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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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LIBERA INDIGNAZIONE E DIRITTO ALL'ESECRAZIONE

Post n°599 pubblicato il 20 Gennaio 2010 da bargalla


Non riesco più a seguire fino al termine trasmissioni televisive di approfondimento, altrettanto dicasi per i telegiornali popolati da giornalisti-zerbini, dei quotidiani leggo solo i titoli e quando c’è da approfondire qualcosa preferisco immergermi nel mare magnum di internet dove l’indignazione, la rabbia, e l’incazzatura degli altri cibernauti diventano per me una zattera di salvataggio.
E’ impossibile non avvertire il rarefarsi della Libertà divenuta "condizionata" e viziata come l’aria ambiente che ben presto risente di un qualsiasi agente inquinante provocando nausea e ribrezzo, nient’altro che fisiologica avversione nei riguardi di uno scenario politico e di una società distratta e gabbata in cui a regnare incontrastata è l’omogenesi dei fini promossa dal culto dell’egolatria più sfrenata e individualista: il trionfo dell’egoismo più bestiale e la conseguente sconfitta di quel solidarismo che pure è alla base del Bene Comune ridotto in cenere dal falò delle verità di quanti si preoccupano unicamente di se stessi, così tanto che l’individualismo sta diventando un misto di conformismo e di illibertà a detrimento di quei Principi ai quali dicono di ispirarsi personaggi tanto tracotanti e riprovevoli quanto osannati ed esaltati che in Italia vanno per la maggiore e dei quali è saggio non fare il nome.
L’opinione pubblica, la “ggente” come dicono alcuni esecrabili esegeti dell’innominato viene brandita come una spada affilata che trancia e regala la fetta più grossa della torta al dominus che spudoratamente la blandisce, la controlla e la condiziona fino al punto da rendere ambiguo e indecifrabile il rapporto della massa-gregge con la Libertà personale di ognuno e della sua, in particolare. Vale la pena rispolverare a tal proposito l’insegnamento di Theodor Adorno secondo cui la gente è stata così tanto indotta dal potere dominante a manipolare il concetto di Libertà che alla fine esso si riduce al diritto dei più forti e dei più ricchi di togliere ai più poveri e ai più deboli quello che è loro rimasto. Libertà compresa!        

Di esempi se ne potrebbero fare a bizzeffe dato che la mors tua vita mea sta modificando la stessa antropologia culturale (fertilizzata dall’ignoranza più zotica e volgare) promuovendo dei modelli comportamentali tipici del mondo animale al quale peraltro appartiene il cosiddetto homo sapiens fra i quali non è raro trovare qualche borioso esemplare geneticamente modificato dalla legge del più forte, incline a mantenere il presunto ruolo dominante, almeno fino a quando un altro non gli subentra nel ruolo di capo branco applicando l’unica legge che conosce: la legge della giungla.
A voler seguire il filo dovrei saltare di palo in frasca e precipitare indietro nel tempo in cui re, papi e monarchi regnavano incontrastati e lo faccio con il consapevole disincanto di chi osserva l’italico zoo muoversi di concerto seguendo il pifferaio magico a due passi da un baratro che s’apre inghiottendo baracca e burattini con la partecipe complicità di chi assiste rassegnato al ritorno di un modo a dir poco medievale di intendere l’esercizio del potere con la presunzione di non dover rispondere a nessuno delle proprie malefatte. E se proprio processo debba esserci che sia possibilmente “breve” così breve da farlo cadere in prescrizione opponendo magari una semper  il legittimo impedimento ad essere portato sul banco degli imputati in forza di un privilegio che, come da etimo, manca di ogni sostegno, di ogni Lex, ponendo il despota di turno al di fuori della legge e non certo al di sopra della legge così come vorrebbe qualche autocratico primus super pares.

Dinanzi alla presunzione di chi reclama a gran voce la facoltà di fare e disfare pro domo sua e in subordine l’impunità garantita con legge ad personam confidando nel ferale silenzio della cosiddetta società civile ottenebrata da lunga esposizione mediatica, non resta che prendere coscienza di uno “stato di cose” (e non più di persone fisiche o di cittadini) in cui la Res Publica è diventata “res privata” oggetto e possedimento di un contendere patologicamente legato alla diffusione di un morbo che inibisce la facoltà di giudizio impedendo ai sudditi “contagiati” di prendere adeguata contezza delle malefatte del malgoverno, dei criminali intrallazzi di una malapolitica sempre più espressione di poteri forti, ridotta all’infimo rango di un’associazione a delinquere in cui chi non sottostà ai diktat del monarca viene passato per le armi da plotoni di esecuzione mediatici ai quali tocca annullare quel dissenso che pure è il sale della democrazia dipingendo una realtà che esiste solo nella propaganda del padrone del vapore.
Forse non resta che rifugiarsi nel più accomodante e sterile dei qualunquismi mandando un giorno si e l’altro pure un cordiale vaffanculo ad una classe dirigente divenuta apparato digerente e parassitario dell’organismo-Stato, specie in un periodo in cui diventa insopportabile assistere senza angosciarsi alla degenerante trasformazione dell’ex belpaese in bordello, suburra e sultanato.

