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Post n°125 pubblicato il 22 Febbraio 2008 da archeowall
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FIORDO, TINGVOLL, NORD DELLA NORVEGIA
non c'è sabbia sotto i nostri piedi camminiamo su pietre lucide di mare un silenzio primordiale rotto dal fruscio delle foglie mosse dal vento, mentre il sole gioca tra le nuvole. L'acqua gelida non fa paura e così il piccolo di famiglia poco a poco si tuffa. Era una giornata di maggio stupenda, quella, 12 gradi di temperatura ... quasi calda per queste latitudini! |
Ve la ricordate la pubblicità dell'Olio Sasso, quella della "pancia non c'è più e la pancia non c'è più"? Mi piaceva un mondo quando ero bambina, soprattutto quel delicato sottofondo musicale. Molti anni più tardi ho scoperto che si trattava di un pezzo di Edvard Grieg, negli spartiti tradotto come "Risveglio" o "Mattino". In realtà la musica non preludeva certo al risveglio nostro, così come suggeriva la pubblicità, ma a quello della natura. Grieg non ha avuto una grande attività di compositore ed i suoi sono soprattutto brani per pianoforte, eccetto alcune opere per orchestra tra cui la più nota è senz'altro Peer Gynt. A proposito di Norvegia, quest'anno si festeggiano i 100 anni dalla morte di Grieg e sono numerose le iniziative per ricordarlo, soprattutto a Bergen sua città natale dove è possibile visitare la sua casa-museo. Su questo link troverete tutte le iniziative collaterali, anche quelle italiane. |
quella vecchia canzone di Battisti è riapparsa nel mio j-box mentale e da oggi la canticchio sottovoce. Ci risiamo, altro giro altra carrozza. Per la precisione altro giro, altro volo! La Norvegia chiama ancora e così gambe in spalla, volente o nolente! Valigie pronte? Nooooooo, non è pronta neppure la testa. Forse una bella pasticchina mi rimetterà in careggiata. Almeno così mi ha detto il medico stamani, una mezza compressa per vedere il mondo in pink. A dir il vero sono una estrema sostenitrice dell'Omeopatia, che su di me ed i miei crucci ha sempre avuto benefico effetto, ma il medico non è dello stesso parere e così dopo l'ennesima discussione me ne esco con la prescrizione in mano. Non corro però in farmacia. A parte questo, tra pochi giorni volerò ancora. Sarà un bel viaggio lungo, con cambio ad Oslo. Arrivo previsto a destinazione aereoporto K. ore 21. Una bella e comoda auto (si spera) prenotata a noleggio (on line ovviamente!) e via, un'altra bella oretta e mezzo di cammino attraverso ponti sospesi sui fiordi spemeggianti ed alte montagne rivestite di neve, lassù sino alla piccola cittadina affacciata su un fiordo dell'Atlantico.
Per fortuna la stagione del sole alto ci darà il benvenuto (sempre che non piova, si intende) lassù al Nord e magari, insieme alle mie vecchie amate pietre, illuminerà anche i miei pensieri. Avete qualche curiosità a proposito di Norvegia? ecco un sito in italiano: http://www.visitnorway.com/mwtemplates/VNFaceLiftFrontPage.aspx?id=178338 |
Il Parlamento europeo ha votato sulla proprieta' intellettuale Il 25 aprile è stata approvata in prima lettura dal Parlamento europeo (374 a favore, 278 contro), la Proposta di Direttiva IPRED2, sulle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Per molti aspetti presenta novità preoccupanti, ad esempio per quanto concerne le attività investigative dei detentori dei diritti/parti lese. Fonte: Altroconsumo |
Giuro che ce la sto mettendo tutta, che non ho fatto altro che provare a pensare positivo, che a vedere sempre rosa anche dove il buio è più buio. Ho addirittura pitturato di un rosa tenue la nostra unica camera da letto, ci ho appicciato pure gli animaletti fosforescenti (per il piccolo che dorme con me), ma ora mi sono veramente stancata. Non si può continuare ad andare avanti sperando che cambierà, ma quando cambierà e poi cambierà davvero? Troppo tempo è passato e neanche l'ombra di un cambiamento positivo. E' pur vero che la felicità è una condizione interiore, mentale e in fondo nonostante tutto mi sento felice, ma la realtà mi comincia a stare un pò stretta. Inutile nascondersi. In fondo il blog è un diario... o no? Alla base del mio malumore, sempre la mancanza di lavoro che grava poi su tutta la routine familiare. Riguardo al mio lavoro ci ho dato su, dopo che la ditta non mi ha neppure pagato il congedo familiare e per un pelo ho fruito della maternità! Qualche offerta di collaborazione per pubblicazioni che andranno ad arricchire i curatori e basta ed io come una cretina ho pure abboccato....., si perchè a stare senza far niente mi soffre il cervello e allora devo comunque scrivere qualcosa di quello che mi interessa. E poi hai sempre quella stolta speranza che da cosa nasce cosa.... COSA? Si,qualche bel libretto di cui mi daranno forse qualche copia... Chissà, posso sempre provare a barattare la spesa quotidiana con qulche pagina scritta da me, che ne dite, funzionerà? Ho messo da parte le velleità culturali e ho girato tutte le agenzie interinali, ho fatto domande su domande all'ufficio lavoro della Provincia... ZERO ASSOLUTO! L'ultima beffa mi arriva da poco: chiedo lavoro come lavapiatti, devo lavorare stop. Problema: ho studiato troppo e non ho molte esperienze di lavoro pratico certificate... . Si, rispondo io, ma ho pur fatto l'aiuto cucina in gioventù e in casa i piatti me li lavo tutti i giorni.... Niet! ........... Dico mi state prendendo per il C--O? Questo solo un problema, ma in fondo sono fortunata perchè tra alti e bassi sono sempre gli alti che vincono nella vita quotidiana, in barba a tutti i problemi e al male di vivere. Però, scusate, adesso ne piene davvero le balle! me ne andrei sulla cima di un monte a meditare tra il vento ed il silenzio.
