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HA SENSO PARLARE ANCORA DI SCUOLA PUBBLICA E NON CONFESSIONALE?

Post n°602 pubblicato il 08 Febbraio 2010 da bargalla

    



Fosse per me, l’avrei già abolita da un pezzo; almeno fin da quando l’età della Ragione mi ha permesso di considerare la pratica e l’insegnamento della religione (di ogni religione!) un mezzo col quale re-legare l’essere umano ad una condizione d’inconsapevole coercizione con tutto ciò che comporta la tacita sottomissione ad una qualsiasi fede religiosa che, col falso scopo di promuovere il culto del trascendentale, non fa altro che profanare l’uomo confinandolo al ruolo di minus habens, bisognevole di un tutore, di un prete, di una fideistica impostura che ne condizioni l’agire e ne guidi i passi imponendo la cavezza ad una condizione resa ancor più asinina dalla morale dogmatica e dalla cieca osservanza di norme e precetti che i presunti depositari della verità rivelata hanno codificato come assoluti.
La religione è cosa tipicamente umana, la stessa teologia sfrutta l’intimo bisogno di Dio insito nel cuore di ogni uomo (anche del più ateo) e “vende” il proprio dio come se fosse un prodotto di consumo, ecco quindi le campagne pubblicitarie indette dai vari creativi clericali di ogni credo e latitudine per propagandare e monetizzare l’esclusiva di un marchio usato per incrementare i propri interessi, lucrare sul depositum fidei e propugnare, finanche con la violenza, veri e propri scontri di civiltà.

Non mi si venga a parlare di Dio e a confonderlo impropriamente con la religione, che è cosa creata dall’uomo per infinocchiare il prossimo e glorificare se stessi nel nome di un dio divenuto feticcio.
Tanto per dire, si rivendicano le proprie radici cristiane, quando poi è dal frutto che si riconosce l’albero; si difende a parole la presenza del crocifisso negli edifici pubblici e contemporaneamente si inchiodano su quella stessa croce i derelitti, i negri (come vengono chiamati dal giornale di proprietà del presidente del consilvio) e coloro i quali non avranno mai giustizia, perché la Legge non è uguale per tutti; con buona pace di quel Crocefisso che pure campeggia (come oggetto di arredamento) nelle aule dei Tribunali.  Considero più coerente con i suoi principi un miscredente che rispetta Madre Natura vedendo in lei l’impronta del divino, piuttosto di un puritano ipocrita e baciapile, tutto casa, casini, affari, politica e chiesa che violenta la natura, sfrutta i suoi simili e oltraggia quel Dio che a parole dice di adorare.
La religione appartiene alla sfera del privato, chi vuole professarla e approfondirla è libero di farlo nei tempi e nei luoghi deputati; trovo quindi estremamente scorretto e controproducente per l’esistenza stessa di un qualsivoglia Stato, laico e democratico, farne materia di insegnamento trasformando le aule delle scuole pubbliche in tante succursali dell’intolleranza (perché trattasi di questo) verso chi professa una religione diversa da quella insegnata o, più semplicemente, nei riguardi di chi vorrebbe non avvalersi dell’insegnamento della religione senza sentirsi discriminato dal resto della classe (quando si dice la dittatura della maggioranza!) e ingiustamente penalizzato in sede di valutazione.

