Creato da: franco_rovati il 03/03/2009
Come stiamo cambiando.

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"La democrazia è cancerogena e gli uffici sono il suo cancro"

W. Burroughs

"La parola 'democrazia' mi destava una insofferenza fisica, come l'odore stantio dei vecchi cassetti; sentivo nell'aria un odore di muffa, di umida miseria, un odore di cavoli lessi nelle scale della nuova società come in certe vecchie portinerie, un odore di farisei."

Leo Longanesi

“[An upside down flag is] an international distress signal. It means ‘we’re in a whole lot of trouble, so come save our ass b’cause we don’t have a prayer in hell of saving ourselves.’” - Sgt Hank Deerfield, from In the Valley of Elah.

 

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Interbanca, perdite di troppo, personale in esubero

Post n°68 pubblicato il 31 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Interbanca sembra intenzionata a tagliare 144 posti di lavoro su 285 dipendenti, ritenuti in esubero. Il nuovo piano industriale per l'anno, prevede anche una riorganizzazione degli assetti e del bilancio, viste le svalutazioni in portafoglio nel 2008. I sindacati, però, difficilmente daranno il via libera a tali licenziamenti.
Il 19 giugno, tramite una lettera inviata ai sindacati Fisac/Cgil e Fiba/Cisl, l’amministratore delegato di Interbanca Paolo Braghieri, ha reso noto il piano di ristrutturazione 2009 dell’istituto creditizio. Secondo quanto riportato da Finanza & Mercati, la società parte del gruppo Ge intende tagliare 144 posti di lavoro su 285 dipendenti. Tale sarebbe l’ammontare del personale in esubero.

Del resto, che il momento dell’istituto non sia uno dei più felici, lo si desume dal trend nel 2008. Il rosso di bilancio è stato pari a 344 milioni di euro a causa soprattutto dell’operazione di pulizia degli asset tossici in portafoglio realizzata da Ge nell’acquisizione d’inizio anno.

La lettera di Braghieri evidenzia la necessità di una riorganizzazione a tutti i livelli: la direzione di Interbanca sarà riorganizzata per funzioni, mentre la struttura commerciale per prodotti. La banca punterà sulle piccole e medio imprese con oltre 25 milioni di fatturato, saranno ridotti i finanziamenti a lungo termine ed i servizi verso settori ad alto rischio ed alcune filiali di Interbanca verranno chiuse.

 
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Brianza, 40 nuove aziende al giorno «Costretti a diventare imprenditori»

Post n°67 pubblicato il 31 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Da licenziati a manager: "Così ci siamo inventati un lavoro"

Cassintegrati, donne che cercano di mantenere in linea il bilancio familiare e operai specializzati di aziende in crisi. Sono loro gli imprenditori, quelli che per non stare con le mani in mano ad aspettare tempi migliori hanno deciso di avviare una nuova attività. I numeri della Camera di Commercio di Monza e Brianza dicono che nel primo trimestre del 2009, in provincia, sono state fondate 3.800 nuove imprese, che rappresentano il 20 per cento del totale di quelle registrate in Lombardia nel medesimo periodo. L' aumento ha messo in guardia gli analisti della Camera. Che osservano: «Fenomeno positivo, certo. Ma imprenditori non ci s' improvvisa, soprattutto in un momento di crisi. E chi lo fa rischia di bruciare i risparmi di una vita». Complessivamente in Lombardia nei primi tre mesi dell' anno si sono iscritte agli albi delle Camera di commercio 19.331 imprese, 4.686 in più rispetto al trimestre precedente. I settori dove è stato registrato il maggior numero di attività cadette sono il commercio (3.521), le costruzioni (3.491) e l' area che comprende immobiliare, ricerca, noleggio e informatica (2.228). La vocazione all' imprenditoria non sembra tuttavia avere colpito solo i lavoratori in difficoltà, ma anche i pensionati alla ricerca di un' entrata extra: nel 2009 in Lombardia gli over 60 che hanno aperto un' attività in proprio sono stati ben 2.300. Ma come è possibile che aumentino le imprese in settori in difficoltà come commercio, costruzioni e immobiliare? «Il timore è che queste attività abbiano vita breve in una fase del mercato piuttosto delicata - mette in allerta Ferdinando Lioi, vice presidente della Cassa edile di Milano e segretario della Feneal Uil -. Senza contare che in molti casi dietro queste aziende ci sono neoimprenditori, spesso stranieri, che hanno già progettato di fallire dopo al massimo un anno, senza pagare i contributi ai dipendenti». Ad avere qualche dubbio sul boom delle nuove imprese del commercio è Antonio Fossati, docente di «Modelli di consumo» all' università di Pavia: «La maggior parte dei negozi in questo momento è in difficoltà. I punti vendita reggono a fatica l' impatto della crisi. Chi decide di alzare oggi la saracinesca deve avere idee e motivazioni forti». «In questo particolare momento l' impresa finisce per essere un ammortizzatore sociale - osserva Carlo Valli, presidente della Camera di commercio di Monza -. La situazione va monitorata e il rischio è che le imprese una volta nate non sopravvivano. Vanno quindi sostenute affinché possano rimanere sul mercato». Da qui la decisione di Camera di commercio di creare un «pacchetto occupazione», ovvero misure concrete per stare vicino alle aziende e alle persone che vi lavorano. Il finanziamento messo a disposizione ammonta a 1 milione di euro fra contributi per l' occupazione, sostegno per gli aspiranti imprenditori e voucher per corsi di formazione. L' obiettivo è favorire la creazione di almeno 1.000 posti di lavoro tra nuovi assunti, conferme di contratti a termine e neoimprenditor i. Rita Querzé (ha collaborato Riccardo Rosa) 19.331 Aziende Il rilancio contro la crisi. Nel primo trimestre del 2009 in provincia di Milano sono nate 3.800 nuove piccole imprese, soprattutto nei settori commercio, edilizia e informatica Le nuove imprese che si sono iscritte alle Camere di commercio in Lombardia nei primi tre mesi del 2009. Il 20 per cento di queste si trova nell' area di Monza e Brianza 4.686 Sono oltre 4.500 le nuove aziende in più registrate in Lombardia nel primo trimestre di quest' anno rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso.

Fonte: corriere.it

 
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Droga, in crescita l'uso di cannabis tra i teenager. La cocaina 'spopola' tra i ventenni, è in calo l'eroina

Post n°66 pubblicato il 29 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Tag: droga

Roma - (Adnkronos) - Rapporto Onu 2009: il consumo di droghe leggere aumenta nella fascia compresa tra i 15 e i 18 anni. Tra i 22 e i 24 anni è la polvere bianca ad avere maggior appeal. L'allarme del sottosegretario Giovanardi: "In Europa si è passati da produzioni casalinghe di stupefacenti a laboratori industriali". Pasticche e cocaina, verso un milione di consumatori.
L'uso di cannabis in Italia dal 2007 al 2008, nella fascia d'età compresa tra i 15 e i 18 anni è in aumento mentre, sempre per questa fascia d'età, diminuisce l'utilizzo di eroina e cocaina. E' quanto emerge dal World drug report 2009, il Rapporto mondiale Onu sulla Droga 2009, realizzato dalla Unodc (United nation office on drugs and crime) e presentato oggi a Palazzo Chigi. Nella fascia d'età tra i 22 e i 24 anni, prosegue il report, l'uso di cocaina aumenta. Nel nostro Paese il 29% della popolazione adulta fa uso di marijuana. Inoltre l'Italia è seconda in Europa per uso di oppiacei.
Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi "anche se questo fenomeno non interessa ancora il nostro Paese, altrove in Europa, si è passati da produzioni di droga poco più che casalinghe a laboratori di dimensioni industriali. Un salto di qualità preoccupante". "Il rapporto dell'Onu - spiega Giovanardi - rileva come, nella sola Colombia, la produzione di cocaina sia scesa del 28% rispetto al 2007 mentre in Afganistan, che detiene il 93% della produzione mondiale di oppio, la coltivazione e' diminuita del 19%. Per quanto riguarda la cannabis, questa droga resta la piu' coltivata e utilizzata nel mondo".
In arrivo le nuove norme per la sicurezza stradale: sei mesi a chi guida sotto l'effetto di droga, zero alcol per i neopatentati.
Fonte: Adnkronos

 
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La regina e la crisi: «Perché non l' avete prevista?»

