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IL PRETE E LO SFANGATORE

Post n°190 pubblicato il 15 Marzo 2007 da piandeloa
 
Foto di piandeloa

Chissà come si chiama quell'aggeggio che una volta montavano fuori dalle case contadine, quello a forma di ferro di cavallo, con cui si ripulivano dal fango le suole prima di entrare in casa. Io lo chiamerei sfangatore, e me lo ricordo a casa del mio nonno materno agricoltore, a 200 metri dall'argine del Po. Mi è venuto in mente ieri, ero ai castelbarco farm studios, dove proviamo col gruppo; lì abbiamo ricavato una stanza che era adibita ad ufficio in una vecchissima casa colonica, e di fianco alla nostra entrata c'è il vero ingresso in quella casa disabitata da molti decenni, con una bella coppia di sfangatori, uno per parte. Come dicevo, mi ha fatto tornare in mente la casa dei miei nonni materni, era una casa come tutte le altre case di contadini, fino all'inizio degli anni '70 erano tutte più o meno uguali. Oltrepassato il portone d'ingresso (che era sempre enorme, dotato di chaive da 4 etti (che ora si trovano nei mercatini dell'antiquariato) e chiudibile con un catenaccio dall'interno, ci si trovava in una specie di ingresso, ovviamente enorme anche quello. A destra c'era la cucina, immensa, che era l'unica stanza riscaldata della casa con le famose affascinanti cucine economiche a legna. A sinistra la sala da pranzo, in cui in realtà era rigorosamente vietato pranzare, se non in occasioni importantissime, cioè non più di un apio di volte l'anno. Era la stanza più pulita della casa, addiritura luccicante, di solito l'unica ocn un pavimento degno di tale nome, cioè delle piastrelle di norma inguardabili. In sal da pranzo, torreggiante su un altissimo carrello, c'era 'oggetto dei desideri: il televisore, obbligatoriamente ricoperto dall'apposito telo e con il suo bello stabilizzatore sotto (qualcuno lo ricorda?). Ah, dimenticavo, ovviamente c'era l'aria condizionata, infatti anche in luglio, appena entrati si entrava in un'altra area climatica rispetto all'esterno, e quello sì era un fresco sano! Nonostante ciò la casa brulicava di mosche, era obbligatoria la carta moschicida appesa al lampadario, con tutti i cadaverini di mosca appiccicati. Sempre dall'atrio partiva la scala per andare al piano di sopra, dove c'erano le camere da letto. dai miei nonni erano una da una parte (quella matrimoniale) e due dall'altra, due di seguito, nel senso che per andare nella seconda bisognava attraversare la prima. Come dicevo prima, le camere da letto non erano riscaldate, io non credo che in inverno vi si superassero mai gli 8-10 gradi. Infatti nel letto si usava quello che nel mantovano si chiamava prete, e in alcune zone del Veneto monaca. Un aggeggio di legno di forma all'incirca ovale, che teneva alzate le coperte, e nella parte inferiore aveva un rivestimento in metallo su cui si appoggiavano le braci. Io ho fatto in tempo ad usarlo, e, per chi non l'avesse mai provato, è una delle cose più piacevoli che si possano immaginare, entrare nel letto scaldato dal prete. Sotto a ogni letto c'era almeno una...oddio non mi viene il nome...un pitale, forse...insomma, un coso in latta smaltata dove fare pipì. Perché il cesso ovviamente era fuori, dietro la casa: una stanzetta puzzolente appoggiata al muro esterno, di un metro per un metro, con una turca che scaricava sotto, e qualche giornale per pulirsi. Tutto qua. Poi, ovviamente, c'era il garage, che conteneva qualunque cosa possiate immaginare, e anche di più: immancabili una vecchia 1100 o una simca, un trattorino, un motorino vecchio di almeno 15 anni, un'incudine e una morsa.
Fino alla fine degli anni '60 era questa era la casa colonica standard della pianura padana, ma non solo degli agricoltori poveri, anche di quelli che se la passavano benino, come i miei nonni. Allora lo status-symbol non erano le case o le auto, era il numero di vacche e tori nella stalla.

 
 
 
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