Creato da: Blog_Magazine

Blog Magazine

Il Blog Ufficiale della Community di Libero

Area personale

- Login

Cerca in questo Blog

 
trova
 

Archivio messaggi

  << Luglio 2024 >>  

Lu Ma Me Gi Ve Sa Do

 1   2   3   4   5   6   7 
 8   9   10   11   12   13   14 
 15   16   17   18   19   20   21 
 22   23   24   25   26   27   28 
 29   30   31         

Guarda le immagini del Mese

I miei Blog Amici

Leggi e diffondi

Scrivi anche tua.gif
 
Citazioni nei Blog Amici: 397

Chi può scrivere sul blog

Solo i membri di questo Blog possono pubblicare messaggi e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.

RSS (Really simple syndication) Feed Atom

BlogMagazine

Top 100 Italia di BlogItalia.it e Technorati

Cunctator

Free Hit Counter Code

 

Messaggio N° 2387 14-10-2007 - 22:24

Questa penna su questa carta.Parole e immagini allo specchio di Frida Kahlo.

Determinare
i confini fra i generi, è un’operazione spesso rischiosa e non sempre
necessariamente lecita.
Del
resto è proprio degli intenti di questa rivista percorrere quei sentieri
incerti che si inerpicano fra le lande poco battute di questi incontri fra arte
e letteratura. L’appassionato saggio di Maria Cristina Secci, L’Autoritratto
letterario di Frida Kalho si colloca di diritto all’interno di questi nostri
percorsi sinestetici. Cominciai ad interessarmi alle opere della Kahlo in
occasione di una bellissima mostra ospitata nella splendida cornice di Castel
dell’Ovo a Napoli, nella primavera del ’97: Passione per la vita. La Rivoluzione dell’Arte
Messicana nel XX Secolo. Un percorso trascinante in cui la forza e la potenza
di un arte spesso mai vista in Italia riusciva a condensare millenni di storia,
di lotte, di magia in un solo secolo e in un solo luogo. Fu proprio in questa
occasione che rimasi affascinato dalle opere di Frida di cui mi colpì
soprattutto la Columna
Rota del 1944, forse sintesi emblematica di tutta la vita e
l’opera della pittrice messicana, segnata da una libertà di stile che si muove
fra consapevolezza di sé e ricerca di identità, fra magia e realtà, fra Eros e
Thanatos, fra fantasia e dolore, fra simbolismo e classicismo. Questo percorso
di passione, oltre che nella pittura ufficiale, lo ritroviamo condensato nelle
171 tavole del Diario composto fra il 1942 e il 1954, oggi custodito nella casa
azul in una vetrina di cristallo.
Se
fino alla fine degli anni ottanta, è solamente un pubblico di nicchia che si
interessa al suo personaggio, il decennio successivo vede la nascita del mito
di Frida che scoppia a New York proprio in occasione della pubblicazione
dell’autobiografia, catapultando la pittrice d’improvviso nella storia dell’arte,
tanto che nel 1992 un’intera sala del Moma ospita una decina di sue opere in
occasione della grande esposizione Latin-American Artists of the Twentirth
Century. La Secci,
cagliaritana di origine ma messicana di adozione, si immerge senza indugi nella
difficile analisi di un’Opera totale (perché è di questo che si tratta) e ne
restituisce una sintesi sicuramente originale e moderna rispetto a quella che
la critica fin’ora aveva proposto. Il Diario, che nel suo complesso non si
lascia ingabbiare nei canoni di alcun genere preciso, ma che liberamente si
prende il lusso di percorrerli tutti (diaristico, intimistico, autobiografico,
retrospettivo...) ci viene restituito come un collage incauto, un assemblaggio
talvolta poco coerente di elementi diversi tra loro, dove c’è posto sia per la
scrittura che per la pittura, sia per i colori che per la poesia, il tutto
legato da continui richiami, sovrapposizioni, giustapposizioni che riescono a
dare un senso a tutta l’opera.
Maria
Cristina Secci riesce a restare in equilibrio sul filo dei generi e delle
definizioni, suggerendoci quella più appropriata, Autoritratto letterario,
argomentando con precisione e dovizia di esempi la sua tesi: il risultato è
molto simile a certi temi della pittura ufficiale. Le grafie così associate
svelano la voracità e le tonalità delle sue parole e sembrano radici, rami che
s’intrecciano, un reticolato dentro cui scorre la linfa, il sangue il colore.
Interessante
è anche la ricerca di affinità fra il Diario con la forma popolare dell’ex
voto: Frida Kahlo, durante la sua vita, ne collezionò oltre un centinaio di
esemplari e in alcuni casi sembrerebbe appropriarsi dei contenuti, dei
materiali e degli stili tipici di questa forma di citazioni grafico-pittoriche
per poi rielaborarli di volta in volta secondo le proprie esigenze: la storia
accidentata della sua malattia, della sua esistenza, diviene la storia ideale
di un suo personale ex voto cartaceo. Del resto lo stesso Diego Rivera,
senz’altro l’interlocutore privilegiato di quest’opera, sosteneva che il
retablo di Frida dipinge sempre la sua stessa vita.
L’ultimo
capitolo di questo intrigante percorso fra le sinuosità di quest’opera
fintamente privata è dedicato, invece, allo specchio e al rapporto quindi con
l’io e con il suo doppio, leit motiv del lavoro della Kahlo.
L’artista
sembra staccarsi in continuazione di dosso la sua immagine come una sindone da
un Cristo martoriato, lasciando impronte di sé e del suo sé in un continua
rielaborazione enantiomorfica dell’autoritratto, sia nella pittura ufficiale
che in quella letteraria. Lo specchio è soltanto un mezzo funzionale al suo
obbietivo pittorico, che le restituisce la possibilità di indagare il suo corpo
laddove con gli occhi non sarebbe potuta arrivare, imprimendolo, falsificandolo,
amplificandolo, lasciandoci per sempre l’immagine di una Frida riflessa nel
riverbero del suo specch-io.
G.F.

Scritto da: con_fine_arte



© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963