Creato da atsinistra il 09/01/2011

a sinistra

il problema attuale non è più la lotta della democrazia contro il fascismo ma quello del fascismo nella democrazia (G. Galletta)

 

COP17. Kyoto risorge. Ma il clima è salvo?

Post n°96 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da atsinistra
 





Da Durban/COP17 - Alberto Zoratti - Fair

[Durban/COP17]. - Si conclude dopo giorni di negoziati ed ore di attesa la 17a Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico a Durban. Nasce il Durban Package che consolida il percorso multilaterale rimesso in piedi a Cancun. Si salva il protocollo di Kyoto, da molti dato per morto, e l'Unione Europea conosce un nuovo protagonismo. L'unica cornice vincolante non viene messa in un cassetto, ma il lavoro da fare è ancora molto. Anche per contrastare una serie di distorsioni che piuttosto che contribuire alla lotta al cambiamento climatico in un'ottica di equità, rischiano di aggravarlo, come i meccanismi di mercato, troppe volte sovrastimati. Rimangono in piedi il REDD+, con i rischi per le foreste, un vero e concreto impegno davanti a impegni vincolanti, il rispetto delle sollecitazioni che vengono dal mondo scientifico, la possibile ingerenza della Banca Mondiale e di altre organizzazioni come la Wto sui temi climatici, un reale impegno per stanziare risorse per il Green Fund. Il lavoro, per la comunità internazionale, è ancora molto e difficile. Ed i movimenti della società civile dovranno fare la loro parte.

Conclusa alle 5 di notte la COP17
COP17. Kyoto risorge. Ma il clima è salvo?

A Durban nasce il l'omonimo package, dopo una giornata ed una notte estenuanti la 17a Conferenza delle Parti chiude con un risultato. Kyoto è salvo, grazie all'ostinazione della maggioranza delle delegazioni presenti, prima fra tutte l'Unione Europea. L'unica cornice legale vincolante non è stata travolta dal disimpegno di pochi, ma con Kyoto rimangono anche le contraddizioni di una serie di strumenti di mercato troppe volte sovrastimati e di una strategia di lotta al cambiamento climatico ancora molto, troppo inadeguata. La storia di una nottata fuori dal comune.

 

09-12-11
DURBAN: DIRETTORE ESECUTIVO GREENPEACE ESPULSO DA CONFERENZA CLIMA
(ASCA) - Roma, 9 dic - Kumi Naidoo, Direttore Esecutivo diGreenpeace International, e' stato fatto allontanare dall'edificio nel quale e' in svolgimento la conferenza delle Nazioni Unite sul clima aDurban, in Sud Africa. E'la stessa organizzazione ambientalista a renderlo noto, precisando che a Naidoo e ad altri 9 attivisti di Greenpeace e' stato confiscato il badge di accesso e non potranno quindi rientrare nel Palazzo dei congressi per partecipare al resto della conferenza.
Questo pomeriggio Kumi Naidoo si era unito a una protesta non violenta all'interno del centro congressi, appena fuori della sala plenaria nella quale e' in corso il segmento ministeriale della conferenza sul clima. Alla protesta hanno partecipato un centinaio di attivisti provenienti da tutto il mondo e rappresentanti di diversi gruppi della societa' civile, tra cui 350.org, Friends of the Earth e Avaaz. Tra i dimostranti era presente anche il Ministro dell'Ambiente delle isole Maldive, Mohaemmed Shareef, particolarmente preoccupato per gli effetti dei cambiamenti climatici visto che il suo paese e' costituto da un arcipelago di isole che si alza di pochi metri sopra il livello del mare.
Prima di essere accompagnato fuori dal centro congressi, Naidoo ha dichiarato:''Siamo qui per sostenere i Paesi piu' vulnerabili ai cambiamenti climatici, la cui sopravvivenza non viene presa in considerazione da chi siede in quella sala conferenze. Siamo qui per chiedere ai Ministri di ascoltare le persone, non chi inquina. La delegazione degli Stati Uniti sta in questo momento pianificando a tavolino la scomparsa di Paesi membri delle Nazioni Unite dalla mappa del pianeta.
Questo e' semplicemente inaccettabile''.
Dopo essere stato allontanato Naidoo ha continuato:''E' paradossale che, mentre la maggioranza dei cittadini del mondo chiede azioni urgenti per proteggere il clima e salvare vite umane, la delegazione degli Stati Uniti continui liberamente ad ostacolare ogni progresso delle trattative.
Chiedo al popolo americano, per il quale oggi siamo qui, di domandarsi cosa farebbe se venisse a sapere che i potenti del mondo stanno complottando per cancellare gli Stati Uniti dalla carta geografica. Perche' questo e' esattamente il futuro che attende chi vive alle Maldive o in altre isole. La delegazione di Obama e' in grado di far fallire questa conferenza solo con il sostegno di altri grandi inquinatori.
Faccio un appello a quelle Nazioni affinche' riconsiderino la loro alleanza con la delegazione degli Stati Uniti, e pensino a quei Paesi che rischiano di scomparire''.

