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SPETTATORI CONSAPEVOLI E DISTRATTI

Post n°624 pubblicato il 11 Ottobre 2010 da bargalla

    


Macchina del fango e cloaca maxima
: sono queste le immagini  che meglio rappresentano, nostro malgrado, l'Italia al tempo di silvio; gli effetti deleteri della prima risaltano subito agli occhi degli astanti più sprovveduti e creduloni, adusi a fermarsi alle apparenze artatamente sollecitate dal killeraggio mediatico ordito e attuato dai servi del dominus ex machina; mentre quelli della seconda, seppure esalanti mefitici afrori, lasciano appena intravedere l'origine di un inquinamento istituzionale fatto di sistematiche menzogne, di articolate corruttele e ruberie che solo il tempo depurerà dalle scorie di un potere autoreferenziale  che come acqua di sentina ogni giorno deborda dai miasmatici palazzi del potere.
In tale contesto il character assassination degli avversari del potente di turno è uno dei prodotti del degrado politico, opportunamente usato diventa un'arma letale a disposizione di squallidi pennivendoli che su commissione pescano nel torbido per ammorbare ulteriormente un lupanare in cui oltre al meretricio dei corpi e delle coscienze, si manipola la realtà, si cancellano i fatti, si macchia indelebilmente la reputazione di un personaggio pubblico inviso al tenutario del bordello; si compie cioè un vero e proprio "assassinio mediatico" i cui mandanti ed esecutori ricorrono all'unico mezzo di cui dispongono: la disinformazione amplificata dai megafoni della voce del padrone.
Ormai le vittime di questo gioco al massacro non si contano più, costituiscono l'indice più evidente di un sistema infame che ricorre a tutto pur di sopravvivere violando i principi basilari della civile convivenza.

La prova che il Palazzo comincia a scricchiolare non è fornita solo dalla conflittualità istituzionale o dal cortocircuito costituzionale ma, soprattutto dal malaffare connaturato all'uso spregiudicato del potere esercitato in funzione d'inconfessabili interessi e a quello che si scrive (o non si scrive) sui giornali dell'editore (e del partito) di riferimento con la diffusione di dossier più o meno falsi e compromettenti.

La spia del malessere democratico lampeggia quando il sistema ricorre alla sublimazione del veleno cartaceo non come strumento di informazione, ma di lotta politica; una sorta di mitridatizzazione che sta lentamente uccidendo il senso critico di un'opinione pubblica schiacciata dal pensiero unico.
Già nella Roma imperiale e papalina più che il pugnale poté l'arsenico. Oggi quelli che erano gli intrugli letali del passato, si chiamano dossier, allusioni, rumors, messaggi in codice sparati in prima pagina su giornali che, per l'occasione, si trasformano in fucili con il colpo in canna.
Il bello, anzi il brutto (il buono manca del tutto) di questa intossicazione generale, è che i signori del veleno, cioè i mandanti e i burattini del tutti contro tutti, muovano i fili e spostino le pedine rivelando una verginità d'intenti lungi dall'esser tale in un mondo in cui solo i magnaccia e le puttane hanno diritto di residenza. Il che, in verità, è agevolato dalla legge universale della lotta politica, nella quale gli altri sono gli avversari, mentre i colleghi di coalizione sono i veri nemici. Se poi a questo mosaico, degno di una suburra, si aggiungono i tasselli di un mondo finanziario e imprenditoriale corrivo, forte e debole nello stesso tempo, e soprattutto smanioso di protezioni, incentivi, e benedizioni da parte degli inquilini del Palazzo, allora il quadro si fa più chiaro di quanto certi prezzolati "critici d'arte" vorrebbero far credere.

L'unica cosa da fare è resistere, rinforzare gli argini della legalità e aspettare l'ondata di piena che inevitabilmente si abbatterà su di un Paese dove allignano lo scoraggiamento, la rassegnazione del tanto peggio tanto meglio e l'assuefazione al fetore prodotto dall'ammorbante corruzione dei potenti.

