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Messaggio N° 1555
26/05/2005 - 21:01:41

La terapia cognitiva nella depressione - 1^ parte

La terapia cognitiva (TC) è un approccio attivo, limitato nel tempo, strutturato, flessibile, orientato alla promozione di insight, umanistico, utilizzato per trattare una varietà di disturbi psichiatrici quali, ad esempio: depressione, ansietà, fobie, ossessioni.Il fine della TC è quello di risolvere i problemi individuati dal paziente attraverso un accordo tra terapeuta e cliente: è il cliente che ne definisce i limiti, è il terapeuta che sorveglia il corretto uso del metodo.


Alla base della concezione teorica della TC vi è la convinzione che l'affetto ed il comportamento dell'individuo sono largamente determinati dal modo in cui questi struttura la propria visione del mondo e di sé. Le cognizioni sono basate su attitudini o assunti di base (schemi), sviluppati attraverso precedenti esperienze che si organizzano gerarchicamente in costrutti relativamente stabili e funzionali. Ne consegue che ciò che viene oggi inteso per attività cognitiva è qualcosa di molto più ampio dell'attività di pensiero razionale e cosciente come è nell'accezione del senso comune. L'attività cognitiva è l'attività automatica e pervasiva di una struttura profonda generatrice di significato.


Fallimenti e invalidazioni sono presenti nella vita di ciascuno, non determinano necessariamente l'insorgenza di sintomi o disturbi, ma sono spesso l'occasione per lo sviluppo della complessità del Sé. Nei fenomeni psicopatologici invece la sofferenza si mantiene stabile nel tempo e si radica in un contesto di condotta coerente che sembra organizzarsi in modo da perpetuarla. È come se il sistema permanesse in uno stato di continua transizione senza che si produca un nuovo equilibrio. Nel "paradosso nevrotico" il cambiamento della visione sintomatica di sé si accompagnerebbe a intense emozioni (ansia, disperazione, rabbia…).


Prendiamo, ad esempio, una persona la cui costruzione di sé come "amato" sia strettamente e rigidamente correlata con la costruzione di sé come "efficiente, attivo e allegro". Supponiamo che questa persona subisca una perdita con conseguente tristezza e depressione. Quest'ultima invaliderà la costruzione di sé come efficiente, attivo e allegro, ma se questi schemi sono strettamente connessi con l'essere amato la loro invalidazione veicolerà anche il significato di "non amato". A questo punto egli prevederà la perdita dell'amore delle persone vicine, anticipazione che alimenterà nuova depressione e così via. Un altro esempio è quello di una persona che interpreta le sue esperienze in termini di competenza o adeguatezza, il suo pensiero può essere dominato dallo schema: "Se non faccio perfettamente ogni cosa, sono un fallimento". Conseguentemente, egli reagisce alle situazioni in termini di adeguatezza, anche quando esse non sono in rapporto al fatto di essere, o non essere competente.


Che cosa è la depressione dal punto di vista della terapia cognitiva
La persona che sviluppa un disturbo depressivo presenta frequentemente un'organizzazione di base caratteristica attraverso la quale costruisce un'immagine di sé, un proprio stile relazionale e delle aspettative nei confronti degli altri significativi che la portano ad un percorso di vita che si struttura su sentimenti di inadeguatezza personale e solitudine. Il soggetto si percepisce, con diversi gradi di consapevolezza, come incapace di avere amore e attenzione per i propri bisogni più intimi e personali, costretto ad ottenere attenzione ed accettazione solo attraverso prestazioni socialmente apprezzabili anche a costo di doversi impegnare con fatica in compiti e ruoli estranei ai propri desideri e alle proprie inclinazioni, destinato ad ottenere indifferenza o ostilità nel caso mostrasse la propria autentica natura.
Talvolta, soprattutto in relazione ad eventi di grande risonanza emotiva, percepiti come conferma del proprio destino infelice, si manifestano profonde crisi personali, che possono arrivare ad avere una rilevanza clinica.


Occorre rilevare che, sebbene l'organizzazione depressiva sia quella più frequentemente in gioco nel caso si manifesti un disturbo dell'umore, essa va distinta dalla sindrome depressiva.


L'organizzazione depressiva
Definisce un modo particolare di essere del soggetto che ordina stabilmente il flusso dell'esperienza, le attribuzioni di significato e le conoscenze personali in un modo che è vissuto in maniera sintona dal soggetto, vale a dire che egli lo vive come l'unico modo possibile e corretto di spiegarsi quanto avviene nella sua esistenza. Questo porta ad un equilibrio personale e ad una modalità di adattamento alla vita sociale particolari, che una volta raggiunti, non necessariamente si associano a sentimenti di intensa sofferenza.


La sindrome depressiva
Indica l'emersione, generalmente episodica, di intense emozioni legate a vissuti di colpa, vergogna o rabbia permeati da un pervasivo senso di tristezza e disperazione. Questi sentimenti negativi interferiscono pesantemente con la visione del mondo, della propria storia passata e del proprio futuro e con le capacità cognitive, operative e di relazione sociale. La crisi depressiva determina pertanto una rottura dell'equilibrio del soggetto che può evolvere verso un cambiamento che ha come esito l'assestamento su un equilibrio più funzionale (crisi utile) o verso il collasso della propria visione del mondo e del senso dell'esistenza.


I disturbi depressivi non vanno visti unicamente come vengono descritti dalle classificazioni cliniche più in voga, caratterizzati da una condizione di costante depressione del tono dell'umore, di perdita degli interessi, di rallentamento psicomotorio e di isolamento sociale. Vanno piuttosto intesi come un modo regolare di attribuire un senso negativo agli eventi della vita, basato su una peculiare visione di sé e del mondo, costituitasi a partire dalle proprie esperienze più significative a cominciare dai rapporti di attaccamento vissuti nell'infanzia.


Leggi la 2^ parte >>>


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Articolo pubblicato da: lucialyssasonoio

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