Post n°65 pubblicato il 28 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Tag: crisi

Un' inaugurazione come tante, un nastro da tagliare, una targa da scoprire, più qualche domanda di interessamento cortese e finto. È questo che prevede in genere il cerimoniale per i Royal Engagements della regina (l' anno scorso ne ha condotti 440). Ma questa volta, in una nuova sala della London School of Economics, Elisabetta, di fronte a un grafico con l' andamento dei mercati finanziari, ha chiesto: «Com' è possibile che nessuno si sia accorto che stava arrivandoci addosso questa crisi spaventosa?». Il padrone di casa, il professor Luis Garicano, direttore del dipartimento di management della Lse, si è schiarito la gola, per prendere tempo: probabilmente si aspettava di dover chiacchierare brevemente del tempo, o dei cagnolini corgi, o delle corse dei cavalli tanto care a Sua Maestà. Poi ha risposto: «Vede Ma' m (dicono che ci si debba rivolgere così alla sovrana quando si è interrogati, ndr) in ogni momento di questa fase qualcuno faceva affidamento su qualcun altro e tutti pensavano di fare la cosa giusta». Onore all' onestà del professor Garicano, che poi ha riferito: «La regina ha espresso costernazione e incredulità per il fatto che nessuno avesse avvertito che dei prestiti venivano concessi a gente incapace di garantirne la restituzione». Oltre che stupita, probabilmente Ma' m potrebbe anche essere un po' alterata, perché la Rich List di aprile calcolava la sua fortuna personale in 320 milioni di sterline (circa 390 milioni di euro con la sterlina che continua a cedere), composta anche di 100 milioni di capitale investito in società britanniche. Ad aprile nessun economista del Regno pensava ancora a questo tracollo globale. Poi la Borsa di Londra ha perso il 25 per cento nella crisi e quindi la borsetta regale è stata alleggerita di 25 milioni almeno. La faccenda della domanda di Elisabetta all' inizio ha trovato spazio soprattutto nelle rubriche di gossip reale. Ma ieri se ne è impossessato anche il Guardian, che pure è un quotidiano di simpatie repubblicane e in un commento ha scritto: «...Non è solo the Queen, siamo tutti noi a urlare per ottenere una risposta». E ancora, in tono scherzoso: «Una volta, per cose come queste, qualcuno sarebbe finito sulla forca, ora la regina vuole solo sapere come tutti noi che cosa diavolo è andato storto». A ben vedere però, il commento non è tanto scherzoso, perché si conclude con la richiesta che «qualcuno sia ritenuto responsabile per non aver previsto la crisi, altrimenti gli stessi errori si ripeteranno e nessuno avrà più fiducia nelle parole degli economisti. La regina ha diritto a una risposta». Il dibattito in Gran Bretagna si è fatto duro. Gordon Brown, dopo aver soccorso le banche in crisi di liquidità, ha puntato il dito contro «la cultura dei bonus», che ha spinto molti analisti finanziari e banchieri a prendere rischi assurdi, guidati dal miraggio di premi di profitto annuali milionari. Il Corriere ha posto al Lord Mayor della City la domanda sugli operatori finanziari colpevolmente accecati dai bonus. La risposta del Lord Mayor David Lewis (giunto a fine mandato) ha tradito un certo fastidio: «Sarebbe infantile e stupido accusare le banche: prima vengono le autorità di controllo, poi le agenzie di rating, poi quelli che hanno chiesto i prestiti senza poterli onorare, i governi e alcune delle banche. Non è una situazione in bianco e nero». L' inaugurazione del New Academic Building alla London School of Economics è finita con una lecture durante la quale il duca di Edimburgo ha chiuso gli occhi e la regina ha indossato un' espressione molto poco entusiasta, forse pensando ai suoi 25 milioni bruciati. Guido Santevecchi

Fonte: corriere.it

 
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CARTE DI CREDITO: FMI, ALTO IL RISCHIO DI INSOLVENZA ANCHE IN EUROPA

Post n°64 pubblicato il 28 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

ROMA, 27 LUG - Secondo un rapporto dell'Fmi anche in Europa, come già avvenuto negli Stati Uniti, i consumatori sono al collasso: si rischiano perdite di miliardi di dollari. A rischio soprattutto il Regno Unito. La recessione e la pioggia di licenziamenti rendono più difficile il rimborso dei prestiti e le banche abbassano il limite del credito concesso ai propri clienti .L'Antitrust indaga su costi e commissioni: nel mirino Mastercard e otto banche italiane. Il rapporto del Fondo Monetario Internazionale è stato ripreso dal sito del 'Financial Times'. E' atteso in Europa l'ingrossarsi di un'onda di default da parte dei consumatori, come già avvenuto negli Stati Uniti, con perdite di miliardi di dollari. Il Fondo Monetario stima che il 14% del totale del debito dei consumatori americani, pari a 1.914 mld di dollari, andrà perso. Banche come Citigroup, Bank of America, JPMorgan Chase e Wells Fargo ed emittenti di carte di credito come American Express hanno sofferto miliardi di dollari di perdite nei loro portafogli e si preparano a subirne altre. Per l'Europa, la stima del Fmi scende al 7% dei 2.467 mld totali, con la maggior parte concentrato nel Regno Unito, il Paese in cui sono emesse il maggior numero di carte di credito. L'ultimo indice di Moody's evidenzia come nel Regno Unito la percentuale di rate non pagate sia salita dal 6,4% del totale dei crediti di maggio 2008 al 9,37% di maggio 2009. Gli analisti attendono ora ulteriori default visto che cresce il numero dei disoccupati, così come il numero delle insolvenze personali.

 

Fonte: irispress.it

 
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Ipermercati e occupazione - Aria di svendita: Carrefour cederà a Coop quattro ipermercati.

Post n°63 pubblicato il 27 Luglio 2009 da franco_rovati

Carrefour Italia cederà gli ipermercati di Bari via Pasteur, Brindisi, Lecce e Matera a Coop Estense. La cessione, si legge in una nota, fa parte del processo di ristrutturazione e razionalizzazione della rete iniziato dal gruppo Carrefour che ha l'obiettivo di concentrare le risorse nelle aree del Paese nelle quali è maggiormente presente. "Sono soddisfatto dell'accordo raggiunto" ha dichiarato Giuseppe Brambilla ad di Carrefour. "Coop è un operatore importante nel panorama distributivo italiano. Da parte nostra siamo giunti a questa decisione dopo aver investito ingenti risorse nel rilancio di questi punti vendita che purtroppo non hanno prodotto il risultato atteso. Ritengo - continua Brambilla - che il nostro modello commerciale per la gestione degli ipermercati non sia facilmente adattabile alla realtà locale e trovo quindi che la cessione sia la scelta giusta per raggiungere gli obiettivi aziendali e garantire l'occupazione nel territorio." Carrefour Italia, sottolinea la nota, investirà nel 2009 110 milioni di euro in costruzioni, ristrutturazioni e manutenzioni, necessari all'aggiornamento della rete di vendita. Seconda impresa distributiva a livello nazionale, il Gruppo Carrefour Italia opera con una rete di 1.563 punti di vendita, distribuiti su tutto il territorio nazionale, che operano con differenti insegne: 65 ipermercati Carrefour, 499 supermercati, iperstore e superstore GS, 984 supermercati di prossimità DìperDì e 15 cash & carry ad insegna Docks Market e GrossIper. Nel complesso, la rete dà occupazione a circa 26.000 collaboratori.
Fonte: notizie.virgilio.it

 
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"Mi hai rovinato" - E le spara alle gambe

Post n°62 pubblicato il 26 Luglio 2009 da franco_rovati
 

AGGUATO ALL’UNICREDIT DI VIA ASTI DURANTE LA PAUSA PRANZO. L’UOMO È STATO FERMATO DAI CARABINIERI

Commerciante in crisi feriscela direttrice di una banca:mi negava un finanziamento

In gravi difficoltà economiche, un commerciante torinese si vede negare un finanziamento dalla banca e, in preda alla disperazione, attende la direttrice all’uscita dell’istituto di credito e la gambizza con un colpo di pistola. Silvana Baldino, 40 anni, di Castelnuovo Belbo (Asti) ma domiciliata a Nichelino, ferita alla gamba sinistra, se l’è cavata con un po’ di dolore e un grande spavento. Curata all’ospedale di Chivasso, è stata subito dimessa. Poteva andare molto peggio. Dopo quattro ore di ricerche, il commerciante-sparatore è stato arrestato a Torino dai carabinieri della compagnia di Chivasso. Si tratta di Giovanni Rienzi, 58 anni, residente nel capoluogo in via Saluzzo 45. Il fatto è avvenuto ieri intorno alle 13,40 a Settimo Torinese, davanti alla banca Unicredit di via Asti 1, al Villaggio Fiat, periferia della città.