Una situazione chiaramente patologica dove il rimedio proposto dai cerusici di corte è peggiore del male imposto dai legulei del cavillo che tritta e galippa indisturbato fra i commi della legge del più forte. Servirebbe la mossa del cavallo per scrollarsi di dosso il peso di uno squallido ronzinante che fra una putinata e l'altra trova anche il modo di schierare i suoi predoni-pedoni su di una scacchiera in cui le regole del gioco sono saltate proprio al fine di evitare che un eventuale vincitore possa dare scacco matto al re.
Una reazione che si fa più pressante all'aggrumarsi di eventi, anche tragici, che possiamo cogliere nella selva delle relazioni personali fra storie di ordinaria violenza che lacerano e rammendano alla peggior maniera il tessuto sociale; così come negli eventi di pubblica rilevanza segnati dalla conclamata ipocrisia degli agenti infettanti che si dotano di scudi, di prerogative immunitarie, e di leggi ad personam  e s'inventano, tanto per restare nella più stretta attualità, riforme inzuppate nel privilegio di casta e improbabili missioni di pace pensate per fare la guerra, lucrare sull'economia bellica, esportare armi e, colmo dei colmi, libertà e democrazia (come se ne avessero abbastanza!). E pazienza se poi qualche sottoposto in divisa crepa in terra straniera, tanto i morti sono carne da macello, figli di un'Italia minore che ogni giorno muore con estremo sollazzo di un nord secessionista e saprofita che irride l'unità nazionale e i suoi simboli.

Un ministro guerrafondaio e luciferino del malgoverno berlusconi ha dichiarato che "chi chiede il ritiro delle truppe fa sciacallaggio" dimenticando che gli sciacalli veri sono quelli come lui che sfruttano quei cadaveri per assecondare un'idea di libertà che nel loro cervello è tale solo perché nega quella degli altri.
E non mi si parli di lotta al terrorismo giacché le ingiustizie perpetrate dai potenti di ogni latitudine hanno poi fatto fermentare il fanatismo di religioni divenute inumane ideologie liberticide al servizio di politici, pazzi, fanatici che, a loro volta, uccidono se stessi e quanti si oppongono al proselitismo di ogni assoluto.
"L'idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo politico" disse Robespierre, "è quella di credere che sia sufficiente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati; il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli come nemici". E ancora: "Voler dare la libertà ad altre Nazioni prima di averla conquistata noi stessi, significa garantire insieme la servitù nostra e quella del mondo intero."

Lo so, è troppo per lorsignori sentir parlare di malgoverni (e di Stati) che mascherano, a proposito di ipocrisia, con altisonanti dichiarazioni di principio i veri motivi, spesso cinici e inconfessabili, che stanno alla base di ogni guerra, anche di quella che si combatte nei cortili di casa nostra con le armi della distrazione di massa da parte di un regime che spesso abusa del potere per violentare la democrazia.

Se al posto di uno Stato ci mettiamo un partito, una fazione, una setta, che con un'emblematica torsione morale, culturale e politica, si arroga il diritto di perseguire, costi quel che costi, un progetto di egemonia fregiandosi contemporaneamente del titolo di paladino della libertà, allora vuol dire che siamo capitati per caso in Italia dove la propagandata libertà è un vuoto simulacro che inganna gli animi e le menti.    
La banalità del male ha fatto il resto: tutti colpevoli, tutti innocenti. 
Non è più questione di etica pubblica o di morale comportamentale, giacché i vizi privati diventano seduta stante pubbliche virtù e non è il caso di andare a discettare sul confine tracciato non dal codice, ma dal rispetto irrinunciabile di elementari criteri di poteri e doveri, di diritti e di obblighi derivanti dall'instaurarsi di rapporti intersoggettivi fra eguali.
Chi prescinde da questo si comporta come colui che oggi in Italia detta legge.
Il malaffare è pane quotidiano, la propaganda di regime e la disinformazione ne sono il companatico.
I Magistrati, sfibrati dall'ormai ventennale, micidiale campagna di stampa foraggiata dal partito degli inquisiti (che è anche il partito dei corrotti e dei potenti), paiono travet depressi e demoralizzati, come gli insegnati e gli operai, i quali a volte sembrano elemosinare solidarietà e protezione non agli organi (deviati) dello Stato, ma ai cittadini onesti, agli studenti e ai gionalisti con la schiena dritta.
E si continua a galleggiare come se nulla fosse sui privilegi e sugli scandali, come in un mare di merda, stando ben attenti a non incagliarsi fra i cumuli di letame che affiorano dai bassifondi della politica. 


