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Messaggio N° 1803 29-03-2006 - 10:44

Il libraio di Selinunte di Roberto Vecchioni


Nel regalarmi questa breve favola di Roberto Vecchioni, mia sorella mi ha scritto di non lasciarmi scoraggiare da qualche banalità che serpeggia tra le sue righe perché girata pagina c’è una sequenza di parole che restituisce alla memoria immagini “semplicemente” belle.

 “Il libraio di Selinunte” è proprio questo.

In una sessantina di pagine, Vecchioni ci racconta di un paesino siciliano spazzato spesso dal vento, che insieme a profumi tipici della macchia mediterranea (salvia, menta, olivo e rosmarino) reca anche un’atmosfera di quiete, di fatata immobilità del tempo, che fanno sembrare Selinunte “un angolo di mondo senza male”. La verità è invece diversa perché l’animo umano è spesso “indifferente, ipocrita ed egoista”.

E’ in questa atmosfera che compare, come portato dal vento tanta è leggera la sua figura, uno strano e buffo libraio che non vende libri ma li legge ad una platea inesistente. Questo finchè, pur nel proprio timore, un piccolo ascoltatore si lascerà affascinare da quella voce narrante che propone pagine di Pessoa, Manzoni, Sofocle, Tolstoj ed altri. 

Nicolino (il piccolo ascoltatore) sarà l’unico che “sopravvivrà” alla scomparsa delle parole (da intendersi anche come “memoria” e come “conoscenza”) da Selinunte, fatto che costringerà tutti a adottare forme nuove di comunicazione alla riscoperta di un’immaginazione tanto emarginata in precedenza.


Si può vivere senza parole? Sembrerebbe di no! Tuttavia nel registrare questa sentenza ognuno verrà invitato a farsi questa domanda e trovare una propria risposta. Una di queste risposte potrebbe anche essere il silenzio. 


Il silenzio non è poi tanto male. Dentro un silenzio spesso si nascondono milioni di parole e di intenzioni.


La verità è che siamo abituati alle parole. Questo è dovuto all'esigenza di appurare, di trovare conferme. Tante sensazioni che esprimiamo in linguaggio dovrebbero, invece, essere affidate alla comprensione altrui attraverso il silenzio. Le parole, infatti, spesso non sono solo inutili ma anche corrotte. Siamo noi uomini che le abbiamo rese tali. Siamo noi uomini che abbiamo sublimato la menzogna. Noi uomini che abbiamo imparato a mentire anche nei gesti.


Nel silenzio si nasconde una possibile verità. Come la verità, del resto, il silenzio non è mai univoco. Non si tratta, però, di un baluardo di ambiguità. Ambigua può essere solo l'interpretazione altrui. L'interpretazione è tuttavia una consapevolezza personale. Non si dovrebbe mai provare ad interpretare gli altri.


E’ opportuno non fare del silenzio una via di fuga (come spesso si usa fare anche con l’uso smodato delle parole) e provare a renderlo un "puro" mezzo di comunicazione, perchè il silenzio ha una sua purezza che nulla può sporcare. Vecchioni non me ne vorrà se pur apprezzando la sua favola e riconoscendo il valore della parola, attribuisco un profondo valore nel silenzio che, come cantavano ad un San Remo gli "Aeroplani Italiani", è d'oro.


Un libro da non perdere, dalla penna di un immenso cantautore italiano.


Welch

 



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