano. Certe situazioni non fanno forse pensare alle grida evocate dal Manzoni?
Anche in questo continua a sopravvivere in Italia “una classe dirigente di stampo feudale, miserabile culturalmente ed eticamente” mentre il popolo “è sempre più estraneo alla vita politica” e “sospettoso dello Stato” come scriveva Michele Pepe, uno storico meridionale ingiustamente dimenticato. 
Amarissima e ancora attualissima la sua conclusione: “ se una società non riesce a darsi una classe dirigente capace e un po’ onesta e non riesce a far rispettare, e osservare essa stessa, leggi ‘savie e prudenti’ è una società morta alla Storia”.
Una società forse uccisa dalla stessa Storia che si ripete nella vana speranza di far comprendere una lezione che prima di ogni altra cosa è una lezione di vita difficile da apprendere sotto l’effetto distruttivo di un regime mediatico che perlopiù risponde a due pulsioni politiche fondamentali.
La prima, e la più ovvia, è quella di fiaccare la capacità critica delle persone, così da attuare il sogno berlusconiano di un paese dei balocchi abitato da sudditi, consumatori, clienti e abbonati alle pay tv; non certo da cittadini in grado di formarsi un’opinione che non sia quella imposta per legge dal pensiero unico, dal partito unico e dal monopolio dell’informazione. Lo stesso presidente del consilvio, con sbalorditiva sincerità pari alla faccia di bronzo che si ritrova, ha più volte spiegato “ex cathedra” che i giornalisti (sub categoria degli intellettuali) non devono muovere critiche, turbando i lettori, ma rasserenarli e allietarli dipingendo una realtà virtuale, come da spot pubblicitario della sua premiata ditta. Pena l’accusa di disfattismo!
La seconda ragione è quella di dare sfogo e apparente rimedio al patente complesso di inferiorità della piccola borghesia reazionaria (classe egemone, classe di malgoverno) nata e pasciuta nella saccente, crassa ignoranza che odia (a proposito del partito dell’amore!) gli intellettuali e i professori e vede nella cultura un rilevante discrimine sociale, tutto a suo danno. Poiché annullare quel divario (acculturandosi) richiede una buona dose di umiltà e fatica, è meglio cercare di distruggerlo, nominando la beata ignoranza a ministro della pubblica distruzione.

La televisione, specie quella commerciale e generalista (cioè rai-set), protesi del regime mediatico, ben si presta a tale scopo, è un’arma impareggiabile di distrazione di massa, uno strumento di morte che annichilisce il pensiero, abolisce i fatti e, soprattutto, uccide la cultura e la relega ad un ruolo di nicchia, come si dice con un eufemismo tecnico; anche se poi c’è sempre qualche “dirigente” che nicchia quando trattasi di promuovere programmi che potrebbero semplicemente indurre gli spettatori a pensare in proprio. Operazione pericolosissima, da evitare a tutti i costi ammannendo agli sprovveduti tele-dementi la quotidiana dose di panem et circenses: calcio, oroscopi, canzonette, veline, ricchi premi e cotillon.   
Il disegno è ormai compiuto, con la partecipe complicità di molti e nel pigro silenzio di moltissimi.
Ne restano fortunatamente fuori, a milioni, quegli italiani (anche di destra) che avvertono il puzzo di un’idiozia massificata, di un’ignoranza premiata e di una docilità al potere mai vista in una sedicente democrazia che può anche permettersi il lusso di concedersi una casta perversa di politici nati da una porcata, i quali politici grati ringraziano omaggiando i sudditi di “buoni vacanza”. Come dire “state buoni” ci pensiamo noi a rendere più vacante prima il vostro cervello e poi il vostro portafoglio.
Invece di sostenere i disoccupati con il “salario minimo garantito” o salvaguardare gli occupati rendendo più equo il fisco, tassando magari le rendite finanziarie, questi statisti per caso (turisti in libera uscita nell’ex Patria del Diritto) si inventano per legge “i buoni vacanza”. E lo fanno anche sapere sommergendo l’etere di spot propagandistici in puro stile “burlesconiano”.  Vergognatevi, cribbio!
Poi, se vi rimane tempo, e pudore, leggete qualche pagina de “Lo Spirito delle Leggi” di Montesquieu, soprattutto la parte in cui l’Autore analizza la forma di governo repubblicana, l’esprit de lois che dovrebbe animarlo, la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) che garantiscono l’effettiva sovranità popolare, espressione di una democrazia compiuta il cui Principio fondante si corrompe e diviene aberrante rispetto all’esprit general, quando una certa Nazione perde lo Spirito d’Uguaglianza e i suoi governanti più spregiudicati, resi tali dal censo, lo interpretano con l’arbitrio proprio dei dittatori.
Ma questa, è risaputo, non è più democrazia!   

Da Lo Spirito delle Leggi, di Charles Louis de Secondat barone di Montesquieu:
Le ricchezze danno una potenza di cui il cittadino non può servirsi a proprio vantaggio, perché allora non sarebbe più uguale agli altri. Producono delizie delle quali neppure deve godere, perché offenderebbe del pari l’uguaglianza.” (Libro V cap.III)  




                                             

 
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