Siamo un Paese in balia delle “incontinenze” di un padrone, solo così si spiegano il degrado istituzionale,  la permanente decretazione d’urgenza ponzata nei vari gabinetti istituzionali e i sermoni minzo-mingenti servile encomio che quotidianamente si riversano sul popolo bue già gravato dall’inutile consapevolezza di essere all’occorrenza carne da voto e da macello squartata a piacimento da carnefici senza scrupoli che hanno anche l’ardire di definirsi “liberali e democratici”. Termini privi della loro essenza, giacché la loro assenza in tale contesto, alla prova dei fatti, rimanda al loro esatto contrario così che è più opportuno scrivere e dire che trattasi di illiberali e ignoranti, ai quali in primo luogo difetta il senso dello Stato poiché alla comprovata deriva antidemocratica si associa quella anticulturale, effetto più grave e deleterio del ventennio “burlesconiano”, di un losco figuro cioè che si è fatto burla di un’intera Nazione manifestando un plebeismo populista che ha fatto breccia proprio sugli istinti più ignobili e spregevoli dell’italiota medio il quale si è scoperto anche razzista e menefreghista così come vuole il presidente del consilvio e i suoi scherani, degni epigoni di quel mussolini che promulgò le leggi razziali e diede al “me ne frego” il senso di un’arroganza dinanzi alla quale bisogna soltanto tirare lo sciacquone. 

In un contesto simile è difficile far finta di niente anche perché la cronaca spicciola è lì a ricordarci che viviamo in un Paese malgovernato da corrotti, corruttori e da chiacchierati affiliati dell’onorata società,  
in cui l’Informazione è condizionata dal potente di turno, la Giustizia è considerata un intralcio da ridurre all’impotenza, il Lavoro meritevole di essere cancellato dall’art.1 della Costituzione (così come si licenziano e si cancellano gli operai e i dipendenti non più in grado di produrre plus valore) e la Pubblica Istruzione è vista solo come un’improduttiva voce di spesa che sforna disoccupati.
Si esternalizza il lavoro, si chiudono e si delocalizzano le fabbriche, si tagliano perciò i fondi alla Ricerca, alle scuole pubbliche e si finanziano quelle private, così da premiare i furbi e gli orbi clerico-fascisti; si licenziano i prof precari e si aumenta lo stipendio soltanto ai cosiddetti “insegnanti” di religione cattolica.
A proposito di tagli, suona a dir poco congruente nel suo ironico paradosso, la notiziola, passata sotto silenzio, del diniego opposto per ragioni di bilancio ad un prof di Lettere piemontese che voleva far leggere ai suoi alunni un classico della nostra letteratura, Il visconte dimezzato di Italo Calvino.  
Mai “taglio” fu più dettato dalla trama di una storia in cui il cattivo suscita anche pietà e il buono è di un’ipocrisia non meno nociva della malvagità. 
La richiesta del prof oltrepassava il tetto di spesa prevista per ogni singolo alunno, niente classico di Calvino per quanto breve. Con i tagli previsti dalla gelmini in certe scuole i genitori degli alunni sono costretti a comprare perfino la carta igienica e quella per le fotocopie.


Non volerne più sapere di questo “stato di cose” e desiderare qualcosa che non sia l’aberrante leviatano cucinato in salsa berlusconiana di hobbesiana memoria è la fisiologica conseguenza indotta da certi comportamenti adottati da squallidi personaggi assunti nell’empireo del potere la cui sola tracimante presenza non può non suscitare una naturale avversione. A scanso di equivoci intrisi di ideologico furore, la si chiami pure antipatia costituzionalmente suscitata dalla presenza di “recettori d’ansia” la cui attivazione provoca dissenso, rifiuto e repulsione (quando non proprio di odio, caro il mio silvio) nei riguardi di situazioni e persone considerate a dir poco “ansiogene”. Da qui la necessità di cambiare tono e registro preferendo magari l’alibi e il ritornello del “non volerne più sapere”, al dissonante, cacofonico peana del “tutto va bene, madama la marchesa” avendo ben presente che bisognerebbe davvero coartare la propria coscienza per fingere di essere in armonia con un paesaggio sociale popolato di magnaccia e puttane, di coreuti e di prefiche, di mantenute e di manutengoli, di clienti e di sudditi.
Prendiamo quello che di buono passa il convento, ovvero niente, sebbene il disagio di cantare fuori dal coro e la prospettiva di morire d’inedia non spegne la fame di Libertà, Verità e Giustizia, ma forse cancella del tutto il sogno e l’utopia di un'Italia migliore. 

 
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