Giovanni Rienzi conosceva bene la direttrice, per un finanziamento che aveva acceso nel 2001 all’Unicredit di Moncalieri per acquistare tre lavanderie a Torino. Nel frattempo, però, gli affari vanno male, così il commerciante è costretto a svendere le tre attività e decide di acquistare una panetteria in via Venaria 44, sempre a Torino. Rienzi si rivolge nuovamente alla direttrice Silvana Baldino, sempre a Moncalieri, per ottenere un finanziamento per questa nuova attività. Finanziamento che non arriva mai per alcuni problemi. Intanto la direttrice viene trasferita a Settimo Torinese, mentre il commerciante arriva quasi sul lastrico. Quindi nella tarda mattinata di ieri si reca a Settimo, ma non entra all’Unicredit.

Parcheggia la sua macchina e attende che Silvana Baldino esca per la pausa pranzo. Nessuno dei passanti nota nulla, né all’interno della banca vengono segnalati movimenti sospetti. Nella mente di Giovanni Rienzi c’è però un piano ben preciso: non tanto fare del male a una persona, quanto colpire un sistema che lo avrebbe rovinato. E quando Silvana Baldino esce, l’uomo estrae dalla tasca una pistola calibro 6 e le spara alla gamba sinistra. Poi esclama: «Mi avete rovinato, qualcuno la deve pagare».

Quindi scappa velocemente a bordo della propria Fiat Stilo ST Wagon di colore grigio. La Baldino viene soccorsa dai colleghi, mentre sul posto arrivano un’ambulanza del 118 e i carabinieri coordinati dal capitano Dario Ferrara. La donna ferita viene accompagnata al pronto soccorso, curata e dimessa con una prognosi di venti giorni. Estrarre il proiettile non è stato possibile, l’intervento verrà eseguito nei prossimi giorni.

Intanto le telecamere a circuito chiuso della banca registrano i particolari dell’aggressione. In pochi minuti i militari dell’Arma sono in grado di conoscere il nome di chi ha sparato e scattano le ricerche a Settimo e a Torino. Presso l’abitazione Rienzi non viene trovato, le ricerche si spostano nella panetteria di via Venaria 44, dove l’uomo ha un faccia a faccia con il capitano Dario Ferrara. Il commerciante è disperato, molto agitato, non oppone resistenza e si fa arrestare. È accusato di porto e detenzione abusiva di arma da fuoco e lesioni personali gravi. Nella pistola vengono ritrovati il bossolo esploso e un altro proiettile. Un secondo proiettile è nascosto in un sacchetto. Dai primi accertamenti l’arma sembrerebbe di provenienza furtiva.

Manette ai polsi, Giovanni Rienzi è stato interrogato a lungo e ha raccontato il suo calvario. Poi, in serata, è stato trasferito nel carcere torinese delle Vallette, dove oggi verrà sentito dal magistrato che deciderà i provvedimenti da adottare nei suoi confronti.

Fonte: lastampa.it

 
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LA CIAMBELLA E IL BUCO

Post n°61 pubblicato il 26 Luglio 2009 da franco_rovati
 

di Ugo Trivellato - www.lavoce.info

Le critiche del ministro Tremonti all'Istat lasciano allibiti. L'accertamento dello stato di disoccupazione è fatto in modo stringente, sulla base di un insieme di quesiti che mirano a rilevare una situazione oggettiva. E' un sistema utilizzato in tutti i paesi sviluppati, che consente confronti credibili nel tempo e nello spazio. Minare la credibilità dell'informazione statistica ufficiale o ridurre gli spazi di autonomia di istituzioni con cruciali funzioni tecniche e scientifiche non aiuta a uscire dalla crisi. A meno che non si vogliano illudere i cittadini con finzioni.

Ma vale la pena di mettere nero su bianco le dichiarazioni, aspre e irridenti, del ministro dell’Economia all’assemblea della Confcommercio di qualche giorno fa. «Voi avete idea di come si fanno la statistiche dal lato dell’Istat?» – ha detto riferendosi alla rilevazione sulle forze di lavoro, che per il primo trimestre di quest’anno segnala, oltre a un calo dell’occupazione, una crescita della disoccupazione di 220mila unità rispetto allo stesso trimestre di un anno fa, portando così i disoccupati prossimi ai 2 milioni. E si è dato la risposta: «Con un campione con mille telefonate. Ti chiamano a casa e ti dicono: “Sei disoccupato?”. (Reazione:) “Vai a quel paese”. Risposta (cioè, quel che sarebbe il risultato della rilevazione): “Molto disoccupato”».

COME SI MISURA IL “BUCO” DELLA DISOCCUPAZIONE

C’è di che restare allibiti. Ma vediamo innanzitutto di mettere ordine. Cominciando dalle definizioni. Chi contiamo come disoccupati? “È più facile misurare la ciambella (dell’occupazione) che il buco (della disoccupazione)”. Questo, in sostanza, il senso di un articolo di Julius Shishkin, allora commissario del Bureau of Labor Statistics statunitense, di oltre trent’anni fa, che ha influenzato in maniera decisiva il dibattito sulla misura della disoccupazione.  La risposta, progressivamente affinata e condivisa da tutti i paesi sviluppati, è nelle raccomandazioni dell’International Labour Office e negli orientamenti dell’Eurostat, definiti in un regolamento dell’Unione Europea.
Muove dalla preliminare definizione di occupato: è considerato tale ogni persona di 15 anni o più che nella settimana di riferimento dell’intervista abbia svolto almeno un’ora di lavoro retribuita.  I disoccupati sono successivamente individuati fra i non occupati, quindi con esclusione di ogni occupato marginale, ad esempio chi abbia servito in una pizzeria o fatto il/la baby-sitter per una sola ora, anche se nello stesso tempo cerca un lavoro.
Per definire una persona disoccupata non viene poi posta una sola domanda, né tanto meno viene chiesto alla persona se si ritiene tale. L’accertamento dello stato di disoccupazione è fatto in modo stringente sulla base di un insieme di quesiti che mirano a rilevare la situazione oggettiva della persona. Avendo acquisito che la persona non ha un lavoro (l’abbiamo appena visto, gli occupati sono identificati e contati per primi), si chiede se lo ha cercato nelle ultime quattro settimane; se la risposta è affermativa, si chiede se ha svolto almeno una delle azioni di ricerca attiva segnalate: tra queste, la visita a un Centro dell’impiego, la ricerca tramite internet, la consultazione delle offerte di lavoro sui giornali, lo svolgimento di colloqui di lavoro e così via. Se almeno una di queste azioni è stata svolta, si chiede se sarebbe disponibile a lavorare entro due settimane. Solo se ha risposto positivamente a questa serie di quesiti, la persona è considerata disoccupata. In sintesi, è disoccupata una persona che, essendo in età compresa fra i 15 e 74 anni, nella settimana alla quale si riferisce l’intervista non è stata occupata – nemmeno un’ora,  ha compiuto azioni attive di ricerca di lavoro nell’ultimo mese, e  è disponibile a lavorare nell’arco delle due settimane successive.