 
 
 

La difesa del lavoro come difesa dello Stato

Post n°95 pubblicato il 07 Dicembre 2011 da atsinistra
 
Foto di atsinistra

Fino al finire degli anni 60 il diritto alla salute sui posti di lavoro non trovava una adeguata cultura. Il concetto di pericolosità e di nocività era oggetto di eventuale contrattazione salariale, preferendo curare le conseguenze che non prevenire, scaricando poi di fatto sulla collettività i costi sociali degli infortuni e soprattutto di quelle che troveranno menzione nelle malattie professionali. 
Semplificando il concetto : più pericoloso o nocivo era il lavoro e più uno guadagnava. 
Con lo Statuto dei diritti dei lavoratori il salto culturale fu evidente e fu giustamente applicato il concetto che la salute non è monetizzabile. Affinchè questa enunciazione trovasse applicazione, ovviamente fu necessario legiferare affinchè fossero attuate tutte le misure che consentissero lavoro in sicurezza sia nella lavorazione sia a livello ambientale. 
Voglio nuovamente sottolineare i due dati importanti del passaggio alla “non monetizzazione della salute: prevenzione e maggior sicurezza sul posto del lavoro e minori costi sociali con evidente miglioramento della qualità della vita. Personalmente penso che non fu solo una vittoria sindacale, ma fu soprattutto una scelta di civiltà. 
L’articolo 1 della nostra Costituzione, fu il frutto di una mediazione e all’enunciato di una “Repubblica fondata sui lavoratori” (concetto che richiamava il socialismo reale) raccolse il consenso “Repubblica democratica fondata sul Lavoro” 
Il lavoro quindi come elemento fondante del nostro Stato e della nostra società. Il lavoro che, mi verrebbe da pensare, travalica addirittura, ovviamente in positivo il concetto del diritto. 
Nel 1995 a seguito delle dimissioni del primo governo Berlusconi abbiamo una parvenza di governo “tecnico” diretto da Lamberto Dini e, il ministro del lavoro e della previdenza sociale Tiziano Treu confezionerà in quel contesto il pacchetto di misure, trasformate nella legge 196/97 che dietro l’inganno del lavoro flessibile in realtà spalancherà le porte al dramma del lavoro precario. 
Che sul lavoro si stava giocando una partita estremamente importante e sporca ne sono la riprova gli omicidi di D’Antona prima e Biagi successivamente, perché nel nostro paese a far accelerare i processi involutivi sono, con una tempestività inaudita, sempre intervenuti fattori, come la strategia della tensione e gli anni di piombo, che hanno tacitato sotto la cappa dell’attacco allo Stato, tutte le espressioni di dissenso dei ceti popolari e della grande maggioranza dei lavoratori. 
Era fondamentale questa lunga premessa perché solo avendo coscienza del processo avvenuto si possono trovare risposte adeguate alla situazione presente. 
E’ di pochi giorni fa l’intervento del segretario della CGIL Susanna Camusso all’assemblea dei delegati/e della CGIL, affrontando il tema della precarietà indica nella strada per il superamento due parametri: ridurre le modalità di assunzione (42) e far costare di più il lavoro precario ampliando le tutele. 
L’idea del far costare di più il lavoro precario non è nuova: poco più di un anno fa Gianfranco Fini nel discorso di “Mirabello” sottolineò proprio questo concetto per dare dignità al “lavoro precario”. Non casualmente poco prima che la Camusso esprimesse il concetto nel discorso sulla “cura del lavoro”, forse in una pausa della pettinatura delle bambole, con più di un anno dal discorso di Fini il PD nella voce di Bersani si esprimeva nello stesso senso, come a dare il benestare o il nulla osta alla proposta. 
Se riesco a comprendere la proposta fatta da Fini, comprendere senza condividerla, la proposta Bersani/Camusso la reputo assolutame inaccettabile e inconcepibile per la sua natura di monetizzazione del diritto al lavoro; la conferma dell’accettazione del concetto della precarizzazione della struttura stessa dello Stato. 
La trovo inaccettabile proprio per quel concetto dell’aver “cura del lavoro” tante volte ripetuta nell’intervento ai delegati e delegate dalla Camusso. 
E’ inaccettabile per quel danno sociale davanti gli occhi di tutti che è la negazione al futuro per intere generazioni. Inaccettabile perché vuol dire da parte del sindacato diventare sempre più un sindacato dei pensionati perché a queste generazioni senza “categorie sindacali” sarà negata sia la rappresentanza sia il potere contrattuale allargando sempre più la forbice tra chi produce e chi parassitariamente incamererà i profitti. 
Al precariato non si può rispondere con una monetizzazione perché nel caso della salute la non monetizzazione è stata una conquista, sul precariato è stata una falla aperta per incapacità, inettitudine e sudditanza a componenti politiche che hanno dimostrato di avere più riguardo per le lobby industriali che non alle masse lavoratrici. Non si può andare a dire a un giovane la tua vita sarà una incertezza costante ma ti pagherò però un po di più. Anche il pagamento è incerto! 
O il sindacato oggi fa una scelta autonoma,e intraprende una battaglia, anche dura per la cancellazione di tutta la legiferazione in tema di mercato del lavoro, o si ritroverà, e in parte già si ritrova, ad essere solo un sindacato dei pensionati ai quali potrà fornire qualche servizio, e, considerando i nuovi sviluppi in tema di pensioni, neanche con una base di iscritti troppo ampia.
Trovo indecorose le proposte di modificazione della nostra Costituzione. Modificare l'art. 41 o l'art. 118 (libertà di impresa) o l'inserimento del pareggio di bilancio, quando i "debiti pubblici" fuori controllo si chiamano evasione fiscale e banche. La Costituzione prima di ogni cosa va attuata, specialmente nel suo articolo 1.

