Valentina Vezzali, a quanto pare, ha la lingua più lunga del suo fioretto. E ieri ha riproposto la sua polemica coi calciatori: «Perché loro viaggiano in business class e noi in economy? Non è giusto», ha detto. Salvo poi fare una goffa retromarcia e precisare che «ne aveva parlato solo con le sue compagne di spada». Strano che di questa sua confidenza ora sappia tutta Italia, vista la discrezione.
La sua rimostranza fa il paio con la faccenda della detassazione dei premi per le medaglie, che la stessa Vezzali aveva sollevato qualche giorno fa. E aveva aggiunto: «Non abbiamo mica gli stipendi faraonici dei calciatori». Intanto per cominciare 140 mila euro per la medaglia d’oro, 75 mila euro per l’argento e 50 mila per il bronzo sono cifre decisamente - e dico decisamente - più alte rispetto a tutti gli altri Stati. In secondo luogo - senza sposare i capricci dei calciatori che spesso sono ingiustificati - sarebbe da considerare che i calciatori già da domani sono a disposizione dei club che pagano loro gli stipendi e hanno concesso loro di partecipare alle Olimpiadi, non vanno in vacanza con permessi speciali.
Vezzali - che ora vuole anche entrare in politica - non è poi così giovane. Dovrebbe ricordare i tempi in cui gli olimpionici tornavano con un oro al collo e chiedevano un lavoro in banca (ricordiamo pollicino Maenza? o i fratelloni Abbagnale?), oppure si allenavano dalle 5 alle 8 del mattino perché poi lavoravano in banca (dice niente il nome di Cova?). Oggi questi atleti - anche i più scarsi - sono stipendiati da corpi dello Stato e sostanzialmente pagati per allenarsi dallo Stato stesso, cioè da noi che paghiamo le tasse. Almeno ai calciatori, gli stipendi faraonici glieli paga la società.
M.B.
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