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Messaggio N° 1581
29/06/2005 - 10:29:39

Giustizia dove?

Da anni lavoro in una di quelle comunità che credono nelle persone, che credono che una persona che ha fatto uso di droghe possa un giorno reintegrarsi nel sistema e vivere una vita piena e felice, come nelle favole a lieto fine. Certo, è un lavoro difficile, le statistiche dicono che solo una persona su dieci arriva a fine programma in una comunità e di questi il cinquanta per cento circa ricade nella droga. Ma non è di statistiche che voglio parlare. Voglio parlare di un ragazzo, che per questioni di privacy chiamerò con un nome fittizio, e della sua storia.


Claudio arriva da noi nella primavera del 2002, messo male come tanti altri. È un ragazzo del sud, non più giovanissimo, ma è la sua prima vera esperienza in comunità. Dice che è stanco di non vedere sua figlia crescere. Poco alla volta, passata l’astinenza, Claudio si rimette in forze e qui si inizia a capire che ha intenzioni serie. È una persona colta, ha molti interessi, segue le regole e si fa un sacco di domande, cerca di prendere tutto quello che la comunità riesce a dargli. In breve tempo diventa una figura carismatica nel gruppo, rispettata non per la sua forza ma per il suo coraggio di cambiare vita a quarantadue anni.


Così passa il tempo, fino al 2004 quando deve fare un processo per un reato commesso nel 1998 per "effrazione con tentativo di furto". Quando mi racconta come è andata la storia quasi non ci faccio caso. Mi dice che in realtà, una sera d’estate, era entrato nel cortile delle scuole elementari per farsi, poi, notando che i bidelli avevano dimenticato una finestra aperta, aveva deciso di entrare, per non rischiare di farsi vedere. Finito di farsi, si mette in tasca i "ferri del mestiere" e, non ben conscio di quello che stava facendo, accende la luce del corridoio per trovare l’uscita. In pochi minuti arrivano i carabinieri e lo arrestano. Lo rilasceranno la mattina dopo.


Al processo chiede gli affidamenti in comunità e, dopo poco tempo, all’assistente sociale del Centro Servizio Sociale Adulti (CSSA) di zona viene chiesto di svolgere i primi colloqui di conoscenza con lui e di relazionare al giudice.


Lui, nel frattempo, nel marzo 2005 finisce il programma all’interno della comunità che, volontariamente, ha prolungato. Trentasette mesi anziché diciotto, "per sicurezza".


Il dieci maggio 2005 la doccia fredda: respinta l’istanza. Nelle motivazioni risulta che il ragazzo è una persona pericolosa in quanto non era il suo primo reato, risulta che le relazioni positive del CSSA non sono attendibili in quanto, secondo il giudice, lui ha abilmente abbindolato l’assistente sociale per usufruire degli affidamenti. Tanto meno le relazioni più che positive della comunità sono servite ad avvalorare quelle del CSSA.


Così, per un reato commesso nel 1998 ora Claudio deve farsi otto mesi di carcere.


Sono arrabbiato. Sono sempre stato il primo a dire che chi sbaglia deve pagare per i propri errori, ma bisogna sempre valutare la situazione ed il momento per trovare una pena adatta, tanto più quando il sistema giudiziario italiano viene definito come rieducativo e non solo punitivo.


Le mie preoccupazioni sono molte, soprattutto nel vedere andare in carcere un ragazzo che aveva moltissima voglia e moltissime chanches di tornare a godersi la vita nel modo più sano.


E quello che mi fa più arrabbiare è che una giustizia che dovrebbe essere uguale per tutti, ancora una volta mette in carcere un poveraccio, mentre i veri ladri e i veri assassini (quelli con i soldi) godono di privilegi che nemmeno io, libero cittadino, mi sogno.


Ed è qui che mi domando: "giustizia dove?"


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Articolo pubblicato da: yoshimitzu

Inviato da: Blog_Magazine Commenti: 0



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