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Messaggio N° 1607
07/08/2005 - 09:22:39

Gli OGM: questi sconosciuti - 3^ parte

Digiland vi segnala il Forum
"Dalla parte della natura"
per discutere di questo argomento!


Torniamo a noi e alla nostra chiacchierata. Lei che tipo di rapporto ha con gli OGM? Come ricercatore, ma soprattutto come padre, lei non è preoccupato del fatto che parte dell'alimentazione dei suoi figli abbia di base OGM. Mi dica, ne coltiva nel suo giardino? Li mette in tavola??


Non li coltivo in giardino perché a me servono dei dati sperimentali e per questo ho bisogno di agronomi esperti e di campi sperimentali. Ne ho mangiati diversi e li rimangerei volentieri soprattutto nella forma di polenta, farina di grano duro. Non li metto in tavola perché in Italia ne è di fatto vietata la vendita. Qualche mese fa una ditta pugliese aveva annunciato la commercializzazione di un olio di soia OGM al prezzo di 85 centesimi al litro. Quell'olio non ha mai visto gli scaffali del supermercato per la reazione delle grandi catene della distribuzione del cibo. Io l'ho cercato in vari supermercati campani e non l'ho mai trovato. In compenso ho potuto notare che i competitori di quell'olio costavano almeno 1,15€, una buona ragione per non permettere alla concorrenza di rovinare il nostro mercato senza competizione.
Non sono preoccupato degli OGM attualmente commercializzati perché hanno subito una quantità di controlli senza precedenti. Sono meno tranquillo per i futuri OGM che potrebbero arrivarci da economie aggressive emergenti che agiscono in assenza di una comunità scientifica indipendente e di Agenzie pubbliche per la Sicurezza alimentare quali quelle di cui si sono dotate l'Unione Europea o gli Stati Uniti. Preferirei insomma guidare, come Paese e come scienziato, il processo di innovazione invece di fare quello che stiamo facendo adesso ossia seguire passivamente le innovazioni proposte da altri.
Infine Lei mi chiede che tipo di rapporto ho con gli OGM. Non sono un mio ideale ed avrei preferito non dovere arrivare al punto di dover produrre OGM. Li considero appassionanti quanto lo è un appartamento in un condominio paragonato ad una villa con giardino. Il punto è che non c'è spazio per tutti per avere una villa ed un pezzo di terra da coltivare. Le produzioni agricole sono attività industriali e se vogliamo tornare alle coltivazioni di un tempo ci aspettano guerre per fame e disastri sociali di ogni tipo. Quindi a malincuore meglio il biotech che la deforestazione dell'intero globo e l'aumento dei prodotti chimici per le coltivazioni.


Al supermercato sono spesso tentato dai prodotti dell'agricoltura biologica. Lei cosa ne pensa?


L'agricoltura biologica è in gran parte una sottomarca delle grandi catene di distribuzione dei supermercati. Consuma una gran quantità di suolo, fino al 44% in più dell'agricoltura convenzionale ed oramai non c'è più terra buona. Io trovo che ha fallito nell'ideale di riportarci i profumi ed i sapori che l'agricoltura tradizionale ha spento in questi anni. Senza l'etichetta di "alimento biologico" non sarei capace di riconoscere un frutto o un ortaggio da agricoltura biologica rispetto ad uno da agricoltura tradizionale. I prezzi sono ancora molto alti e rappresenta solo il 2% di quello che mangiano gli italiani: insomma sono un cibo d'elite ed io credo si debba garantire la salubrità del 100% delle derrate alimentari soprattutto per chi ha redditi medio-bassi. Inoltre se davvero volessimo derrate biologiche basterebbe acquistare le produzioni africane che non hanno mai utilizzato alcun derivato della chimica, ma non è in questa direzione che si sta movendo l'agricoltura Europea.


Lei crede negli OGM come strumento per risolvere problemi come "fame nel mondo" o migliorare la nostra salute?


Nessuno degli OGM finora commercializzati è stato disegnato per potere affrontare o influire in qualche modo sui problemi della insicurezza alimentare. Questo non vuol dire però che non si possano immaginare tali tipi di piante ingegnerizzate, ma si dovranno usare le piante "indigene": cassava, sorgo, miglio, vigna e così via, insomma tutta roba poco commerciale, senza ritorni economici, inadatta alle grandi multinazionali su cui invece potrebbe impegnarsi la grande ricerca pubblica occidentale. Credo che il problema della fame nel mondo vada affrontato nell'ambito della cooperazione internazionale ai Paesi in via di sviluppo, garantendo ai ricercatori di quei Paesi non solo una formazione superiore nei laboratori Europei, ma anche i diritti brevettuali sulle piante che contribuiscono ad isolare. In questo modo mentre si migliora la produzione di derrate (proteggendole da parassiti o dalla siccità), si crea anche una nuova classe media intellettuale di scienziati dei Paesi emergenti che possa essere intermedia tra le caste del potere economico-politico e gli agricoltori diseredati.


Siamo giunti alla conclusione. La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato. Posso rubarle solo qualche altro minuto?


Con piacere.


Le sarà capitato di seguire qualche volta il programma di Marzullo "Sottovoce". Roberto Defez, si faccia una domanda e si dia una risposta.


Mi chiedo spesso se il futuro dell'agricoltura sarà tutto con OGM.


In verità, non credo che sarà una tecnologia che si estenderà a dismisura. Immagino invece un forte ritorno a tecniche tradizionali di incrocio e selezione che sfruttano le naturali resistenze delle piante all'aggressione da parte dei parassiti. Quello che forse a pochi è chiaro è che il 99,99% di tutti i pesticidi esistenti sono naturali, ossia normalmente prodotti dalle piante per difendersi dai loro eterni nemici, funghi, batteri, virus, insetti oltre che uccelli. Le Piante hanno tanto biotecnologia dentro e noi non la conosciamo ancora e non la stiamo sfruttando. Inoltre i costi attuali per validare e garantire da un punto di vista ambientale, sanitario ed agronomico le piante ingegnerizzate sono proibitivi e convengono solo per produzioni su vasta scala. Quindi i target più convenienti sono mais, riso, grano, colza, cotone e soia. Per il resto si dovrà fare una seria analisi costi-benefici. Io vedo il biotech come una procedura per ottenere una risposta più rapida rispetto a quelle tradizionali di incrocio che danno risultati solo dopo vari anni. Ma una volta individuata una caratteristica utile non è detto che si debba ricorrere solo al trasferimento di geni (organismi transgenici). A seconda delle condizioni si potrebbe far ricorso a geni da piante che hanno le stesse caratteristiche dei geni estranei introdotti sperimentalmente mediante ingegneria genetica, ma utilizzando geni da piante selvatiche con tecniche tradizionali di incrocio.
Ma per guidare questi processi di innovazione tecnologica servono tanti investimenti in ricerca e più fiducia negli scienziati pubblici, esattamente l'opposto di quanto avviene da decenni in Italia.


<<< Leggi la 2^ parte


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Articolo pubblicato da: Welch

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