Loris V.

 

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Di Sinistra di comunisti e del vedere lontano

Post n°94 pubblicato il 02 Dicembre 2011 da atsinistra
 

In questi giorni, più di una volta sono entrato nel Blog di Kamala “Prima e dopo il 68” per rileggere il post “lettera agli ex-comunisti”. Più di una volta sono stato tentato anche di commentare. Infine, rendendomi conto che un commento mi risultava riduttivo rispetto a quelli che erano i miei pensieri il post l’ho fatto pure io, augurandomi di dare risposta a Kamala, ma nello stesso tempo, forse, proporre sotto altre angolature lo stesso “tema”. 

Personalmente aborro il termine “ex”, perché da il senso dell’aver fatto proprio il pensiero dominante dei “Vincitori”. In questo caso, oltre ad “ex” ci troviamo di fronte, anche al concetto di “vinti. Posso ritenermi sconfitto, ma non vinto. 

Se il post di Kamala si rivolge agli “ex-comunisti” io ritengo che la riflessione debba coinvolgere in maniera più ampia tutta la “sinistra”, e che debba interessare tutte le mutazioni, sociali, economiche e tecnologiche che sono maturate nel tempo. 

Leggendo nel “Manifesto” di ieri (30 nov) tra i diversi ricordi di Lucio Magri, in quello di Ingrao, trovo forse le ragioni più semplici, più trasparenti ed immediate per motivare un “essere” che non potrà mai coniugarsi con l’aggettivo “ex” e che ci alimenta proprio nel momento che riusciamo ad interpretare quei mutamenti che producono comunque da una parte profitti e dall’altra chi il profitto lo produce senza beneficiarne. 

Nessuna remora e nessun pentimento quindi, ma la consapevolezza che la quotidianità della storia, ad oggi, pur nelle sconfitte e nelle mutevoli condizioni storiche e sociali, abbisogna di una sinistra capace di interpretare e lottare per quei bisogni di giustizia sociale e ambientale in cui milioni di individui si identificano. 
Sono molti i sarti che si sfracellanno al suolo per far vedere che si può volare, a loro il merito di aver visto dove altri per mancanza di coraggio, o per oggettiva incapacità non hanno osato vedere e spesso neanche guardare ciò che oggi è sotto gli occhi di tutti.