IL CAMPIONE

Il secondo aspetto toccato in maniera errata nell’intervento del ministro Tremonti è il campione sul quale si basano le stime della disoccupazione: le “mille interviste” sono una boutade tra l’infelice e l’insultante. Come ha precisato l’Istat in un asciutto comunicato-stampa «sono 280mila le famiglie (per un totale di circa 680mila individui) che in un anno partecipano all’indagine sulle forze di lavoro in qualità di rispondenti. La rilevazione è dunque ampia e affidabile con un tasso di risposta tra i più elevati d’Europa: pari all’88 per cento. [Inoltre,] l’indagine è condotta non solo telefonicamente, ma per circa metà presso il domicilio delle famiglie con interviste faccia a faccia, che sono successivamente intervistate telefonicamente. Ciò consente il raggiungimento delle persone senza telefono e quelle che hanno più difficoltà a comprendere l’italiano, come nel caso della popolazione straniera».

QUEL CHE ERA CREDIBILE IERI, NON LO È PIÙ OGGI

Così si misura la disoccupazione in Italia. Così la si misura nei ventisette paesi dell’Unione Europea, e in maniera analoga in tutti le nazioni sviluppate. Il che consente credibili confronti nel tempo e nello spazio.
Il richiamo ai confronti dell'Istat rivela immediatamente la strumentalità di dichiarazioni, come quella del ministro Tremonti, che oggi attaccano e sviliscono le statistiche dell’Istat sul lavoro. Basta confrontarle con le dichiarazioni di autorevoli membri del governo di meno di un anno fa, quando la disoccupazione calava – o restava stabile – e l’occupazione ancora cresceva. Quelle dichiarazioni citavano, a ragione (anzi, forse piegandoli a un eccessivo ottimismo), i dati dell’Istat come credibile evidenza che il mercato del lavoro italiano andava bene. E, se mai servisse aggiungerlo, la definizione di disoccupato, il metodo e la qualità della rilevazione erano gli stessi utilizzati oggi.
Che cos’è cambiato? L’affidabilità dello strumento di misura o l’andamento dell’economia e del mercato del lavoro?
I profeti di sventura non aiutano a uscire dalla crisi. Ma ancora meno aiuta mettere la testa sotto la sabbia. Occorre muovere dalla consapevolezza che questa crisi è grave. Per chi nutrisse dubbi in proposito, è consigliabile guardare al
documentato confronto che Barry Eichengreen e Kevin O’ Rouke fanno fra l’attuale recessione e la grande depressione degli anni Trenta.
Per scelte di politica economica che siano all’altezza dei problemi che la crisi pone, evidenza informata e ragionevoli previsioni sono un ingrediente indispensabile, così come per il medico lo sono diagnosi e prognosi per la scelta di terapie appropriate. Invocare il silenzio degli analisti, auspicare una sorta di moratoria delle previsioni, ancor più mettere in dubbio la credibilità dell’informazione statistica ufficiale è grave, pericoloso.
Certo, dati più dettagliati e tempestivi, che risultino da un’intelligente integrazione fra fonti amministrative – l’Inps innanzitutto – e indagini statistiche sarebbero quanto mai utili. Se il ministro Tremonti, e il governo, sono interessati a questa prospettiva, più che evocare la generica ipotesi di una banca dati presso il ministero dell’Economia, è opportuno che considerino la raccomandazione per l’istituzione di un Sistema di Archivi per Analisi sul lavoro, approvata oltre un anno fa dalla Commissione di indagine sul lavoro istituita dai presidenti di Camera, Senato e Cnel. E assicurino al sistema le competenze e l’indipendenza necessarie incardinandone il coordinamento presso l’Istat.
Non servono dati graditi; servono dati veri. Servono a governo e Parlamento per prendere le decisioni giuste. E servono per essere comunicati con trasparenza all’opinione pubblica, perché il paese intero abbia cognizione delle difficoltà e concorra nell’impegno per contrastare la crisi e poi per avviare una non flebile ripresa. 
A meno che non ci si illuda e ancor più si voglia illudere l’opinione pubblica con finzioni. Anche cercando di ridurre gli spazi di autonomia di istituzioni con cruciali funzioni tecniche e scientifiche. Tra queste vi è l’Istat. L’ormai prossima nomina del suo nuovo presidente è una importante cartina di tornasole per capire se la scelta obbedirà ai criteri-guida della competenza, dell’autorevolezza e dell’indipendenza di giudizio.

 
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Vero o Falso? Le rilevazioni Istat secondo Tremonti

Post n°60 pubblicato il 26 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Tag: Istat

Voi avete idea di come si fanno le statistiche dal lato dell'Istat sul metodo Eurostat? Con un campione con mille telefonate. Ti chiamano a casa e ti dicono: " Sei disoccupato?" ..." Vai a quel paese!" ... Risposta (registrata dall'Istat, n.d.r.): "MOLTO DISOCCUPATO"».
Il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti all'Assemblea annuale della Confcommercio - 24 giugno 2009.

 
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Claifornia a un passo dal crac

Post n°59 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 

NEW YORK - Un taglio sostanziale dell'assistenza ai poveri, agli anziani e ai disabili. Niente cure mediche per i bimbi senza assicurazione sanitaria. Meno fondi a una scuola pubblica già deficitaria. Via le borse di studio per gli studenti meritevoli. Via i «ranger» dai parchi dello Stato che diventeranno luoghi selvaggi. L'attore diventato governatore della California per anni si è portata dietro l'immagine del suo personaggio cine­matografico più popolare: Terminator. Ora Arnold Schwarzenegger ha deciso di interpretarlo sul set della politica spingendo i parlamentari locali a vota­re un sostanziale smantellamento del­lo Stato sociale. L'ultimo tentativo di far fronte al crollo delle entrate fiscali causato dalla recessione, dopo che gli elettori hanno bocciato la soluzione (un mix di tagli e aumenti di tributi) varata dal suo governo. «La nuova rotta - protestano le orga­nizzazioni dei disabili, - è quella del darwinismo sociale: sopravvivenza ga­rantita solo a chi è in buona salute».

Schwarzy è impazzito? Forse no, c'è del genio nella sua follia. E i progressi­sti di tutto il mondo faranno bene a te­nere d'occhio quello che accade in Cali­fornia, il posto dove «il futuro succede prima». Non sapendo più come mantenere in piedi una costosa rete di protezione sociale con le entrate fiscali che conti­nuano ad assottigliarsi e col termine per il riequilibrio del bilancio (fine lu­glio) che si avvicina, il governatore vuole far scoppiare le contraddizioni politiche. Ma vuole anche costringere i cittadini a toccare con mano le conse­guenze del loro voto. La prima bufera è scoppiata a sinistra: i sindacati, che in California sono molto più forti che nel resto degli Usa e sono decisivi per l'ele­zione dei parlamentari democratici, hanno chiesto ai loro rappresentanti di colmare il gigantesco deficit dello Sta­to con un aumento di 44 miliardi di dol­lari delle tasse sui ricchi, sul tabacco e sulle compagnie petrolifere.

L'Assemblea di Sacramento (a mag­gioranza democratica) non ha, però, al­cuna intenzione di adottare questa ri­cetta. «Con un'economia in terapia in­tensiva, altre tasse provocherebbero nel paziente un arresto cardiaco»: lo di­ce il leader dei repubblicani, Sam Blake­slee, ma lo pensano anche molti demo­cratici. Perfino quelli della sinistra radi­cale hanno spiegato ai leader delle «union» che non si può fare finta di nulla quando gli elettori bocciano i re­ferendum sugli aumenti delle tasse, compresi quelli sponsorizzati dai sinda­cati degli insegnanti e della polizia, i più influenti dello Stato. Insomma, anche la sinistra comincia a rassegnarsi all'idea che un ridimen­sionamento delle reti di protezione so­ciale sia inevitabile. Cerca, però, di limi­tarlo al minimo con vari espedienti, compreso il ricorso a nuovi debiti. Ma la California è già indebitatissima e, senza la garanzia federale, i nuovi pre­stiti arriverebbero con tassi d'interesse molto alti.