Inutile citare Pasolini e la sua mutazione antropologica, il Palazzo però rende bene l'idea della fogna e da esso tutto sgorga fuori come acqua reflua, però al normale tanfo dell'eterna quotidianità del potere, oggi  si mischia la pretesa di imputati che ricusano i giudici non per legittima suspicione (come si diceva un tempo) ma perché "nessuno mi può giudicare" nemmeno il Padreterno.
Un implicito riconoscimento di colpevolezza che l'arroganza esibita rende ancor più meritevole di almeno un tiro di sciacquone così potente da risucchiare nuovamente nella fogna gli scarti dell'onorata società.  
Sembra che un oscuro sortilegio, una paralisi dei sensi e delle emozioni mediaticamente indotte, subito dopo il primo accadimento che funziona come un vaccino, ci attanagli, lasciandoci muti e indifferenti, anche quando eventi di ogni tipo e grado minano le basi della convivenza e del reciproco rispetto, gettando un'ombra lunga di incertezza e di precarietà sul futuro di ognuno.
Eppure la crisi, non solo d'ideali, che stiamo vivendo dovrebbe contribuire a rompere l'incantesimo mediatico, a incrinare l'immobilismo morale, mettendo ognuno di noi, pedine più o meno inconsapevoli di un gioco più grande di noi, davanti alla cruda realtà di ogni giorno.
Glia anatemi sembrano esorcismi d'occasione, le proteste sono sterili esibizioni di un malcontento fine a se stesso, le invettive si sprecano, qualche esagitato prova a ribaltare la forza della ragione con la ragione della forza. Scende quindi come un pesante sipario, la rassegnazione a chiudere gli occhi di chi si accontenta o finge di non vedere la desolazione di un panorama in cui, ad esempio, anche la scuola, intesa come palestra di vita e fucina del sapere, deve pagar dazio alla volontà sopraffattrice di uno Stato che ha abdicato alla sua funzione primaria per colpa di una classe dirigente ignorante, mediocre e affarista inspiegabilmente insediatasi proprio coartando la volontà di quel popolo di cui si bea nel continuare a penalizzare tutto ciò che richiama il Bene Comune e l'interesse generale.

Ho accennato alla scuola perché tutto nasce da lì (anche l'ignoranza dei presunti potenti) ma potrei fare decine di esempi parlando magari di sanità alla vigilia di un federalismo fiscale che fra costi standard, aumento della tassazione locale e taglio delle risorse penalizzerà soprattutto il Meridione offrendo differenziali di trattamento nella fruizione di servizi essenziali in favore delle Regioni italiane (o dovrei forse dire padane?) tradizionalmente più ricche (con sommo gaudio del dio popò).    
Sarebbe logico aspettarsi dopo tanta rabbia repressa, una fisiologica reazione, una dose massiccia di sana indignazione, il "sentimento di sdegno e risentimento" recita il De Mauro "provocato da ciò che si considera riprovevole, immorale e sconveniente."
Invece non c'è niente di tutto questo, nemmeno l'accenno di un timido e corale signornò, quasi si avesse contezza di essere solo dei meri depositari di una vuota sovranità e dell'inutilità di qualsiasi protesta spenta sul nascere da un masochismo rinunciatario che ha l'amaro sapore della resa incondizionata.
In luogo dell'impegno sociale, degli ideali e dei sentimenti forti, sanguigni e nobili, ci sono le pulsioni deboli e volgari alimentate dai sottopancia della politica, il qualunquismo, la rassegnazione, il complice laissez faire, in un misto di consolatorio abbandono alla fatalità e di colpevole impaludamento nell'attesa di qualcosa o qualcuno che restituisca almeno un po' di speranza a un Popolo avvilito e disilluso.
Forse rimane il tempo per un moto di orgoglio democraticamente manifestato per rivendicare semplicemente il nulla garantito dal minimo sindacale inflazionato dall'interesse padronale con annesse giaculatorie recitate alla memoria della Res Publica, e restituire poi la scena all'indifferenza dei vinti e all'arroganza dei vincitori.  

P.S. A Milano un tassista investe e uccide un cane. Lo picchiano e finisce in
      coma. Vale più la vita di un uomo o quella di un cane?


 


 

 
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