La polemica relativa all’insegnamento dell’ora di religione è vecchia come il concordato, un vero e proprio contratto capestro sottoscritto dallo Stato a favore di una setta i cui corposi interessi vanno ben oltre l’insegnamento confessionale e di ciò (del derivante e congruo quantum intendo) bisogna ringraziare il migliore dei peggiori (tale togliatti palmiro) e quel craxi bettino (altro uomo della sua provvidenza) che a distanza di anni aggiornò il pattizio leonino sottoscrivendo condizioni ancor più vessatorie per lo Stato.   Rifuggo da tali lenoni del corpo e dell’anima i quali riescono a dare un prezzo e una quotazione finanche alla divinità cannibalizzata dai mercanti dello spirito, per questo trovo oltremodo oltraggioso (per lo Stato) lo scempio costituzionale compiuto dai suoi rappresentanti i quali continuano imperterriti a omaggiare una setta che saprà come sdebitarsi inducendo i gerarchi catto-vaticani a schierarsi proprio con chi dimostra di essere abbastanza munifico con lormonsignori.
Si prenda l’ultima prebenda, in ordine di tempo, elargita ai catechisti della setta catto-vaticana travestiti da “professori” i quali si son visti aumentare lo stipendio a fronte di un impegno “intellettuale” che lascia a dir poco perplessi per le modalità sottese alla nomina decisa motu proprio dall’autorità ecclesiastica, ma ben rimunerata da quella civile che in questa, come in altre occasioni, è ben lieta di abdicare alle sue funzioni facendosi perfino dettare l’agenda politica.    
Il ministero (o sarebbe forse meglio scrivere il mistero?) dell’economia guidato da quel tremonti al quale si deve il calcolo truffaldino dell’otto per mille
ha concesso solo e soltanto agli insegnanti di religione il diritto (sic) a vedere calcolati gli scatti salariali (2,5% ogni due anni) non sullo stipendio base, ma sulla voce stipendiale stabilita dal contratto nazionale del 2003, che ha unito allo stipendio base l’indennità integrativa speciale. Il che non è un dettaglio da poco, sembra uno di quei codicilli messi lì apposta per favorire qualcuno, nella fattispecie proprio chi concorre a spacciare l’oppio dei popoli.

A partire dalla busta paga di maggio, gli insegnanti di religione cattolica, sia precari che di ruolo, avranno un aumento mensile di stipendio, con annessi arretrati a partire dal 1.mo gennaio 2003.
Agli insegnanti di altre materie, invece, non spetterà nulla: quelli di ruolo non godono infatti degli scatti biennali di anzianità riconosciuti ai colleghi di religione, mentre i precari godono (si fa per dire) solo dello stipendio base e soltanto al momento dell’ingresso in ruolo avviene la ricostruzione retroattiva di scatti e quindi aumenti.
Una discriminazione bell’è buona che affonda le sue radici in una legge del 1980 che limita gli scatti biennali salariali, in precedenza spettanti a tutti gli insegnanti precari, ai soli insegnanti di religione.
Una modifica per così dire perequativa, se si pensa che fino al 2003 gli insegnanti di religione non passavano (giustamente) mai di ruolo ma che, dopo il corso-concorso voluto dal malgoverno berlusconi e dall’allora ministro della Pubblica Istruzione, tale letizia moratti (ne immisero in ruolo circa il 70%), non ha più ragion d’essere costituendo altresì una disparità di trattamento, aggravata dalla recente decisione del dicastero guidato dall’erremosciante ministro dei tagli indiscriminati che, per l’appunto, toglie ai poveri, ai precari, per dare ai ricchi divenuti “professori” per grazia episcopale.

La decisione governativa di regalare agli insegnanti di religione un ‘tesoretto’ tramite aumenti biennali rappresenta  l’ultimo affronto alla laicità della scuola, nonché alla più elementare giustizia salariale.
Il mondo della scuola è stato naturalmente scosso da tale sperequazione, non così la cosiddetta informazione distratta da ben altre emergenze mediatiche inerenti lo scorretto stravolgimento di una realtà vista con i paraocchi del padrone, sempre ben disposto ad esibirsi nel bacio della pantofola con la consapevolezza di chi sa di avere dietro di sé una mandria di servili leccaculo.
L’amarezza espressa dal mondo della scuola è acuita dal fatto che il regime di disparità nel trattamento economico tra i docenti di religione e quelli delle altre discipline sembrava aver subito un duro colpo nel 2008, quando una sentenza del Tribunale di Roma aveva condannato il Ministero della Pubblica Istruzione
a risarcire una docente a causa della differenza ingiustificata tra il trattamento economico riconosciutole negli anni di precariato rispetto a quello dei suoi colleghi di religione.