Così Schwarzenegger punta i piedi: «Non porto la California alla rovina: è ora di tagliare davvero le spese e mo­strare ai cittadini (che chiedono meno Stato) cosa succede quando si chiude bottega». La sua mossa crea scompi­glio tra i democratici, ma dovrebbe far venire i brividi anche ai progressisti eu­ropei, alle prese con problemi di finan­ziamento del «welfare» meno gravi ma non radicalmente diversi. La resa dei conti, però, potrebbe non avvenire solo a sinistra. Terminator è un animale politico anomalo: un repub­blicano cresciuto nel fronte reaganiano antitasse che si è poi alleato coi demo­cratici e ha rilanciato una serie di pro­grammi di intervento pubblico, ben di­versi dallo «Stato minimo» della destra conservatrice. Oggi, con la sua «follia», fa emergere un altro paradosso: i depu­tati repubblicani che chiedono meno tasse, meno Stato, meno assistenza, so­no eletti soprattutto in quella Central Valley agricola, molto più povera delle metropoli della costa, che assorbe assi­stenza pubblica in misura superiore a Los Angeles e San Francisco. Può darsi che, messi davanti alle conseguenze so­ciali del loro voto «antitasse», anche gli smantellatori del «welfare» venga­no assaliti dai dubbi.

Schwarzenegger è un improvvisato­re. È ruvido e spregiudicato. Magari al­la fine accetterà un compromesso su ta­gli meno traumatici, ricorrerà al credi­to o avrà un aiuto da Washington. Ma oggi con la sua durezza sta imponendo una feroce «operazione verità» all'inte­ro sistema politico californiano e ai suoi cittadini. Per la prima volta arriva al pettine il nodo - da molto tempo evocato - dell'impossibilità di sostenere un «wel­fare » generoso se l'economia non cre­sce non per difficoltà momentanee, ma per una crisi strutturale. Oggi succede sulle coste del Pacifico, domani potreb­be accadere su quelle del Mediterra­neo.

Fonte: corriere.it

 
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California: deficit e armi

 

PREVIDENTI NELLA CRISI

Post n°57 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 

di Bruno Mangiatordi - www.lavoce.info

I dati Covip indicano una sostanziale tenuta del flusso di adesioni alla previdenza complementare. Aumenta però il numero dei riscatti per perdita dei requisiti e degli iscritti silenti o che interrompono i versamenti. Si ridimensiona così il livello di copertura del sistema. Preoccupanti appaiono poi le decisioni di investimento dei lavoratori più anziani, che spesso hanno aderito a fondi azionari o bilanciati. Necessario che i fondi pensione si dotino di strumenti adeguati per aiutare gli iscritti a operare scelte razionali.

Dai dati presentati nei giorni scorsi dalla Covip emerge un quadro in chiaroscuro dell’andamento della previdenza complementare nel 2008.
L’incremento del 6 per cento delle adesioni (al netto delle uscite dal sistema) risulta in linea con quello registratosi negli anni precedenti il 2007, anno nel quale la percentuale di nuove iscrizioni raggiunse un livello molto maggiore (circa il 50 per cento) a seguito della campagna per il conferimento del Tfr ai fondi pensione.
Una caduta di tensione era pressoché inevitabile dopo la grande popolarità del tema suscitata da spot pubblicitari e, soprattutto, dalla concretezza della decisione sulla allocazione del Tfr. 430mila nuove iscrizioni rappresentano però un dato significativo: nel pieno di una crisi straordinaria come quella iniziata nella seconda metà del 2008, il flusso delle adesioni non ha registrato un sostanziale arresto.

CHI ESCE DAL SISTEMA

Volendo guardare oltre i problemi, già altre volte trattati da chi scrive, della scarsa capacità espansiva di cui soffre, in modo ormai cronico, il settore della previdenza complementare nelle piccole imprese, tra i giovani, nel mondo del lavoro femminile e in quello del lavoro autonomo, nel Mezzogiorno e, infine, tra i dipendenti pubblici (tutti segmenti dove le adesioni continuano a essere di numero assai esiguo), vengono in evidenza alcuni elementi di analisi su cui è opportuno richiamare l’attenzione degli osservatori e dei policy maker.
Un primo dato riguarda le uscite dal sistema.
Nel 2008 si contano circa 140mila riscatti per perdita dei requisiti di partecipazione, pari al 3 per cento del totale degli iscritti. Èun fenomeno che, se pur non del tutto imputabile a situazioni di disoccupazione o a protratti periodi di cassa integrazione (sono infatti da considerare in questa platea anche gli iscritti che cambiano lavoro), si segnala sia per il suo carattere strutturale - la cifra dei riscatti è coerente con la serie storica, considerando l’aumento degli iscritti - sia perché rappresenta di per sé un chiaro indice della difficoltà di molti lavoratori a restare nel sistema in momenti di disagio economico.
Un secondo dato riguarda l’interruzione dei versamenti e le posizioni nulle o irrisorie (in entrambi i casi ci si riferisce a dati di stock e non di flusso).
Ben 520mila iscritti a forme di previdenza complementare risultano non versanti. Sono concentrati per il 24 per cento nei Pip e per il 44 per cento nei fondi aperti; la restante quota è equamente distribuita tra fondi negoziali e fondi preesistenti. In questo modo, pur considerando la possibilità che il dato evidenzi duplicazioni nelle iscrizioni, sembra manifestarsi una disaffezione di cui occorrerebbe investigare le cause. La stessa cosa può dirsi per i 130mila aderenti con posizioni accumulate nulle o irrisorie, oltre la metà dei quali risulta iscritta a fondi aperti. In sintesi, il 13 per cento del totale degli iscritti alla previdenza complementare e circa il 30 per cento degli iscritti complessivi a fondi aperti e Pip appartiene a una di queste due categorie. Siamo di fronte a numeri che in una certa misura ridimensionano il livello di copertura raggiunto dal sistema.
Un terzo dato, in controtendenza rispetto ai precedenti, riguarda i lavoratori “silenti” che hanno aderito a fondi pensione soltanto per non aver esercitato un’opzione esplicita riguardo alla destinazione del loro Tfr.
Nel 2008 il numero degli iscritti appartenenti a tale categoria è in netta crescita. Su un totale di circa 150mila nuove adesioni ai fondi negoziali, un terzo è imputabile al conferimento tacito del Tfr. Una percentuale nettamente superiore a quella registratasi nel 2007 che era residuale e comunque inferiore al 5 per cento. Ètriplicato anche il numero dei lavoratori iscritti “d’ufficio” a FondInps, passati da 7mila nel 2007 a circa 20mila nel 2008.
La crescita del numero dei silenti testimonia l’importanza dell’informazione come fattore condizionante. Scelte rilevanti come quella riguardante l’allocazione del Tfr dipendono in larga misura dalla efficacia della comunicazione posta in essere.

DOVE SI INVESTE

Un ulteriore insieme di dati sui quali conviene riflettere va ascritto al capitolo dell’impatto della crisi dei mercati su alcune categorie di iscritti ai fondi pensione. Alcuni elementi di forte preoccupazione riguardano, in particolare, le scelte di investimento dei lavoratori più anziani.
Guardando alla composizione degli iscritti per tipologia di comparto e classe di età, si nota, infatti, che nei fondi negoziali circa il 40 per cento degli aderenti nella fascia tra i 60 e i 65 anni risultava nell’anno 2008 iscritta a comparti rischiosi: bilanciati (in cui la componente azionaria si aggira intorno al 30 per cento) e, sia pure in minima parte, azionari.
Tale tendenza è ancora più marcata nei fondi aperti nei quali gli iscritti a linee azionarie risultavano pari al 22 per cento del sotto gruppo degli ultrasessantenni, mentre un altro 28 per cento degli stessi risultava iscritto a linee bilanciate.
Inevitabilmente, il rovescio dei mercati finanziari ha investito il risparmio previdenziale di questi aderenti in maniera pesante; è peraltro evidente che, data la loro età e il carattere profondo della crisi, ben difficilmente avranno la possibilità di recuperare le perdite subite.
Il dato richiama a una forte responsabilità l’intero sistema dei fondi pensione che non è stato in grado di aiutare gli iscritti in questione a operare scelte razionali.
Né varrebbe obiettare che la responsabilità delle scelte di investimento compete all’iscritto e che lo stesso dovrebbe essere in grado di guardare correttamente al proprio interesse. Tutte le indagini condotte in Italia, e ancor più all’estero, sulla capacità di valutazione del rischio finanziario da parte degli individui sottolineano la grave carenza di conoscenze che caratterizza la stragrande maggioranza della popolazione.
È dunque assolutamente inderogabile l’esigenza che i fondi pensione si dotino di strumenti adeguatamente configurati (linee di default life cycle, questionari di auto valutazione della propensione al rischio, servizi di consulenza) in grado di prevenire esiti che in futuro, quando il sistema sarà maturo e il risparmio accumulato durante tutto l’arco di una vita ben maggiore di quello medio attuale, potrebbero creare drammi individuali e sociali inaccettabili.

