Creato da jonwoo1998 il 26/10/2005

DIACRONIE

Costruirsi un'idea

 

 

HEGEL HA PERSO IL TRENO

Post n°135 pubblicato il 02 Febbraio 2020 da jonwoo1998
Foto di jonwoo1998

Ho intravisto qualche giorno fa, su FB, uno scambio di post dove, a fronte di una posizione politica (mi pare si parlasse di non condividere la questione del voto disgiunto) rispettabile come dovrebbero esserle tutte, si parte subito con l’accusa di settarismo e si rincara la dose aggiungendo a questa accusa la fondamentale “lezione di vita” che invece c’era nel PCI…..

Questo post ha riacceso alcuni neuroni ormai spenti da almeno 30 anni e mi ha riportato alla personale idionsicrasia che avevo per il “più grande partito comunista d’occidente” durante gli anni ‘80. Idiosincrasia molto probabilmente non del tutto corretta, ma come diceva qualcuno “per niente sbagliata”.

Infatti l’accusa di settarismo emana da chi proprio quel partito ha contribuito a chiudere, nella convinzione che bisognasse andare verso la storia e dove andava la storia se non dove andavamo noi? (ovvero loro?).

Ovviamente la storia non va da nessuna parte se non accompagnata da qualcuno, e, certamente non andava (visti i rapporti di forza da sempre esistenti) dove pensava che andasse chi invece si sentiva incaricato di rappresentarne le magnifiche sorti e progressive.

Ma, come il generale Buttiglione che non si fermava di fronte all’evidenza, si persiste a richiamare “la migliore eredità” di quel partito, ovvero più o meno “ubbidire senza discutere” verso chi dà la linea.

L’aspetto ancora più paradossale è che non essendoci più nessuno che dà la linea, ci si incarica (appunto in quanto “eredi del pci che però abbiamo chiuso perché non era più il tempo del pci e che non fosse più il tempo lo decidiamo noi in quanto siamo noi che andiamo con la storia”) di assumerne direttamente lo “spirito corretto” (che corrisponde più o meno alle personali idiosincrasie del momento, ovvero non meno settarie di colui che si accusa di settarismo),

Questo “andare verso la storia” senza che nessuno si preoccupi minimamente di dirigersi verso un approdo, per quanto generico, ha fatto sì che in 25 anni, abbiamo assistito a perenni naufragi, dei quali, per via di questo meccanismo di tipo circolare e autogiustificativo, non si è cercato di capire la (abbastanza facile, del resto) serie di motivazioni (un “complotto alla luce del sole”) ma si è accusata, con costante e permanente sicumera, proprio quella fetta di elettorato, o di militanti, o di semplici cittadini impegnati in politica, che non hanno accettato un determinato percorso.

Per cui si accusa la fine del PCI quelli che erano contrari alla fine del PCI, poiché non accettandola non si sono aggregati alla retta via del “percorso giusto della storia” che prevedeva, secondo questa lettura, la fine del PCI!

Un vero paradosso spazio/temporale che, a volte, assomiglia alle leggi della stupidità umana di Carlo Cipolla.

Anche se, in questo caso, oltre agli stupidi vi sono stati ( e vi sono) anche i dichiaramente disonesti.

 

 

 

 
 
 

CRAXI PER SEMPRE

Post n°134 pubblicato il 11 Gennaio 2020 da jonwoo1998

 

Venti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, migliaia di titoli erano stati pubblicati su quel periodo la cui storicizzazione iniziò in pratica fin da subito.

Nel 1965 si consideravano quelli avvenimenti ormai sufficientemente lontani per un approccio scientifico serio e ponderato

A venti anni dalla morte di Craxi (per non parlare di periodi precedenti come il '68 o il '77, della lotta armata e del terrorismo) invece siamo ancora qui a parlarne come se quel tempo non fosse mai passato.

Si proiettano sull'Italia degli anni '80 e '90 le idiosincrasie attuali, impedendo così una conoscenza realmente approfondita che un ventennio avrebbe dovuto perlomeno sedimentare.

A livello accademico, ovviamente, tale passo è stato fatto da tempo. Studiosi e ricercatori hanno prodotto una messe di studi abbastanza approfondita e interessante.