E lo status privilegiato degli insegnanti di religione non si limita al semplice trattamento economico.
Ai docenti di religione precari viene riservato lo stesso trattamento concesso agli insegnanti di ruolo su questioni come i permessi ed i giorni di malattia. Inoltre, gli insegnanti di religione assumono servizio il 1.mo settembre e terminano il 31 agosto dell'anno successivo. Hanno quindi le ferie estive pagate, al contrario della maggior parte degli altri docenti precari, il cui contratto scade il 30 giugno.
Essendo poi l'insegnamento della religione cattolica facoltativo, il numero dei docenti chiamati ad impartirlo è legato alle richieste degli studenti che decidono di avvalersi o meno di tale insegnamento.
Ma per prevedere la presenza di un insegnante di religione può bastare anche un solo alunno per classe, così l’organico dei docenti di religione negli ultimi anni è rimasto sostanzialmente stabile.
Per gli altri insegnanti, invece, sono stati anni di tagli continui. E quelli rimasti in cattedra hanno visto progressivamente aumentare il rapporto insegnanti-alunni.

Altro fatto rilevante: dal 1999 tutti coloro che intendevano ottenere l’abilitazione all’insegnamento e accedere così alle graduatorie permanenti a scorrimento per l’inserimento in ruolo hanno dovuto frequentare una scuola di specializzazione post-laurea
a numero chiuso. Per gli oltre 15000 professori di religione (che allo Stato costano quasi 500 milioni di euro all'anno) tale specializzazione non è stata prevista. Inoltre, una volta in ruolo, se all’insegnante di religione viene revocata dalla curia l’idoneità all’insegnamento, non può essere licenziato dallo Stato (in quanto assunto a tempo indeterminato). Se in possesso di un’altra abilitazione, il “catechista” col diploma di magistero in scienze religiose, viene quindi destinato all’insegnamento di un’altra materia, scavalcando anche eventuali docenti in possesso di maggiori titoli per quella stessa cattedra.

In questi giorni di “supposte” riforme introdotte (per via rettale) nell’organismo scuola, non faccio altro che rileggere quanto scriveva sulla e “per la scuola” Piero Calamandrei, un insigne giurista e letterato.
Trovo molto attuali i suoi interventi pronunciati in difesa dell’istituzione “Scuola” considerata “un organo vitale della democrazia” diversamente da quanto pensano certi sciagurati ministri, antidemocratici per partito preso, che stanno riducendo ad una condizione comatosa non solo la Scuola, ma l’organismo Stato nel suo complesso. Gli interessi in gioco sono di mera natura economica, l’Istruzione come diritto allo studio, non interessa un fico secco a sedicenti ministri elevati a tale rango in funzione della propria servile ignoranza messa al servizio di elementi disgregatori e destabilizzanti dell’unità nazionale: la creazione di una scuola di elite è la dimostrazione di un teorema, anche di natura ideologica e confessionale, che mira a scardinare i Principi Fondamentali garantiti da una Costituzione rimasta lettera morta.
Si leggano a tal proposito gli articoli 3 e 33 e si valuti pure se hanno mai trovato pratica applicazione ben sapendo che nell’attuale contesto socio-politico tutto concorre a demolire ogni parvenza di democrazia compiuta peraltro ben camuffata da un consenso estorto con l’inganno e da una maggioranza che sfrutta oscenamente “la pecorile dabbenaggine delle masse”. 
“Il disfacimento morale della scuola” segue di pari passo quello dello Stato.
La Res Publica è ormai diventata res privata, ovvero cosa loro, nel senso mafioso del termine, e anche la scuola viene fatalmente spinta in tale regressione culturale poiché a dettar legge è il privilegio illiberale dei fuorilegge; neanche la scuola purtroppo sfugge a questo assioma e magari arriverà davvero il giorno in cui la scuola privata sarà una scuola di privilegiati paradossalmente finanziata dallo Stato che sottrae preziose risorse alla Pubblica Istruzione. Perché ormai è di questo che si tratta!
E chi meglio di certi cattivi maestri ammantati di clericale ipocrisia può dar corpo a questa involuzione culturale? Fanno passare per riforme epocali quelle che hanno tutta l’aria di essere delle prove tecniche di macelleria sociale: si comincia dalla scuola per passare poi alla sanità e magari alla distruzione di quel poco di welfare che ancora resiste sotto i colpi della demagogia e dell’assistenzialismo clientelare. 


 
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