 
 
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SENZA LA SFERA DI CRISTALLO

Post n°56 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Tag: crisi

di Paolo Manasse - www.lavoce.info

Prevedere una crisi significa individuare un insieme composito di segnali di vulnerabilità associati a un'elevata probabilità del suo verificarsi. Attraverso l'utilizzo di particolari modelli quantitativi si può ad esempio monitorare la vulnerabilità dei paesi emergenti a crisi bancarie e di liquidità. Importanti segnali di allarme sembrano essere un elevato tasso sui depositi e una forte crescita del rapporto tra crediti non esigibili e prestiti del settore bancario. Come è accaduto in alcuni paesi dell'Europa dell'Est.

Era probabilmente inevitabile: in tutto il mondo la crisi finanziaria ha messo in crisi gli economisti. Imputati per non averla prevista, per averne sottovalutato i segnali inequivocabili (a posteriori), per aver creduto nella fanfaluca dell’autoregolamentazione dei mercati e nella capacità dei prezzi di rispecchiare i rischi delle attività finanziarie. Insomma, Dio avrebbe creato gli economisti solo per far fare bella figura ad astrologi e meteorologi. 

IL RISCHIO NEI PREZZI

Ma cosa significa “prevedere” una crisi, ad esempio l’insolvenza di uno stato sovrano, o di ampia parte del sistema bancario? Significa, a mio avviso, individuare un insieme di segnali di vulnerabilità (early warnings), nell’economia, nella politica, nei bilanci di stati, governi, banche, imprese e famiglie, che sono associati a un’elevata probabilità del verificarsi della crisi.
Ecco allora la tipica obiezione: se i prezzi di mercato riflettono in modo efficiente l’informazione disponibile, prevedere le crisi, ad esempio l’insolvenza di un debitore, è un gioco da ragazzi (si fa per dire). La “vera” probabilità di crisi può essere ricavata dai prezzi di mercato.
La figura 1 mostra le probabilità di insolvenza implicite nei premi pagati sui credit default swaps (Cds) sui titoli di stato italiani per contratti con maturità di 1, 5 e 10 anni.  Come è accaduto per molti paesi giudicati “vulnerabili”, la diffusione della crisi finanziaria originata negli Stati Uniti ha fatto aumentare vertiginosamente la percezione della nostra rischiosità. Nel caso dell’Italia le probabilità d’insolvenza incorporate nei Cds sono triplicate tra settembre 2008 e gennaio 2009, per poi tornare poco sopra ai livelli iniziali nel giro di pochi mesi. Èragionevole pensare che, in così poco tempo, la solvibilità della Repubblica italiana abbia subito oscillazioni tanto vistose? L’estrema volatilità dei prezzi delle attività finanziarie suggerisce che questi non sempre siano una guida affidabile della vulnerabilità alle crisi.

SEGNALI D'ALLARME

L’Associazione bancaria italiana ha da circa un anno lanciato un’iniziativa, l’Abi Country Risk Forum, volta a monitorare la vulnerabilità dei paesi emergenti a crisi bancarie e a crisi di liquidità. L’iniziativa prevede l’utilizzo di modelli quantitativi che ho elaborato seguendo una metodologia di machine learning, più comunemente impiegata in campi quali la ricerca biomedica, il controllo di qualità, la scoperta di frodi, le applicazioni militari, e recentemente applicata alle crisi di debito sovrano e alle crisi in conto capitale.  Quest’approccio consente di selezionare, tra un numero elevatissimo di variabili economiche e politiche, quella manciata di sintomi (cioè quelle combinazioni d’indicatori, gli early warnings, e le loro soglie critiche) che sfociano con elevata frequenza nell’evento catastrofico (la crisi), e di identificare diverse tipologie di crisi.  Sulla base di questi indicatori, è poi possibile calcolare, per ciascun paese e anno considerato, la probabilità che si verifichi una crisi l’anno successivo.
Il modello per le crisi bancarie offre spunti interessanti.
Il più importante segnale di allarme nei paesi emergenti risulta essere un elevato tasso sui depositi (superiore al 16 per cento), che probabilmente riflette la percezione di rischio di insolvenza/illiquidità delle banche e che anticipa una corsa agli sportelli, ovvero riflette un tasso di inflazione elevato.  La vulnerabilità del sistema bancario è in altri casi segnalata da una forte crescita del rapporto tra crediti non esigibili e prestiti. Infine, una diversa tipologia appare caratterizzata dalla vulnerabilità alle crisi di cambio e ha il suo sintomo in un basso rapporto tra le riserve internazionali e il Pil (inferiore al 2 per cento). 
I “segnali” individuati dal modello anticipano correttamente (vedi tabella 1) 75 delle 105 crisi del campione e lanciano “falsi allarmi”, cioè prevedono erroneamente una crisi, nel 25 per cento degli episodi “tranquilli”.

Dunque, quali sono i paesi emergenti maggiormente esposti al rischio di una crisi bancaria? La tabella 2 qui sotto riporta le previsioni del modello, stimato con dati fino al 2008, per gli anni 2009-2010. Per questi paesi gli indicatori segnalano una probabilità di crisi di circa tre volte superiore alla media del campione. Tra i paesi identificati, molti appartengono all’Europa dell’Est. In particolare è interessante rilevare che Lettonia, Polonia e Serbia hanno negoziato, tra dicembre 2008 e oggi, prestiti a beve termine (Standy By Arrangement, Flexible Credit Line) con il Fondo monetario internazionale, mentre la Guinea usufruisce di prestiti per l’aiuto allo sviluppo (Poverty Reduction and Growth Facility).
Come sempre, gli algoritmi statistici non possono sostituire la valutazione ragionata del singolo caso. Tuttavia, costituiscono uno strumento complementare importante per mettere in luce regolarità, ed eccezioni, empiriche alquanto complicate.

 
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ASPETTANDO LA PRIMA DECISIONE DI FINANZA PUBBLICA

Post n°55 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 

di Tito Boeri e Pietro Garibaldi - www.lavoce.info

Nonostante la crisi peggiore del Dopoguerra, questo governo non ha preso finora decisioni di finanza pubblica. Se consideriamo i saldi netti, vediamo che il Dpef certifica che non ci sarà alcuna manovra per rilanciare l'economia o per migliorare i conti pubblici nel 2010. Ma ancor di più preoccupa l'assenza di una impronta riformatrice dell'esecutivo. Istruttivo in proposito il caso delle pensioni. Intanto, i conti vanno male. E la necessità di controllare la spesa pubblica dovrebbe essere una priorità. Non ci resta che sperare nella prima Decisione di Finanza Pubblica.

Il ministro Tremonti ha annunciato che questo sarà l’ultimo Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef). Intende infatti abolirlo e sostituirlo con il Dfp, Decisione di finanza pubblica. Speriamo davvero che nomen omen perché sin qui di decisioni di finanza pubblica questo governo, nonostante la crisi peggiore del Dopoguerra, non ne ha prese. Oltre alla quasi mancanza di misure per contrastare la recessione, il governo non ha avuto alcuna impronta riformatrice. E nonostante tutto ciò i conti vanno male.

