Creato da artemisia_65 il 27/05/2007

OMBRA DEL BAMBU

Vuoto, Pieno

 

 

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Horror vacui ?

Post n°3 pubblicato il 28 Maggio 2007 da artemisia_65
 
Tag: ARTE

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Nell’uomo la paura del vuoto ha una valenza che trascende l’aspetto inerente alla sfera dell’istinto e della percezione.  Essa è sostenuta dall'idea (sorta dalla cultura greca) per cui il vuoto equivale al nulla, al niente assoluto. Su questa associazione di idee il vuoto  evoca in un solo termine tutto ciò che esprime negazione, privazione, solitudine, desolazione.

Come il pieno evoca ricchezza, opulenza, gioia e vitalità così il suo opposto, il vuoto, in analogia col nulla, porta con sé lo stesso timore, lo stesso senso di sgomenta ostilità. 

Questo almeno nella cultura occidentale.

In Oriente il discorso non è simile: qui il vuoto non è ancorato al concetto di nulla ma, al contrario è considerato principio di tutto, qualità fondante dell’essere, mezzo conoscitivo, fonte d’ispirazione e approdo finale. Nella civiltà orientale il vuoto esprime bene, positività, fiducia, speranza.


E’ strano come il pensiero dell’uomo sia riuscito ad attribuire un significato tanto antitetico ad uno stesso concetto. Invita ad una riflessione, no ?


In Occidente  il vuoto ha conosciuto una lunga e spesso travagliata elaborazione concettuale, lungo un itinerario che ha seguito tutto il percorso della conoscenza umana dagli albori ai giorni nostri. Il dibattito culturale che si è sviluppato attorno al V secolo A.C. sulla "realtà"  del vuoto, è stato tra i più avvincenti e controversi di tutta la storia della civiltà occidentale. Poi l’autorità di Aristotele ha frenato ogni ulteriore indagine e stabilito un fronte di consenso che non si è più scalfito per  mille anni. Il concetto di horror vacui, coniato nel medioevo, ma che riconosceva la propria origine nel veto aristotelico, sta ad indicare, in estrema sintesi, che in natura  il vuoto non può esistere e che ogni sforzo per provocarlo è destinato a naufragare....

Queste osservazioni ci invitano a riflettere sul concetto fondamentale di "vuoto", senza però confondere i vari livelli di interpretazioni. Il livello filosofico-concettuale è decisamente da distinguersi da quello esistenziale.

Che cosa significa vuoto in arte, in pittura, ad esempio ? E che cosa significa "vuoto" nella nostra vita di mortali ?  I due aspetti non sono da confondersi.

La vita è concreta e ci radica in un "qui e adesso".

La riflessione parte sì dal concreto ma per astrarsene e diventare universale. Proprio in questo processo di "generalizzazione" il concetto si stacca e non "appartiene" più alla realtà. L'arte deve seguire questo processo... solo così diventa atemporale e sempre valida cioè. Nasce qui una riflessione sulla "materialità" dell'arte.... come tracciare un segno il più "vuoto" e quindi il più "pieno" possibile ?

L'arte, quella vera intendo, fa suo quel senso universale di "vuoto" che -in nessun modo- si può "vivere" (a meno di essere già un'anima che spero non siete ;-)) sul piano esistenziale....no ?

Artemisia

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Commenti al Post:
Egure
Egure il 28/05/07 alle 19:13 via WEB
Ciao Arte e complimenti per un inizio che si fa sentire a dovere, solcando il mare dei blog. La tua riflessione la condivido a pieno, e a riguardo non potrei aggiungere di meglio; l'unico mio apporto e' legato ad un pensiero che la tua riflessione mi ha fatto nascere. Degli studi piuttosto approfonditi che ho fatto di recente mi possono far paragonare una funzione ancora diversa al nostro concetto di pieno e vuoto. Sto pensando all'impulso dell'uomo di collezionare oggetti. Un'impulso primordiale di una conoscenza ancora non approfondita e per questo tendente ad un certo tipo di "vuoto cognitivo" e nel medioevo "ignorantia secolare" che pero', ha dato adito ad un tipo di organum conoscitivo multiplo, un macrocosmo che quindi si assurge a concetto di "pieno" ed e ' comunque legato ad una spinta sopraggiunta da un vuoto conoscitivo.
 
 
artemisia_65
artemisia_65 il 29/05/07 alle 20:05 via WEB
Certamente l'impulso dell'uomo a voler collezionare oggetti, in modo così "invandente" e "evidente" tende a "riempire" quello che tu chiami un "vuoto conoscitivo". La conoscenza è sempre una tensione, che -nel caso particolare- scoccata la freccia, trova nel possesso il suo bersaglio. Qui il rapporto pieno/vuoto si traduce in possesso/vuoto, no ? Dimmi delle tue ricerche sull'argomento...porteranno luce sul tuo acutissimo (come sempre) commento. Artemisia
 
ardeacinerea
ardeacinerea il 28/05/07 alle 21:08 via WEB
Bellissimo spunto di riflessione e bene impostato. Dal punto di vista filosofico io citerei anche Parmenide e il suo famoso aut/aut... da un punto di vista più generale, ci pensavo oggi lavorando su soggetti orientali: per quanto nella pittura greca antica si possano ritrovare elementi, in sostanza, analoghi a quelli della pittura cinese o giapponese, ben presto noi ci siamo orientati verso una descrizione degli oggetti che è *informazione* su come è fatto l'oggetto e non restituzione di certi suoi aspetti significativi. Noi abbiamo teso piuttosto a costruire uno spazio (astratto, cioè mentale, razionale) nel quale gli oggetti potessero essere costruiti e così avere un senso; mentre nell'arte orientale sono gli oggetti a costruire lo spazio. Mi riprometto di intervenire in maniera più estesa. Un caro saluto A. C.
 
 
artemisia_65
artemisia_65 il 29/05/07 alle 20:06 via WEB
La dimensione occidentale dell'arte è "costruttiva" o "ricostruttiva" della realtà, e proprio in ciò è limitata. Invece l'arte orientale non partendo dal presupposto "reale", ma dalla sua "poeiesis" crea e crea sempre in modo "rinnovato". La domanda è: che cos'è creazione? Una tecnica al servizio dell'atto creativo o una tecnica assorbita -in osmosi- e quindi quasi "scancellata" dall'atto stesso di creare ? Pausa- riflessione: il vuoto è ciò che determina il pieno, non il contrario. L'arte occidentale parte dal pieno per esprimere il vuoto: la materia densa e scultrice di un Pereda, ad es., evidenzia il vuoto concettuale inerente al soggetto dipinto. Il vuoto è espresso a partire da un pieno. Il vuoto è concettuale. Nell'arte orientale, per esser più precisa, nella pittura giapponese ad. es., v'è l'esigenza di una grande preparazione dell’artista non soltanto dal punto di vista tecnico ma anche interiore, una meditazione con l’assimilazione dell’oggetto da rappresentare, in un certo senso il compenetrarsi in ciò che si sta realizzando al punto tale di pensarlo proprio. Per i Giapponesi un’opera non è completa se non ha il “Ki-in” cioè la “nobiltà interiore". L'arte giapponese (ma direi orientale in generale) parte dal vuoto per esprimere un pieno! Il vuoto non è concettuale, ma è. Plenitudo. Artemisia
 
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