Ma è sul piano mediatico che tale operazione sembra non partire mai e, anzi, ad ogni di giro di boa si riaccende costantemente quella miscela micidiale fatta di “agiografia/rancore e scarsa conoscenza” che è cosa assai diversa anche dalla storiografia militante di qualche decennio fa. Anche se, bisogna dire, pure da questo lato la militanza ha spesso oscurato la serietà della ricerca.

Senza mettere in croce nessuno e senza analisi altrettanto superficiali, credo che “l'eterno presente” nel quale viviamo grazie a tecnologie sempre più in grado di metterci in relazione immediata e non mediata con il passato, abbia avuto la sua parte.

Del resto questa mescolanza permanente fra ieri e oggi porta anche ad imboccare strade che non portano da nessuna parte se non ad aumentare una grande confusione.

A mò di elenco della spesa voglio riportare alcuni punti e spunti di riflessione:

 

  • La gestione craxiana del partito socialista e poi del governo non ebbe mai un diretto consenso stratosferico, la famosa “onda lunga”, addirittura il il sorpasso sul PCI, non arrivarono mai e il PSI non divenne il primo partito della sinistra. Piuttosto, esso si inserì in un contesto pronto a ricevere determinati messaggi:

  • Craxi è personaggio politico interamente appartenente alla prima repubblica, non parla per slogan, non ha un look “giovane”, cura l'immagine ma propone quella di uno statista, ai congressi parla come si parlava nel '900;

  • tuttavia è anche l'”innovatore” che sull’onda del Reaganismo e del Tatcherismo, porta anche in Italia concetti legati al superamento del conflitto di classe, secondo una visione della storia del socialismo che porta ad accantonare Marx per riscoprire altri pensatori socialisti. Era già successo e proprio nel PSI da parte di Benito Mussolini (il Mussolini socialista, ovviamente);

  • Il piglio moderno e innovatore di Craxi piacque in realtà a tutto l’establishment e lo scontro con “Repubblica”, dopo una prima fase di innamoramento “anche fisico” come ebbe a dire lo stesso Giorgio Bocca, non si impuntò sui fondamentali ma sulle questioni “morali” e sulla corruzione. E, come spesso accade nel quotidiano “del barbuto”, per motivi di scontro personale e legato alla difesa di propri interessi (vedi il caso Mondadori, in cui Scalfari rispolverò anche il Meckie Messer di Brecht!);

  • I fondamentali della visione craxiana, erano, quelli sì,  condivisi da buona parte delle classi dirigenti e dominanti: l’eliminazione della scala mobile, la riduzione del PCI, lo scontro con i sindacati, il “pragmatismo”, insomma la riduzione del peso del conflitto sociale ma in un contesto di sdoganamento della ricchezza e del “divertimento” in realtà piacquero anche a molti dei postumi esaltatori (ma dalla memoria corta ) di Berlinguer. Quel PCI divenne stretto a questi militanti che, nel frattempo, nelle sezioni sostituivano Marx con Marilyn Monroe. Essi in realtà invidiavano quel percorso che avrebbero voluto seguire anch’essi. E che infatti seguiranno pochi anni dopo con la messa al bando della propria storia;

  • Tuttavia, quando venne a compimento il percorso, avviato dalla fine degli anni ‘70 ma accelerato dalla caduta del muro e dalla “messa in soffitta” di tutto ciò che odorava di “comunismo”, con la reazione violentissima delle classi dominanti, bisogna ammettere che la reazione di Craxi, ovviamente pro domo sua, fu degna di considerazione: rifiutò la demagogia della preferenza unica (vero viatico per le successive e antidemocratiche riforme) e del partito di “Repubblica” con un gesto assai poco “furbo” invitando gli italiani ad andare al mare, i quali, ovviamente reagirono esattamente all’opposto;

  • Così come la reazione “di forza” contro l’arroganza USA fu gesto unico nel contesto della storia del nostro paese:

  • La corruzione diffusa nel PSI è stata e rimane la vera questione divisiva. Dopo 20 anni però bisognerebbe iniziare a comprendere che non era quello il nodo problematico del PSI craxiano, ma quel nodo stava proprio nella politica post-conflittuale e liberista. Possiamo senz’altro dire che da quel punto di vista il pensiero craxiano ha vinto su tutta la linea. Ecco perché si preferisce ripiegare sulle vicende giudiziarie , oppure (come correttamente, dal suo punto di vista fa Renzi che ha interpretato il PD nell’unico senso con cui si poteva interpretare quel partito) sposarne a pieno il pensiero politico considerandolo un pioniere moderno;