 

 

Dal "il Manifesto del 30 novembre 2011

…..Oggi Lucio ci ha lasciati, in giorni bui dominati da gelide dispute sulla Borsa e i bilanci. 
Un altro ricordo: era il maggio del 1962, in un convegno dell'Istituto Gramsci sulle tendenze del capitalismo. Si discusse animatamente, la nostra critica alla relazione di Amendola fu uno dei prìmì segni visibili della nostra ricerca di un nuovo sguardo sul mondo. In quell' occasione, Lucio parlò del bisogno di una critica a quella che lui chiamò "la società opulenta": la pervasività del mito dell' opulenza in ogni luogo della vita, a colpire l'autonomia dei bisogni umani. In questo presente così aspro e difficile, in cui la politica sembra aver ceduto le armi di fronte aì luoghi della finanza, ho risentito l'eco. di quelle parole: non più solo nei miei ricordi, ma negli slogan di chi si accampa davanti a WalI Street. Caro Lucio, carìssìmo compagno di tante lotte e di tante sconfitte: nessuna sconfitta è definitiva, finchè gli echi delle nostre passioni riescono a rinascere in forme nuove, perfino di fronte al tempio del capitalismo mondiale…”  P.Ingrao

 

 

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SENZA KYOTO NON C'E' FUTURO - ALLA VIGILIA DELLA CONFERENZA ONU SUL CLIMA IN SUDAFRICA

Post n°93 pubblicato il 28 Novembre 2011 da atsinistra
 


SENZA KYOTO NON C'E' FUTURO. 
ALLA VIGILIA DELLA 17a CONFERENZA ONU SUL CLIMA IN SUDAFRICA

FAIR, LEGAMBIENTE, ALTRECONOMIA, ARCI E CGIL:

"UN ACCORDO VINCOLANTE PER NON SUPERARE IL PUNTO DI NON RITORNO" 

Mancano pochi giorni al via della 17a Conferenza ONU delle Parti sul cambiamento climatico, che si terrà a Durban, in Sudafrica, dal 28 novembre al 9 dicembre. Un appuntamento delicato, dopo l'ultimo appuntamento di Cancun, nel dicembre 2010, dove si riuscì a rimettere in piedi un negoziato in crisi, ma a spese di un accordo concreto ed operativo sulla lotta al cambiamento climatico. Questo in un momento drammatico sia per la situazione economico finanziaria, che sta impattando pesantemente sulla vita delle persone, ma anche per l'impatto delle attività umane sul pianeta, se pensiamo che a livello globale le emissioni è aumentato nel 2010 di un +6% rispetto al 2009, superando le peggiori previsioni della comunità scientifica internazionale. Un impatto già tangibile, e che ha visto un incremento degli eventi meteorologici estremi che ha toccato la cifra di 14mila in tutto il mondo tra il 1990 ed il 2009 e che, anche nel nostro Paese, sta lasciando il segno, basti pensare alle alluvioni recenti in Liguria ed in Sicilia. Un accordo vincolante, che rilanci Kyoto aggiornato ai dati che provengono dall'IPCC, il Panel internazionale di scienziati sul clima, e che stanzi da subito le cifre necessarie per adattamento al cambiamento climatico e mitigazione delle emissioni, per evitare di superare il punto di non ritorno. E' quello che chiedono l'organizzazione dell'economia solidale Fair, Legambiente, Altreconomia, Arci e CGIL presenti a Durban per monitorare i negoziati, mobilitandosi a fianco delle reti internazionali. Altreconomia, in collaborazione con ReteClima, Equomercato, LiberoMondo, Palm e Fair, ha deciso di aprire una finestra quotidiana sui negoziati sul clima di Durban. Il blog Ri(e)voluzione (www.altreconomia.it/clima) sarà un filo diretto con la delegazione italiana a Durban con l'obiettivo di mantenere accesa l'attenzione su un vertice che dovrebbe porre le basi del cambiamento di rotta necessario.

Segui il vertice COP17 di Durban su: www.altreconomia.it/clima

 
 
 

Quale sinistra dopo Zapatero? da un articolo di R. Musacchio

Post n°92 pubblicato il 23 Novembre 2011 da atsinistra
 


Dopo le elezioni in Spagna, Roberto Musacchio ha prodotto questa riflessione che è sicuramente un utile contributo col quale confrontarsi nel tentativo di ridare un ruolo attivo alla sinistra italiana ed europea nel momento in cui le forze finanziarie attaccano senza mezzi termini diritti e condizioni di vita di milioni di persone.