SENZA MANOVRA NELLA PEGGIOR CRISI DEL DOPOGUERRA

Due tabelle sono più eloquenti di tante parole. La prima documenta le “non manovre” dell’era Tremonti ter. Ogni Dpef contiene una stima del saldo tendenziale (a bocce ferme, senza manovra di politica economica) e di quello programmatico (con gli effetti della manovra) per l’anno successivo. Serve per stabilire i confini entro cui potrà intervenire la legge di bilancio. Quindi lo scostamento dell’indebitamento programmatico rispetto a quello tendenziale è un dato molto importante. Misura l’entità della manovra netta messa in atto dal governo: se si stanno risanando i conti, lo scostamento è positivo, se si stanno conducendo politiche antirecessive immettendo nuove risorse nell’economia, invece, lo scostamento sarà negativo. Come si vede dalla tabella qui sotto, il Tremonti ter è stato sin qui contraddistinto da politiche procicliche o da non politiche. La manovra prevista per il 2009 doveva, nelle intenzioni di Tremonti, far aumentare le tasse più delle spese (per lo 0,1 per cento del Pil) nonostante l’Italia all’epoca del varo del Dpef fosse già entrata in recessione. Quella oggi prevista per il 2010 lascia tutto uguale rispetto al tendenziale. Si rinuncia a intervenire sui saldi. Dato che il Dpef conta solo per i saldi netti, possiamo dire che questo Dpef certifica che non ci sarà alcuna manovra per rilanciare l’economia o per migliorare i conti pubblici nel 2010. Una volta di più si sceglie di non scegliere.

Utile chiedersi a questo punto cosa ha fatto effettivamente il governo sin qui per contrastare la recessione. La seconda tabella illustra l’ammontare delle risorse nette immesse nel sistema così come ricostruito dal Fondo monetario internazionale ad aprile 2009. Come si vede l’Italia è l’unico paese del G20 a non aver varato sin qui alcuna manovra anticiclica. Le misure discrezionali a sostegno dell’economia sono state con saldo zero nel 2008 (in verità leggermente negativo) e sino ad aprile avevano mobilitato a sostegno dell’economia solo lo 0,2 per cento del Pil 2007, vale a dire circa 3 miliardi. La “manovra d’estate” appena varata dal governo, secondo il Dpef (Tavola III.5), non avrà alcun impatto netto sui saldi di finanza pubblica. Bene infatti non confondere le risorse nette, che sono quelle da noi indicate, con quelle lorde, che nelle tabelle del Dpef approvato ieri riguardano solo maggiori spese o minori entrate separatamente (Tabella III.2). In realtà a queste maggiori spese o minori entrate corrispondono altre misure per maggiori entrate o minori spese. Quel che conta è che l’entità netta complessiva degli interventi a sostegno dell’economia messi sin qui in atto dal governo è stata quindi di circa 3 miliardi. Questo di fronte alla crisi peggiore del Dopoguerra.

CHI SONO I VERI CATASTROFISTI?

A vedere questi numeri verrebbe da pensare che il governo ritenga che la crisi non sia affatto grave. In effetti, sia il presidente del Consiglio, che i ministri dell’Economia e del Welfare hanno fatto a gara in questi mesi nel bollare di catastrofismo tutti gli enti che fanno previsioni e addirittura lo stesso Istat. Ma a leggere il Dpef, c'è da pensare che i veri catastrofisti siano proprio loro. Nel Dpef propongono infatti previsioni sulla decrescita nel 2009 addirittura peggiori di quelle del Fondo.

SENZA AZIONE RIFORMATRICE

Al di là della mancanza di uno stimolo netto, quello che ci preoccupa dell’azione di governo è  l'assenza di una chiara azione riformatrice. Il caso delle pensioni è particolarmente rilevante. Tra le righe del Dpef, si mostra chiaramente che la politica del non muovere nulla implica un significativo incremento dell’incidenza della spesa pensionistica sul Pil: a causa delle recessione crescerà in di più di un punto percentuale, passando dal 14,2 per cento del Pil nel 2008 al 15,2 nel 2009. Forse per dare l’illusione di non limitarsi ad assistere a questa clamorosa e ulteriore riallocazione della spesa pubblica verso le pensioni da noi messa in luce già ad aprile, il governo ha ieri annunciato, attraverso un emendamento al decreto anticrisi in discussione alla Camera, un innalzamento dell’età pensionabile a partire dal 2015. Al di là della discutibilità politica di dar vita a una riforma dei meccanismi di pensionamento con un emendamento a un decreto legge, colpisce l'ostinazione del governo Berlusconi a fare riforme che si applicano solo quando il governo non sarà più in carica. La riforma delle pensioni Maroni-Tremonti del 2004 prevedeva uno scalone che sarebbe stato efficace a partire dal 2008, mentre la legislatura terminava nel 2006. Tutti ci ricordiamo come è finita. Attraverso la retromarcia del governo Prodi, lo scalone non fu mai applicato. Il vaghissimo emendamento proposto ieri si applicherebbe addirittura al di là dell’orizzonte del Dpef. 
La lezione della crisi in corso in materia di dinamica della spesa previdenziale è che è necessario indicizzare l’incremento delle pensioni all’incremento effettivo del monte salari, invece che ai prezzi, come avviene oggi. Altrimenti quando il monte salari diminuisce o stagna, come ovviamente accade in recessione, le pensioni continuano ad aumentare e tendono ad assumere traiettorie insostenibili. Una riforma di questo tipo genererebbe un meccanismo di stabilizzazione automatico per quello che è forse il più grande problema strutturale del Paese.

PERCHÉ I CONTI VANNO MALE

Nonostante la mancanza di manovra, i conti vanno male. Èquesto il vero paradosso della finanza pubblica. I conti vanno male perché in Italia quando il Pil diminuisce le entrate cedono immediatamente il passo, mentre la spesa pubblica segue un’inesorabile tendenza alla crescita, indipendentemente dal ciclo. Tra il 2008 e il 2009 l’indebitamento nella pubblica amministrazione peggiora di 40 miliardi, passando da 40 a 80 miliardi, mentre il Pil nominale diminuisce addirittura di 50 miliardi. I 40 miliardi di peggioramento dell’indebitamento sono dovuti a 30 miliardi di incremento di spese e 10 miliardi di minori entrate. Contabilmente il vero problema della nostra finanza pubblica è dal lato della spesa. Da qualunque parte si guardi al problema, la necessità di controllarne la crescita, insieme a un intensificazione dei controlli dal lato delle entrate, dovrebbero essere la vera priorità. 
Non ci resta che aspettare con ansia la prima edizione delle Decisioni di finanza pubblica.

 
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Per Confindustria prezzi in calo

Post n°54 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Secondo il Centro Studi Confindustria continua a ritmi sostenuti la diminuzione dei prezzi delle case.
E' accelerata nel primo trimestre 2009 nei paesi dove più estesa è stata la bolla immobiliare: Stati Uniti
-6,92% (contro il -6,62% del trimestre precedente), Irlanda -2,96% (-2,47%) e Spagna -3,02% (-2,42%).
In Italia nel 2008 i prezzi delle abitazioni si sono ridotti mediamente del 2,4% rispetto al 2007 e nel 2009 si stima un’ulteriore contrazione del 9% dopo un primo trimestre in diminuzione del 4,5% e un secondo del 3,9%.
Il numero di transazioni immobiliari nel segmento residenziale è diminuito del 15,1% nel 2008 e per il 2009 è stimata una nuova riduzione del 20%, che riporta i livelli ai valori di inizio anni 2000.