  • rimane il fatto che Craxi sta ancora al di là della barricata, non è uno dei nostri giorni e la corruzione era un fatto legato alla conquista dell’egemonia non solo sul PCI ma anche sulla DC, usandone le stesse armi;

  • le indagini di Mani Pulite non furono un complotto, ma certo furono il portato di una diversa situazione nazionale e internazionale (poco prima di morire Moro aveva detto che la DC non si sarebbe fatta processare sulle piazze) dove la magistratura si trovò ad assolvere un ruolo molto pericoloso. Tuttavia quel sistema non era un percorso a senso unico. Corrotti erano i partiti soprattutto perché ai capitalisti italiani andava benissimo così e l’esaltazione pro-mani pulite scemò alquanto quando dai vertici odiati si cominciò a scendere un po’ più in basso. Non a caso appena qualche anno dopo Berlusconi raccolse la maggioranza vincendo le elezioni (eppure le sue televisioni avevano dato manforte alla magistratura “arresta corrotti”- finché i corrotti erano gli altri);

  • La chiamata di correo di Craxi in parlamento fotografava una situazione reale, non che tutti i partiti fossero uguali, ma che i finanziamenti agli stessi fossero per tutti “irregolari” era cosa assai conosciuta. La questione è che da lì si parti nell'attacco diretto allo stesso concetto di partito.

  • Per chiudere, Craxi era un latitante e non certo un esule, ma il danno maggiore lo fece non con i reati ma con la sua azione politica di forsennato anticomunismo, dell’attacco alle classi lavoratrici e all’adesione al nuovo corso della politica economica che si stava ormai affermando a livello globale.

 

 

 
 
 

LA MEMORIA FALLACE (O COM'ERA BELLO IERI)

Post n°133 pubblicato il 10 Dicembre 2019 da jonwoo1998

 

Ho letto qualche giorno fa sul “Foglio” online, un articolo di Giampiero Mughini in cui parlando del libro di Gotor (ottimo e bravo storico) uscito di recente dedicato alla Storia d’Italia, si sofferma su alcune frasi tratte da “Io se fossi Dio” di Gaber che l’autore inserisce nel proprio lavoro.

Prendendo quelle frasi di attacco violentissimo alla DC e ad Aldo Moro (il disco è del 1980, quindi davvero una bomba atomica. E infatti fu sequestrato con polemiche durissime) Mughini rimpiange il tempo che fu dicendo in sostanza: “ad averne”.

Il che potrebbe anche andare bene, oggettivamente. Ma la questione è un’altra e mi vorrei soffermare sui alcune questioni relative al declivio anacronistico presente in tanti interventi “in memoria” della c.d “prima” repubblica, spesso scritti (ma non è il caso di Mughini) da chi in quegli anni non era ancora nato.

1) in quel periodo storico la considerazione dei trent'anni di malgoverno DC era un refrain comune in tutta la sinistra (tanto che Moretti sfotte questo luogo comune nel suo Ecce Bombo, nella meravigliosa scena dell'esame di maturità);

2) il sentimento diffuso a fine anni '70 del 900 era quello di uno stato allo sfascio, corrotto e senza rimedio, tale sentimento è ben analizzato dalla recente e bellissima biografia Di Moro realizzata da Mastrogregori;

3) Aldo Moro veniva considerato soporifero nelle comuni discussioni e anche personaggi come Enzo Tortora affermavano che "spacciava il fumo per pensiero";

4) lo stesso Presidente Pertini, eletto proprio per cercare di rimediare al punto più basso toccato dalla Repubblica italiana (questo è quello che si pensava all’epoca) venne sottoposto a durissime critiche per il suo comportamente ecessivamente informale e…...populista;


5) Quella di Gaber è un invettiva (scritta da Luporini) non un saggio storico e, come tutte le invettive, colpisce dove fa più male (come già era successo con "Polli d'allevamento")  e se ne frega del politicamente corretto. Quella uscita fu un cazzotto nello stomaco di fronte alla riappacificazione dopo il rapimento e l'uccisione di Moro.

Riappacificazione che nascondeva in realtà sentimenti assai diversi.

