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Messaggio N° 1639 25-09-2005 - 08:02

Virgilio, il poeta mago

Quando si comincia a parlare della storia di Napoli è inevitabile che il punto di partenza sia Publio Virgilio Marone, quasi come se ci si trovasse davanti alla rappresentazione perenne di un mito. Virgilio trascorse nella città partenopea buona parte del suo tempo anche se dalla popolazione locale venne accolto come un mago più che un poeta. Il giovane scrittore alla città di Roma dove tornava malvolentieri, preferì la quiete della collina di Posillipo. In nessuna epoca archeologi ed esperti di storia dell’arte sono riusciti a scoprire reperti o a darci notizie sicure sulla villula di Posillipo nella quale Virgilio si stabilì come ospite di Sirone. Non se ne conosce l’esatta ubicazione, ma si sa che era frequentata da numerosi discepoli, fra i quali il poeta Vario Rufo e dall’altro filosofo epicureo Filomeno di Gadara.. Di sicura collocazione - anche se non tutti sono d’accordo nell’identificarlo come sepolcro del poeta - è invece la sua tomba, che proprio secondo la sua volontà si trova lungo la strada verso Pozzuoli. Si tratta di un monumento di età augustea posto sulla sommità di un piccolo monte. Dove attualmente si trova una grossa quercia un tempo vi era un albero d’alloro che, si diceva, attingesse la sua forza vitale dalle ceneri stesse del poeta.


L’antica leggenda popolare dell’alloro trova conferma nella traduzione dal latino della lapide posta accanto al sepolcro scritta da Sebastiano Bartoli nel 1688:


Mantova mi generò, la Calabria mi rapì alla vita,
ora mi trattiene Napoli. Cantai i pascoli, i campi e gli eroi.
Ecco le mie ceneri: l’alloro che qua è la fiorisce
sul suolo di Posillipo fa corona alla mia tomba.
Se pure la tomba rovinasse, le ceneri, generatrici
di alloro, custodiranno qui in eterno il ricordo di Marone.


L’alloro della leggenda è dunque il segno magico di Virgilio sulla collina di Posillipo. L’uomo che era nato sotto il simbolo dell’albero caro ad Apollo (sempre secondo la leggenda sua madre, prossima al parto, sognò di generare un ramo di alloro che al contatto con la terra mise radici e crebbe all’istante assumendo la forma di un albero maturo, ricco di frutti e fiori) giaceva ora sotto di esso, anzi era lui stesso trasmigrato in qualche modo nell’albero delle fronde d’oro, trasferendo le sue capacità magiche alle stesse foglie ed alla corteccia dell’albero. Racconta la tradizione, infatti, che chiunque volesse ottenere una grazia particolare doveva masticare qualche foglia dell’albero del santo, pianta dalla forza vitale inesauribile e per ogni foglia strappata ne rinasceva subito una nuova è più bella.


La venerazione per la tomba virgiliana ha sfidato i secoli ed è giunta fino ai nostri giorni. Agli inizi del secolo, le foglie dell’albero del poeta (anche se sostituite da una più “volgare” quercia) erano richieste persino dagli italiani d’America.


Nel corso dei secoli la storia ci ha fatto conoscere il Virgilio poeta delle Egloghe, delle Georgiche e dell’Eneide, mentre la tradizione popolare ci ha - al contrario - mostrato un Virgilio che ha prodigato alla città diletta fra tutte, i miracoli del suo potere magico.


Egli abitava sulla sponda del mare, dove si incurvava il colle di Posillipo, ma errava ogni giorno per le campagne di Baia e Cuma. Amava girare per le colline che circondavano Partenope, fissando nella notte le stelle lucide e parlando loro con il suo strano linguaggio; egli errava sulle sponde del mare tenendo l’orecchio all’armonia delle onde, quasi che esse dicessero a lui parole misteriose. Allora – si dice- che la città era molestata da un gran numero di mosche, mosche che si moltiplicavano in così grande numero e davano fastidio, da farne fuggire i tranquilli e felici abitanti. Virgilio, per rimediare a così grave sconcio, fece fare una mosca d’oro e dopo fatta, le diede vita con parole magiche; la mosca d’oro cominciò a volare, di qua e di là, ed ogni mosca vera che incontrava, faceva morire. Così in poco tempo furono distrutte tutte le mosche che affliggevano la bella città di Napoli. Altro miracolo fu quello delle paludi, che con la loro aria malsana producevano febbri, pestilenze ed altre morie. Virgilio le asciugò e in poco tempo sorsero case e giardini e l’aria divenne più pura che mai. Giovandosi del suo potere infinito, un giorno salì sopra una collina e chiamò alla sua obbedienza i venti ed ordinò al Favonio, che spirava nella città nel mese di aprile e col suo caldo soffio bruciava le piante e i fiori, di mutare direzione: e la flora primaverile crebbe più bella e rigogliosa. Nel quartiere di Napoli – chiamato oggi Pendino – sembra annidasse un temibile serpente che aveva già strozzato molti che l’avevano combattuto. Chiamato Virgilio in soccorso, egli si avviò da solo nel luogo dove il serpente si annidava e con formule magiche lo addormentò per l’eternità. Da allora nessun altro rettile fuoriuscì dalle caverne e cloache della città. O ancora il miracolo dei cavalli colpiti da un morbo mortale; Virgilio fece fondere un cavallo di bronzo, ed ogni cavallo malato che faceva tre giri intorno alla statua veniva incredibilmente guarito.


Dunque Virgilio, poeta o mago? Nonostante la favolosa tradizione lo delinea nelle cronache delle magia, vi è solo un Virgilio, ed è proprio il poeta. E’ forse la più grande magia è stata la poesia del suo spirito, con le sue lunghe peregrinazioni nella natura, dove egli acquisì un amore profondo per i campi che si stendevano all’infinito sotto il sole, dei prati verdeggianti, dei boschi oscuri e silenziosi della sua Campania Felice (Felix). Il poeta che cerca ed interroga ogni angolo della natura; il poeta che parla alle stelle tremolanti di raggi nelle notti estive; il poeta che ascolta il ritmo del mare in un luogo incantevole, lontano dal clamore (l'etimo di Posillipo è "pausa"). Insomma il poeta che ha descritto il mondo napoletano originariamente pastorale, pervaso da una nota di dolce e sfumata malinconia, congeniale alla sua personalità altrettanto dolce e malinconica.


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Articolo pubblicato da: ros1970



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