Per fortuna ci siete voi e, magari in incognito, state tranquilli che una capatina ce la faccio nei vostri blog. Ecco un'occasione per salutarvi tutti e augurarvi una buona giornata! |
Post n°111 pubblicato il 12 Aprile 2007 da archeowall
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.. e così, mentre cercavo banali notizie su una riunione ho scoperto per caso che se ne è andato: Riccardo Francovich, profesor de Arqueología Medieval de la Universidad de Siena, ha sido hallado muerto está mañana Fuente: nostalgiatoscana.it. Una morte assurda, come quella di Giacomo di soli due giorni fa! Non ho parole, perchè è così facile morire, perchè la morte non ti avvisa seppure ancora tante sono le cose che tu avresti da dire e da insegnare. A volte la morte ti aspetta proprio, non viene a cercarti. Si mette lì, seduta in un cantone e ti sorprende improvvisa mentre arrivi tranquillo camminando tra i tuoi pensieri. E così è forse successo a Francovich, lungo il sentiero di Montececeri ... Un saluto Professore, un saluto dovunque lei si trovi..... forse sorvolando la meravigliosa Val di Cornia! |
E' una poesia che mi ha letto la prof di Italiano in terza media. Non sono mai riuscita a dimenticarne il significato. C' è un paio di scarpette rosse, numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica "Schulze Monaco"; c'è un paio di scarpette rosse in cima ad un mucchio di scarpette infantili a Buchenwald, un paio di scarpette rosse per la domenica. Erano di un bambino di tre anni , forse di tre anni e mezzo; chissà di che colore erano i suoi occhi ... Ma il suo pianto lo possiamo immaginare; si sa come piangono i bambini, anche i suoi piedini li possiamo immaginare, scarpa numero ventiquattro per l'eternità. C'è un paio di scarpette rosse a Buchenwald quasi nuove, perchè i piedini dei bambini morti non consumano le suole. Y.Lussu Il disegno delle scarpette l'ho ripreso da http://194.242.232.33/b2evolution/blogs/index.php?m=200601 |
Antonio aveva tre figli da sfamare e il lavoro nei campi non riusciva a migliorare gli inverni freddi ed affamati. Nel 1940 trovò un lavoro alla Zona, la nuova area industriale a cavallo tra Massa e Carrara. Si costruivano armi e munizioni, si assemblavano parti di cannoni. La guerra era già cominciata e, nessuno sapeva, ma presto sarebbe arrivata anche lì: lunga, sanguinosa e straziante. Un giorno lo mandarono a Spezia per scortare un carico e con quel carico si ritrovò arruolato ed imbarcato. Destinazione: Albania. Senza poter avvisare la Giannina, sua moglie, ed i tre figli in tenera età salpò con la prima nave verso un destino ignoto. In Albania, sulle montagne, si stava in trincea, a contatto con la fredda e nuda terra, assopiti dalla fame e dal gelo, riscaldati dal respiro sommesso dei compagni. A primavera il fronte si spostò verso la Grecia, vicino al mare. Antonio imbracciava il fucile ed aveva gli stivali tenuti insieme da cenci e funi. Forse la guerra era finita? No, erano solo arrivati i soldati tedeschi e con loro un treno. Antonio ed i compagni furono fatti prigionieri e buttati sul vagone-merci, già carico di altra merce umana ancora fresca e forte. Era l’ultima fermata di un viaggio durato 18 giorni. Diciotto giorni senza mai uscire dal carro-bestiame con cibo ed acqua quando capitava. La merce umana cominciava a deteriorarsi, nello spirito e nel corpo: stipati nel vagone gli uomini avevano perduto ogni dignità, ma non era nulla in confronto a quello che li aspettava in Germania. Alla fine il treno si fermò. Il vagone puzzava di merda e di piscio, i pidocchi avevano conquistato le ferite dei soldati che febbricitanti e maleodoranti venivano scaraventati giù dal vagone. Antonio stava bene e si strinse a Sandro, ferito ad una gamba. “Staremo vicini, come in trincea, e non ci succederà nulla. Vedrai, torneremo a casa”, Antonio incoraggiava l’amico, mentre le porte del lager si