Mi meraviglia che venga usata un'invettiva per analizzare, a posteriori, un periodo storico e presumere di poter pensare oggi come si pensava 40 anni fa.

Si tratta di un anacronismo che inficia la comprensione di quello che è accaduto. Ma non solo, inficia anche la possibilità di vedere il presente rimandano ad un’epoca (che come tutte le epoche passate non potrà più tornare) che, per chi la visse, non era per nulla dorata.

Compito dello storico è certo quello di analizzare le derive e i risultati di determinate scelte e decisioni politiche (e Gotor lo fa).

Ma non può essere certo quello di mettere i pensieri di oggi sul passato, su quel passato stesso.

Mughini invece credo cha ami ricordare un tempo in cui era giovane e, anche lui, gridava contro i “trenta anni di cancrena italiana”.

 
 
 

LA MAPPA NASCOSTA

Post n°132 pubblicato il 07 Dicembre 2019 da jonwoo1998

Premetto che, a differenza di molti, considero Marco Revelli come uno dei sociologi più interessanti e preparati.

Ho poi un particolare culto del padre, Nuto, per cui anche solo il cognome tende a smussare possibili criticità.

Sempre stimolante, soprattutto quando, con la consueta pacatezza e serietà “torinese” propone idee, mappe, ricostruzioni, con cui sono quasi sempre assai in disaccordo.

Per questo ritengo lo stimolo ancora più importante e necessario.

Ho letto quasi tutta la sua produzione ed ho apprezzato (ovviamente urticato) anche testi da “indice dei libri” quale “Oltre il Novecento” che provocò una diatriba lunghissima nella sinistra italiana degna di altri tempi imperniata su questioni contenutisticamente rilevanti.

Uno scontro di “scuola” che oggi pare veramente di un’altra era. Sono trascorsi 20 anni.

Ho anche considerato molto interessanti i 3 volumi dedicati alla fine della politica e al populismo (“Poveri. Noi” “Finale di Partito” “Populismo 2.0”) e pure “Non ti riconosco” appartiene alle opere da leggere.

Tuttavia, se la sua analisi dello smottamento delle classi sociali, a volte anche estremamente liquidatoria, è senz’altro frutto di analisi approfondite e restituisce panorami interessanti, la sua ricostruzione del populismo è apparsa fin da subito abbastanza lacunosa, incapace di definire un oggetto che lui stesso definisce “multiforme” ma del quale indica solo gli aspetti negativi.

Certamente è conscio che questa deriva proviene dall’abbandono da parte della sinistra del popolo che essa rappresentava ed ha ben chiare (è il suo mestiere) le mappe dell’abbandono.

Tuttavia, nella sua definizione del populismo, nella “nebulosa indefinibile” come dice, a me pare che inserisca, come contraltare, di nuovo, quello che la “sinistra” degli ultimi 30 anni ha ritenuto essere l’unica qualità rimasta: ovvero quella di essere dalla parte giusta della storia a prescindere da tutto, anche dalla realtà.

La famosa superiorità morale. Senza altri elementi in grado di quantificare e qualificare questa superiorità.

E quindi la sua presentazione dell’ultimo libro “La Politica senza la Politica” alla quale ho assistito alle Oblate, qualche settimana fa, è divenuta una summa di molte “cose comuni” , devo dirlo, non all’altezza delle sue doti retoriche ed esplicative.

Dove si è indicato nel linguaggio “feroce” (che pure è vero) sdoganato da Salvini qualcosa che “10 anni fa non c’era”.

Ma se la memoria non mi fa difetto, proprio c.a 10 anni fa, negli stessi luoghi, si definiva Berlusconi, né più né meno come l’erede di Mussolini e si diceva che “Craxi, in fondo era meglio”.

E dove si è analizzato il linguaggio “incattivito” degli italiani sui social di fronte alle tragedie dei migranti.

Invero ben poca cosa per le analisi di elevatissimo livello alle quali Revelli ci ha abituato (nel bene e nel male).

Per finire con un richiamo alla lungimiranza di Papa Francesco e alla mancanza di pietas in una parte degli Italiani.

Non ho nulla contro Papa Francesco, anzi, ad averne e tanto meno contro la pietas, della quale spero di essere mediamente fornito, ma temo che la “politica senza politica” si incarni anche in analisi come queste, al di là della ragione.