***
Quale sinistra dopo Zapatero?

di Roberto Musacchio

Era largamente previsto, ma pure fa molta impressione questa storica sconfitta dei socialisti in Spagna. Fa impressione per le proporzioni, veramente enormi, che consegnano al PSOE il risultato peggiore dal 1977. Fa impressione perchè quella di Zapatero è stata una vera e propria era politica, che ha caratterizzato una stagione non solo spagnola ma del socialismo europeo. Ma forse l'impressione più grande viene dal fatto che su questa sconfitta pesa la rottura con quello straordinario movimento degli indignati protagonista di una intensa stagione di lotte che dalla Spagna ha parlato a tutta Europa e non solo. Ebbene questo movimento non ha fatto al PSOE alcuna apertura di credito, sia pure critica. Lo ha considerato parte di quel recinto che fa dire al movimento " voi non ci rappresentate ". Dunque per i socialisti è stato impossibile ripetere quella operazione di recupero che in altre occasioni era loro riuscita, grazie anche ad un sistema elettorale sostanzialmente ipermagioritario. Il voto socialista non è apparso più utile, neanche a battere una destra che pure si presentava con le forme di un pupillo dell'ex franchista Fraga. Non ci ha provato neppure più di tanto il PSOE a recuperare a sinistra, se è vero che tra gli ultimi atti di Zapatero ci sono state manovre economiche tutte interne ai dettati di Bruxelles e addirittura l'inserimento in Costituzione del vincolo ai limiti di bilancio. In realtà il fenomeno Zapatero che si era presentato con uno straordinario processo di liberazione della società spagnola con una intensa stagione di promozione di diritti civili, molti dei quali tabù per il centro sinistra italiano, aveva anche provato a realizzare politiche occupazionali progressive volte a rispondere alle esigenze dei giovani. Ma mano mano questo impulso riformatore si era affievolito fino a far proporrre al governo socialista leggi sul lavoro tutte improntate alla flessibilità estrema. Ma sia l'iniziale spinta riformatrice, sia la successiva propensione di adeguamento alle ricette liberiste, non hanno impedito alla Spagna di entrare in una crisi economica e sociale, con il record della disoccupazione, fortissima. Colpa di un sistema economico spagnolo in cui i tradizionali poteri forti, a partire da quello della rendita edilizia, sono rimasti tali. E colpa dell'impatto della crisi europea che ha visto i socialisti spagnoli privi di una qualsiasi ricetta valida. La decisione di Zapatero di andare alle elezioni senza neanche ricandidarsi è apparsa dunque per quello che era:una vera resa. Ma la campagna elettorale poteva essere l'occasione per provare a ricercare una nuova strada, ma così non è stato. Lo dimostra proprio la rottura con gli indignati. Che non sono poi un movimento di " antipolitica " come qualcuno prova a dire. No, proprio perchè sono un movimento di critica radicale degli attuali assetti, non solo spagnoli ma europei, chiedono risposte politiche che dal PSOE non sono arrivate. Qualcosa è venuto dalla sinistra radicale, quella di Isquierda Unida, che raddoppia i propri voti e si riaffaccia alla grande politica dopo una lunga crisi che la aveva portata suul'orlo della scomparsa. Ma la vittoria delle destre è grande e chiede di ripensare tutto. Noo solo in Spagna. Con la fine di Zapatero finisce, dopo Blair, un altro dei grandi modelli del socialismo europeo. Caduto anche Papandreu, i governi a presenza socialista in Europa sono quasi scomparsi. Quello che conta ancora di più delle sconfitte elettorali è la sconfitta politica e sociale. Queste esperienze non sono riuscite ad essere veramente alternative a quel vento di destra che ha mantenuto costantemente l'egemonia in Europa. Non solo perdono, ma nella realtà non hanno invertito in modo significativo la tendenza. A questa amara riflessione nè segue un'altra, altrettanto dura. Non si vede fin qui una capacità di ripensamento sostanziale. La possente offensiva neoconservatrice messa in campo con la realizzazione in Europa della struttura di comando intorno ad Europlus non trova alcun reale contrasto. Le misure economiche sono quelle volte a conservare gli stessi assetti che hanno prodotto la crisi e vengono imposte quasi senza opposizione politica. Il socialismo europeo oscilla tra sconfitte e risucchio nella logica delle grandi coalizioni. D'altronde quando il proprio impanto è così debole e subalterno si fa presto a derubricare la propria proposta di alternativa in quella di una partecipazione subalterna a grandi coalizioni. E' il rischio che si corre in Germania, dove una Merkel che vola nei sondaggi rischia di irretire di nuovo la Spd in una Grosse Koalitione. E' quello che si è fatto in Grecia. E in Italia, dove addirittura partiti ridotti dalla lunga esperienza della seconda repubblica a meri contenitori di competizione per il governo fanno " un passo indietro " e lasciano ai " tecnici " la gestione di una fase tutta segnata dalla logica di Bruxelles fornendogli un appoggio " bulgaro ". Una situazione che chiede un drastico cambio di rotta. A partire da una ripresa di sintonia vera con ciò che vive nella società. Innanzitutto di sofferenza. Ma come si fa a non vedere che queste politiche presentate come obbligate non stanno combattendo il male ma lo aggravano. Se prendiamo la Grecia, due anni di " cura " hanno portato il debito pubblico dal 120% al 180%, con meno 15% di PIL! Non si tratta solo che altri devono pagare, ma che occorre cambiare le logiche economiche di fondo a partire da due fatti in realtà intrecciati: Lo strapotere della speculazione finanziaria e la svalutazione sistematica del lavoro. Vanno rovesciati facendo di questo rovesciamento la base di una alternativa. E' ciò che dicono i nuovi movimenti europei, che ci aggiungono, giustamente, il bisogno di rifondare una democrazia ormai calpestata. Questo rovesciamento, questa rottura del recinto è la base indispensabile per la rinascita di una sinistra europea fuori dalle secche identitarie e politiche dell'ultimo trentennio. E' l'esatto contrario che la riesumazione di antichi schieramenti e di vecchie politiche del centrosinistra europeo che hanno drammaticamente fallito.


