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Messaggio N° 1686 11-11-2005 - 11:02

MAMMA, NON C’È POSTO PER TE


Si moltiplicano gli strumenti per agevolare il tempo del lavoro con quello della famiglia così come i progetti per fare rientrare le madri in azienda, ma qualcosa sembra non andare per il verso giusto. Sì perché avere dei figli sembra essere ancora un piccolo peccato da espiare. Ancora di più se si tratta di superare un colloquio di lavoro, soprattutto se si è donne. E' vero infatti che le madri continuano a essere penalizzate anche nel momento in cui i selezionatori devono decidere se sono adatte o meno per una determinata occupazione. Una penalizzazione non spiegabile con alcun altro parametro se non quello di aver dato alla luce un bimbo.


Due ricercatrici della Cornell University hanno condotto un esperimento per capire se le neo-mamme ricevevano meno offerte di lavoro perché non capaci o solo perché avevano deciso di dare alla luce una nuova vita e se la loro retribuzione più bassa era dovuta alla scelta di dedicare più tempo (emotivo e pratico) ai figli.


Per vedere quanto la maternità incidesse sulle opportunità di lavoro hanno deciso di realizzare un test di laboratorio le cui cavie erano nient’altro che selezionatori di professione ignari del test cui erano sottoposti. A ciascuno di loro è stato chiesto, dietro compenso, di valutare dei candidati per una posizione medio-alta nell’area marketing di un’azienda di comunicazione.

Ebbene le madri sono state classificate da tutti i selezionatori come meno competenti, meno impegnate, meno idonee per eventuali promozioni e poco adatte a ricoprire ruoli di responsabilità. Questo pure se le candidature erano concretamente di pari grado.


Al contrario, per i selezionatori, gli uomini che hanno dei figli hanno qualità tali da farli preferire ai non-padri. Insomma il fatto di avere figli incide sul processo di selezione in modo completamente diverso a seconda che si tratti di donne o di uomini.

Nel dettaglio: le candidate madri sarebbero meno competenti di un 10% rispetto alle candidate non madri, si attende da loro un impegno inferiore del 15% rispetto a quello delle candidate senza figli. In termini di stipendio gli verrebbe offerta una retribuzione di circa 9 mila euro annui lordi inferiore, pari al 7.4%, a quanto proposto alle colleghe non madri. E soprattutto solo una candidata-madre su due viene proposta per l’assunzione mentre per le donne non madri la percentuale arriva all’87 per cento.


Quali sono le ragioni? Le due ricercatrici, pur attente a non ammettere apertamente una discriminazione nei confronti delle madri, sono convinte che nella mente dei selezionatori avviene, al momento di decidere se assumere o meno una persona, il confronto tra due stereotipi: il “lavoratore ideale” da un lato e la “madre lavoratrice” dall’altra. Secondo le autrici si avrebbe a che fare con le “performance attese” dove la produttività si ricollega alle dimensioni della capacità (o abilità) e dello sforzo. E quello della maternità, secondo questi parametri, è uno status svalutato negli ambienti di lavoro. Come se fosse un peccato da espiare o una macchia da celare. Nella mente di molti esse sarebbero meno intenzionate a mettere tutte le energie in compiti professionali perché quello di madre sarebbe già un compito impegnativo tanto da divenire incompatibile con quello di brava professionista.


Il lavoratore ideale sarebbe quindi un soggetto libero da qualsiasi altra incombenza, preoccupazione, interesse. Ossia colui che mostra il maggiore sforzo nel lavoro facendo capire che sacrifica tutto il resto per quell’impiego. Il lavoratore ideale è un uomo o una donna bidimensionale e il tempo che dedica al lavoro (al di là della sua produttività) è la misura unica di questa devozione. Lavorare fino a tardi ogni giorno, lavorare ogni weekend. Peccato che tale connessione implicita, concludono le ricercatrici, non è necessariamente vera. In particolar modo nei nuovi contesti organizzativi.



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