Di fronte alla pietas e al “combattere il male”, non resta che arretrare e chiudere la porta, perché non c’è molto altro da dire.

Non c’è spazio né per la politica né per riflessioni ponderate o analisi ragionate.

Io continuo a pensare che la politica invece avrebbe altri compiti e forse c’è una intera parte della sinistra “che fu” che non riesce più a vederli, se non rimpiangendo una età che non tornerà più, ma assai poco in grado non solo di scandagliare la realtà che ha davanti, ma perfino di vederla.

 

 
 
 

IL PRIMATE NAZIONALE

Post n°131 pubblicato il 28 Settembre 2019 da jonwoo1998

Sono anni che ci interroghiamo  sul perché la rappresentanza politica dei ceti popolari e medi abbia cambiato di segno, spostandosi verso lidi "populisti" e c.d "sovranisti" (virgolettati perché sono parole senza alcun senso reale). Lo abbiamo fatto, almeno alcuni di noi, senza demonizzare o sminuire il valore di chi ha  creduto, in massa, di avere risposte da lidi diversi da quelli che erano stati battuti negli utlimi tempi.  

Abbiamo polemizzato contro chi trattava gli elettori o gli attivisti di forze politiche, che pure non ci piacevano e non ci piacciono,  da idioti o analfabeti (addirittura invocando la fine del suffragio universale), essendo convinti che non se si conosce l'avversario non sarà neppure possibile strappargli quella rappresentanza che consideriamo giusto riprenderci, ma non prima di aver cambiato di segno alle politiche che contraddistinguevano la nostra parte.

Non ci siamo accodati con le ricostruzioni farsesche che hanno contraddistinto 25 anni di antiberlusconismo, dove si raccontava che questo accadeva solo perché la televisione aveva rincitrullito la popolazione italiana, (dalla quale evidentemente alcuni di noi non si sentivano parte o si sentivano superiori) la p2, la p3, Licio Gelli, ecc..., o con l'antisalvinismo dove si distribuivano certificati di idiotismo a destra e a manca, mancando così anche di rispetto a milioni di elettori (la stessa cosa avveniva fino a pochi giorni fa con i 5s) e si ricostruiva anche questa esperienza tutta nell'ottica di un complotto, mettendo insieme Trump-Putin-il fascismo ma mai andando a cercare la sostanza politica che aveva portato allo spostamento di cui sopra.

Misteriosamente, quando invece appare all'orizzonte un movimento complesso, confuso, contraddittorio (come tutti i movimenti) e pieno di tutti i rischi pensabili e immaginabili, ma certamente di massa, che potrà durare o non durare, che farà schifo oppure no,  allora tutta questa attenzione alla complessità e "delicatezza" scompaiono e al suo posto arriva la certezza piena che si tratta di un complotto dei poteri pluto-giudaico-massonici che hanno teleguidato masse di persone  come nel Manchurian Candidate. 

Arriva dagli stessi che, come me, dicevano di guardare con attenzione alla crescita della Lega. 

Allora, mi chiedo ingenuamente, questi non studiavano le mosse dell'avversario per comprenderlo e poi combatterlo, ma erano da quella parte. 

Il loro non era studio ma apologia.

E, allo stesso modo, quelli  che trattano i ragazzi in piazza questi giorni come idioti strumentalizzati ragionano esattamente come quelli che prendevano per i fondelli la rozzezza dei leghisti.

Addirittura, dopo decenni di drenaggio ideologico si vorrebbe che ci fosse una coscienza politica matura, tale che non l'avevano neppure i bolscevichi nel '17, ai quali, a dire il vero, interessava soprattutto non morire più di fame e di guerra. E non l'avevano neppure i compagni di 50 anni fa, sulla cui consapevolezza politica molto ci sarebbe da dire. 

E dove sarebbe poi il partito di massa in grado di "indirizzare" o le realtà attive per  far "levitare" questo movimento? A volte davvero un bel tacer.....

Scoperte le carte, si scoprono i posizionamenti. In un paese democratico ognuno vota come vuole e da parte mia c'è e resta il massimo rispetto di ogni posizionamento politico che non sia eversivo. 

Basta non fare finta di essere da un'altra parte. Perché lì, il rispetto finisce. 

 
 
 

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