Creato da: franco_rovati il 03/03/2009
Come stiamo cambiando.

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"La democrazia è cancerogena e gli uffici sono il suo cancro"

W. Burroughs

"La parola 'democrazia' mi destava una insofferenza fisica, come l'odore stantio dei vecchi cassetti; sentivo nell'aria un odore di muffa, di umida miseria, un odore di cavoli lessi nelle scale della nuova società come in certe vecchie portinerie, un odore di farisei."

Leo Longanesi

“[An upside down flag is] an international distress signal. It means ‘we’re in a whole lot of trouble, so come save our ass b’cause we don’t have a prayer in hell of saving ourselves.’” - Sgt Hank Deerfield, from In the Valley of Elah.

 

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Psicopatia di successo

Post n°44 pubblicato il 16 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

Dal libro “La morte del prossimo” di Luigi Zoja.

A questo punto è inevitabile una domanda: l’imprenditore, sempre più lontano dagli uomini perché sempre più occupato da contratti e battaglie legali, rischia di perdere qualità psicologiche come umanità ed empatia?

I nuovi, immensi abusi finanziari – Enron negli Usa, Parmalat in Italia – potrebbero essere, a circolo vizioso, tanto conseguenze, quanto, una volta che il pubblico si è assuefatto, cause di erosione del rispetto per il prossimo?

E’ nato da poco, ma già giganteggia un nuovo settore di psicologia aziendale: la corporate psychopathy (psicopatia aziendale). Negli scandali di fine secolo XX e inizio secolo XXI, infatti, non si sono trovate immoralità occasionali di persone che hanno sbagliato, possono pentirsi, ma perversioni morali permanenti che, se non fossero state scoperte, sarebbero continuate perché non lasciavano sensi di colpa: è la condizione chiamata psicopatia, difficile da redimere.

Uno dei più noti questionari per identificare i disturbi psicopatici è lo Psychopathy Checklist, di Robert Hare. Sotto la spinta di una nuova immoralità aziendale, l’autore ne ha prodotto una versione differenziata in due parti.

Una prima lista va in cerca del fattore 1: mancanza di scrupoli, di responsabilità, di sensi di colpa, tendenza alla menzogna e alla manipolazione, cinismo e così via.

Il secondo elenco riguarda il fattore 2: instabilità, comportamenti apertamente devianti, aggressività non controllata.

In Europa gli studi sulla corporate psychopathy sono meno sviluppati rispetto all’America, ma mostrano tendenze simili. Una ricerca di Blinda Board e Patarina Fritzon, dell’Università del Surrey, ha comparato un gruppo di 39 manager di successo con criminali e pazienti psichiatrici gravi. La loro classificazione finale ha diviso la popolazione esaminata in “psicopatici di successo” e psicopatici senza successo”.

Proviamo a riassumere quello che interessa ai nostri scopi. Tanto secondo gli studi di Hare e Babiak, quanto secondo quelli di Board e Fritzon – effettuati non solo in istituzioni diverse, ma in continenti diversi – la personalità del manager brillante ha non pochi elementi in comune con quella dello psicopatico.

Le caratteristiche antisociali, però, sono presenti in quantità diverse e si manifestano meno direttamente.

Il fattore 1 di Hare, che corrisponde a un’immoralità non visibile, quindi particolarmente pericolosa, è presente sia nei manager sia negli psicopatici criminali.

Il fattore 2, invece, si ritrova solo nei criminali tradizionali.

E’ in un certo senso, meno sorprendente e meno pericoloso, perché scontato e visibile.

I soggetti che, nella classificazione di Hare, possiedono il fattore 1, secondo l’Università del Surrey sono "psicopatici di successo” e rivestono alte cariche aziendali.

Quello che differenzia dal gruppo dei “senza successo” è l’aggressività. Nei manager essa si manifesta in modo più differenziato e senza fretta: non aggrediscono fisicamente, sottomettono l’ex-prossimo ad un cinismo aziendale.

Il gruppo degli “psicopatici senza successo” si compone invece di criminali classici (sempre secondo lo studio dell’Università del Surrey, che infatti li ha intervistati in carcere).

Si tratta di malfattori d’altri tempi i quali, pur disponendo di caratteristiche necessarie come la mancanza di scrupoli, non hanno saputo adattarsi completamente ai nuovi rapporti economici e tecnologici. Hanno infatti ancora bisogno del prossimo: anche se, come richiede il loro temperamento, ne hanno bisogno per aggredirlo.

L’accelerazione imposta alla società dalla rivoluzione informatica  e dalla competizione del mercato ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e scrupoli, favorendo l’emergere di tipi intuitivi, cinici, opportunisti.

Questa “selezione culturale” ripropone, nella vita economica quotidiana, una strozzatura attraverso cui un flusso pacifico diventa un getto aggressivo.

Una simile selezione si è già vista in occasione di grandi rivolgimenti politici.

Anche le loro accelerazioni hanno favorito le psicopatie: si è imposto chi sapeva cogliere i vantaggi immediati, perdendo il senso ultimo dell’azione politica. Lo abbiamo visto sia nei nazionalismi, quando sono scivolati in fascismi, sia nella rivoluzione russa o in quella culturale cinese, sia nel rinazionalizzarsi dei comunismi, per esempio con la disgregazione della Iugoslavia.

Ognuna di queste strozzature ha compresso e accelerato la storia. Ogni volta, la compressione ha trattenuto la maggioranza delle personalità equilibrate e liberato un getto di psicopatici.

 

Gli studi sulla psicopatia aziendale non hanno niente di rivoluzionario.

Spesso si limitano ad assemblare dettagli di microstoria che, a loro volta, si connettono alla macrostoria.