***


Concordo con l'analisi di Musacchio sul voto spagnolo e, in particolare, sull’analisi del peso della rottura avvenuta tra la sinistra e il movimento degli indignati. 

Mi chiedo, infatti se, rispetto all’esperienza spagnola, alle vicende politiche di casa nostra ed al modo in cui noi, come sinistra, ci siamo posti rispetto al 15 ottobre, non sarebbe opportuno un ripensamento complessivo, che colga il cambio di rotta che viene richiesto da questo movimento “sociale” che è il più esposto alla marginalizzazione voluta dai poteri finanziari che al diritto al futuro prediligono i profitti.

Forse non tutti tra di noi riescono ad avere la consapevolezza che un obiettivo, queste centinaia di migliaia per lo più di giovani, comunque lo hanno già raggiunto in maniera spontanea, ed è lo stesso obiettivo che i lavoratori europei, attraverso le proprie rappresentanze sindacali, non sono stati ancora in grado di realizzare: alzare una voce unica di “rivendicazione al diritto di esistenza” e di protesta a livello europeo sulle politiche dei governi e della BCE 

E’ evidente che la risposta che possono, e possiamo, trovare non può essere quella della negazione delle rappresentanze politiche, perché alle lacrime e sangue si assommerebbero altre condizioni sempre più mirate alla atomizzazione sociale. 
Tuttavia è anche vero che l’esperienza del 15 ottobre in Italia ha offerto un quadro di soggetti politici, che hanno concorso alla giornata degli “indignati”, inadeguati a raccogliere una sfida politica e sociale “epocale”, esattamente come epocale è stata la disfatta in Spagna. 
Credo che la possibilità di ritrovarci attorno a un progetto comune “alternativo” fuori dalle logiche di subalternità alle grandi coalizioni, potrebbe essere un primo passo di ricostruzione di una sinistra, oltre, e sicuramente obiettivo prioritario, lo strumento di difesa e di proposta per questa generazione di indignati e per le prossime generazioni che potrebbero non avere neanche la prerogativa dell’indignazione. 
Come garantire l’autonomia di questo movimento sarà invece la sfida per ricostruire una coscienza collettiva che nella sostenibilità, sulla dignità del lavoro e sull’equità sociale fondi il suo agire.
Loris



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