richiudevano alle loro spalle. Un tuffo nel buio, una morte in vita se vita ci può essere. Antonio e Sandro erano nella stessa baracca. Dopo qualche mese di prigionia, furono destinati alla Fabbrica di munizioni. Ogni giorno uscivano scortati per andare a lavorare là. Fu una fortuna ed una speranza di vita. Alla fabbrica si mangiava e i due riuscirono a recuperare qualche energia. Nella testa di Antonio un solo pensiero: la fuga. Riuscì a mandare una lettera alla moglie Giannina che così dopo due anni seppe che il marito non l’aveva abbandonata. Antonio era deciso: meglio morire fuggendo che rischiare di morire nel lager. Studiò il piano per un anno intero, mandando a mente orari, personaggi, spostamenti, percorsi… per un anno lavorò sodo e conquistò la fiducia del kapò. A Gennaio del 1945 la neve era alta in Germania, ma era arrivato il momento. Dopo la giornata in fabbrica, un camion riportava i prigionieri al lager, Antonio si buttò giù dal mezzo proprio mentre imboccava una curva, prima di un ponte. Senza esitare saltò giù, nel fiume. Era nera la sera e ghiaccia quell’acqua. Il camion si fermò col motore acceso, puntava i fari cercando nel vuoto; un soldato si affacciò dal parapetto percorrendo con una torcia le due sponde del fiume e l’arcata del ponte. Passò un tempo troppo lungo, Antonio avrebbe voluto zittire il suo cuore per paura di esser scoperto, rannicchiato tra i cespugli e le canne, mezzo assiderato dall’acqua ghiaccia. L’autista staccò il freno a mano, accelerò e partì scivolando sulla neve ghiaccia. Il cuore si fermò. Antonio si tirò fuori dall’acqua e strisciando arrivò al bosco. Non sapeva bene dove andare, né come muoversi. Come un animale, era l’istinto di sopravvivenza che lo faceva avanzare verso la strada giusta. A piccoli passi. Da quella sera, passarono tre mesi. Un viaggio lungo e difficile, a piedi dalla Germania a Massa, in Toscana. Lui ci sarebbe riuscito, avrebbe rivisto la sua famiglia, non sarebbe diventato fumo nel vento come quella bimba dalle scarpette rosse a Buchenwald. La febbre era alta e il cibo scarso. Di notte vagava nei campi, mangiando quel che trovava: cipolle, soprattutto cipolle. A Massa era già arrivata la Primavera ed anche la fine della guerra. La Giannina ed i figli erano ritornati alla loro casa, ma poco prima della Liberazione una bomba aveva ferito il più piccolo, che era stato portato al lazzaretto approntato al Duomo. Era un pomeriggio tiepido, la Giannina preparava le bende da portare al suo piccolo Roberto; arrivò sulla porta Piè de Capelon con un mezzo sorriso sulle labbra secche: “oh Giannina, quant’è che un ne vedete vostro marito?”. Silenzio, silenzio. “Andate per la via, che a l’arrive el vostro Ton”. Antonio ce l’aveva fatta a scappare, a non lasciarsi abbattere dagli orrori e dalla violenza della guerra, dalla follia degli uomini.
Non conosceva Primo Levi, mio nonno, e neppure tutti gli altri che han dato voce ai milioni di morti innocenti, ma a lui avevo letto Se questo è un uomo. Da lì aveva cominciato a raccontare la sua vita che io assorbivo, affacciata alla finestra dei miei freschi 12 anni. Ton era mio nonno, mia madre è una dei tre figli e questa è parte di una storia vera che lui mi ha sempre raccontato col vuoto negli occhi. Perché NON SI DIMENTICA. Per questo non capisco tutte le svastiche e l’inneggiamento all’odio che ho visto in questi giorni trascritto sui muri delle chiese e dei palazzi di molte città italiane. Non capisco come sia possibile rinnegare quella sanguinosa follia che sono stati i lager. A questi giovani che tracciano segni così oscuri sui muri cosa è stato invece raccontato? |
Inviato da: generazioneottanta
il 15/07/2016 alle 11:07
Inviato da: romeo.licata
il 09/04/2016 alle 18:26
Inviato da: romeo.licata
il 09/04/2016 alle 18:25
Inviato da: romeo.licata
il 09/04/2016 alle 18:24
Inviato da: romeo.licata
il 09/04/2016 alle 18:23