Un manager poi rivelatosi psicopatico, per esempio, avrebbe dovuto mettere sull’avviso perché non era andato ai funerali di sua madre. Ma, questo, apprendiamo dai libri è quello che fece anche Stalin. La differenza è che, quando si comportò così, Stalin era già Stalin, mentre un amministratore d’azienda non dovrebbe avere il potere di un tiranno: interpellato in proposito, l’80 per cento dei lettori del sito Cnn ha risposto che i responsabili aziendali dovrebbero oggi essere sottoposti a test per valutare la presenza di psicopatie. Nei fatti, niente di simile avviene: il risultato è l’esplodere quotidiano di nuovi scandali.

Forse la lotta finale non sarà – come aveva predetto Ignazio Silone nel suo scritto sui comunisti delusi – un o scontro tra comunisti ed ex-comunisti, ma tra capitalisti ed ex-capitalisti divenuti psicopatici. All’imprenditore postmoderno si richiedono doti non comuni: eppure non è facile che diventi, per i suoi dipendenti, un mito equivalente agli eroi tradizionali. Come avevano previsto già Lev Tolstoj e John Ruskin, la sua attività lo trasforma facilmente in un cinico senza onore: all’opposto del comandante che mette in salvo i suoi e affonda con la nave, è lui il primo che deve salvarsi.

Del resto, risale a quasi un secolo fa il programma dell’economia moderna, secondo cui il capitalismo-avidità avrebbe finito col rimpiazzare quello classico o fordista. Già nel 1919, infatti, un giudice americano aveva condannato Henry Ford, che voleva reinvestire gli utili della sua fabbrica di automobili creando nuovi stabilimenti e migliorando la produzione: la storica sentenza diede ragione ai suoi soci fratelli Dodge – più tardi industriali dell’automobile a loro volta – perché, diceva, lo scopo di un’azienda è arricchire i proprietari e non dar lavoro agli operai o prodotti più utili ai consumatori.

Al mondo esistono ancora, nominalmente, diversi paesi anticapitalisti, comunisti e/o persino rivoluzionari; e diversi movimenti anticapitalisti, comunisti e/o rivoluzionari nei paesi capitalisti.

Mezzo secolo fa, le loro voci minacciavano di morte il capitalismo liberale, anche se proprio in quegli anni i paesi a economia di mercato stavano effettuando la più equa distribuzione di redditi e di servizi della storia umana.

(….)

Insomma, anche nella patria del capitalismo, in nome degli interessi della società, lo Stato prelevava agli individui più avidamente di ogni capitalista.

Tra allora e oggi, una rivoluzione è avvenuta. (…)

La ricchezza si sta addensando di nuovo nelle mani dei privilegiati, con una velocità che non ha precedenti nella storia, mentre il progresso economico lascia spesso a lavoratori e classi medie solo le briciole.

Nell’ultima generazione, i dipendenti delle aziende americane hanno in generale ottenuto il diritto di chiamare i capi col nome proprio, non preceduto da un titolo e neppure da un “signore” (cosa che equivale a dare del tu nelle lingue europee).

E’ un involontario sarcasmo: ancora nel 1980 il capo (CEO) di un’azienda americana guadagnava mediamente 40 volte lo stipendio dei suoi dipendenti. Ora la differenza ufficiale è già di centinaia di volte, ma quella reale è ancor maggiore, perché i dati non includono i guadagni sul capitale attribuiti ai manager. Nello stesso paese, nella stessa città, ma anche all’interno dello stesso luogo di lavoro, dove si finge di essersi avvicinati dandosi del tu, la distanza si è fatta sconfinata.

Con maggiore o minore ritardo, il mondo sta seguendo questa tendenza. Le persone ragionevoli si pongono una domanda: se ai vertici delle singole imprese industriali e finanziarie le recenti trasformazioni hanno concentrato una inattesa percentuale di psicopatici, cosa succede al vertice di tutta la società?

Questa punta della macropiramide sociale è infatti la somma dei vertici delle micropiramidi (imprese, gruppi sociali, ecc.) che la compongono: anche se l’analisi clinica di tutto lo strato più alto della società non è possibile, è logico supporre che sia un concentrato delle psicopatie accertate alla cima dei settori di cui si compone.

I rivoluzionari cambiamenti, dunque, non consistono solo in rapidissime concentrazioni di ricchezza. L’altra scioccante novità è che nei posti guida si è seduta una immoralità senza precedenti. A denunciarla come psicopatica, questa volta non sono gli anticapitalisti ma alcuni ipercapitalisti.

Se scorrete internet alla voce significativa corporate psychopaty, troverete pagine e pagine che elencano libri e articoli su questa nuova criminalità: non provengono, però da editori o movimenti di sinistra e tanto meno da Chiese, per cui le sorti del prossimo non paiono di attualità, ma da pubblicazioni specializzate nella gestione aziendale.

Da quando la res pubblica è diventata res privata, a scrivere di queste cose sono, come abbiamo visto, le esperte di psicologia criminale dell’Università del Surrey.

O il Dottor Paul Babiak, psicologo dell’industria newyorkese (che, inevitabilmente, dalle industrie trae il suo reddito).

Il più celebre è il citato Robert Hare, professor emeritus all’Università della British Columbia, a lungo consulente di organizzazioni sovversive come l’Fbi, che espone le sue teorie in laboratori rivoluzionari come i congressi della polizia canadese.

La critica alla nuova disumanità del capitalismo post-industriale e divenuta una specializzazione della società capitalista post-industriale.

 

Fonte:  libro “La morte del prossimo” di Luigi Zoja.

 
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