Fonte: newspages.it


 
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Il mercato immobiliare sotto l'occhiodi Nomisma

Post n°53 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Di Pierpaolo Molinengo

Secondo l’ultima ricerca di Nomisma, è proseguita, nel primo semestre del 2009, la fase negativa del settore immobiliare amplificando i toni rispetto agli ultimi mesi dell’anno precedente. Dopo un 2009 ancora improntato alla flessione del mercato, sia in relazione alle quantità scambiate che ai valori di compravendita, nel 2010 si dovrebbe registrare un certo miglioramento rispetto alla situazione attuale, ma con valori e contratti ancora in tendenziale flessione.
Questo in stretta correlazione con la recente ripresa di fiducia da parte delle imprese e delle famiglie che, assieme all’auspicata stabilizzazione del mercato finanziario, potrà costituire il volano per il riavvio, ancorché graduale, del quadro macroeconomico e del mercato immobiliare.
Con riferimento ai prezzi, si tratta del secondo semestre consecutivo in cui i valori stanno volgendo verso il basso, mentre è la piena flessione per uffici e negozi. Rimane al momento indenne dal calo il segmento dei box auto.
Per le abitazioni si tratta di una flessione del -2,5% nel I semestre 2009, che fa seguito alla riduzione del -1% della fine del 2008 e che si traduce in -3,5% su base annua
(-4,4% al netto dell’inflazione). L’intensità negativa registrata nell’ultimo semestre è nettamente la più elevata da 25 semestri, ovvero dal 1997 (quando stava terminando la precedente fase critica del mercato), e la terza più drastica dal 1994 (nel mezzo della crisi degli anni ’90).
Gli attuali prezzi si riportano dunque al livello del mercato del 2007 (in termini reali a quelli del 2006), con cali che toccano tutte le zone e tutte le città considerate, soprattutto, però, nelle città settentrionali rispetto a quelle del centro-sud.
I prezzi delle abitazioni, già calati su base annua del 3,5% (e semestrale del 2,5%) a fine 2009, potrebbero quest’anno risultare più bassi, rispetto all’anno precedente, del 6-8%.
Nel 2010, stante la previsione macroeconomica che pone la crescita solo alla fine di quell’anno, i prezzi potrebbero subire una contenuta flessione nell’ordine del 2-3%.
Dal 2011 l’intero mercato immobiliare potrà tornare a crescere, accompagnando la crescita prevista per l’economia del paese.

Fonte: newspages.it

 
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La disoccupazione record piega le Borse

Post n°52 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Il ministro dell' Economia, Giulio Tremonti, ha firmato il decreto sul trattamento accessorio Senza lavoro in crescita negli Usa e in Europa. Italia, il deficit del primo trimestre al 9,3% del Pil I 40 anni di contributi Per gli statali salta l' uscita automatica dopo 40 anni di contributi. La stretta sui paradisi fiscali riguarda attività per almeno 8,3 miliardi.

ROMA - Dopo la speranza che il peggio fosse alle spalle, la crisi economica presenta il volto peggiore, quello della disoccupazione. Negli Usa e in Europa vola al 9,5%. A giugno gli Stati Uniti hanno perso 476 mila posti di lavoro, 120 mila più delle stime degli analisti. Si tratta del record negativo degli ultimi 25 anni. Così Eurolandia ha eliminato 273 mila occupati facendo balzare a 15 milioni i senza lavoro. Sono numeri choc che hanno «profondamente deluso e preoccupato» il presidente americano Barack Obama e trasformato i mercati in una Waterloo finanziaria. Wall Street ha accusato un ribasso di oltre il 2% mentre l' Europa (indice Dj) ha perso il 2,55% bruciando in una giornata 102,5 miliardi di euro. Il giovedì nero delle Borse ha visto Milano arretrare del 2,65%, Francoforte del 3,81%, Parigi del 3,13%, Londra del 2,45%. Se l' Italia è stata colpita meno degli altri sul fronte disoccupazione (7,4% a marzo) la crisi si è però scaricata sui conti pubblici. Secondo l' Istat il rapporto deficit-Pil nel primo trimestre dell' anno ha raggiunto quota 9,3%, il peggior dato degli ultimi dieci anni. L' anno scorso era al 5,7%. È vero che, fisiologicamente, nei primi mesi dell' anno aumentano le spese e calano le entrate, ma resta la forza del dato che dovrebbe rientrare entro il tasso annuo del 5% previsto dalle principali stime. Così, a cascata, il primo trimestre mostra il saldo primario (indebitamento al netto degli interessi passivi) negativo per 16 miliardi di euro con una incidenza del 4,6% sul Pil rispetto al meno 0,8% dello stesso periodo dell' anno scorso. In calo anche le entrate fiscali del 2,8% (tendenziale 2,9%) dovuto all' effetto combinato di una diminuzione delle imposte dirette (-4,6%) di quelle indirette (-4,9%), dei contributi sociali (-0,1%) e della crescita delle altre entrate correnti (+0,9%). Una boccata d' ossigeno sui conti pubblici è arrivata dal decreto anticrisi approvato venerdì dal governo che, secondo la relazione tecnica del Tesoro allegata al testo trasmesso alla Camera, dovrebbe migliorare di quasi 1,4 miliardi di euro il saldo netto da finanziare nel triennio 2009-2011 con un effetto sul fabbisogno dello stesso importo. Dalla relazione è emerso inoltre che la stretta sulle compensazioni Iva porterà un beneficio per le casse dello Stato di 1 miliardo di euro (entro il 2011) mentre un altro miliardo arriva dall' imposta del 6% sulle plusvalenze sull' oro. Salta invece la norma che in una prima versione del testo prevedeva la reintroduzione della possibilità di pensionare d' ufficio i dipendenti della pubblica amministrazione che avessero maturato i 40 anni di anzianità contributiva. Come aveva anticipato il segretario generale dell' Ocse Angel Gurria appena dieci giorni fa, la disoccupazione nei Paesi più industrializzati del mondo e quindi quelli più colpiti dalla crisi innescata dai titoli tossici, è la vera piaga da combattere. Il rischio è che aumenti ancora di più il crollo dei consumi innescando un pericoloso effetto valanga. Purtroppo dalle stime nessuna buona notizia: il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha indicato che secondo gli esperti dell' amministrazione il tasso di disoccupazione Usa salirà oltre quota 10% nell' arco dei prossimi due-tre mesi. Roberto Bagnoli

Bagnoli Roberto

Fonte: corriere.it

 
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Istat - La gelata dei consumi più forte al Sud

Post n°51 pubblicato il 24 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Stretta sui consumi per le famiglie italiane. Da un' indagine dell' Istat, condotta su 28mila nuclei familiari, nel 2008 la spesa per consumi è aumentata dello 0,2%, che però, in termini reali, corrisponde a una flessione considerando l' inflazione di quell' anno, pari al 3,3%. In pratica le famiglie italiane hanno speso nel 2008 la stessa cifra del 2007 (in media poco più di 2.480 euro al mese) ma, considerando che i prezzi sono aumentati, le quantità di prodotti acquistati sono diminuite. Notevole il divario tra le diverse zone del Paese: al Nord la spesa media mensile è pari a 2.810 euro (+0,5% rispetto al 2007), nel Centro a 2.558 euro (+0,7%) e nel Mezzogiorno a 1.950 euro (-1,0%). A guidare la classifica è il Veneto, con 2.975 euro al mese, mentre in Sicilia, ultima in classifica, la spesa per consumi nel 2008 è stata di 1.742 euro al mese. Nella parte alta della graduatoria anche Lombardia con 2.930 euro di spesa, ed Emilia Romagna con 2.854 euro. Dall' indagine dell' Istat emerge anche l' impatto della crisi sui consumi, sempre più focalizzata sui beni di prima necessità. In tutte le regioni del Mezzogiorno gli alimenti assorbono oltre un quinto della spesa totale delle famiglie e oltre un quarto in Campania, dato legato sia alla numerosità media dei nuclei familiari del Sud d' Italia che ai crescenti vincoli di bilancio delle famiglie.

Fonte: corriere.it

 
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Draghi: «Rischio aumento dell' usura»

Post n°50 pubblicato il 23 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Il governatore di Bankitalia: «Con la crisi le imprese sono più aggredibili dalla criminalità organizzata»

ROMA- Mafia e usura. I pericoli per le imprese sono tanti, soprattutto durante la crisi economica perché sono «più facilmente aggredibili da parte della criminalità organizzata attraverso l'esercizio dell'usura nelle sue diverse configurazioni». Il governatore di Banca D'Italia Mario Draghi, durante l'audizione e alla commissione Antimafia sul riciclaggio, non nasconde paure e perplessità per il futuro delle aziende. E mette tra le priorità «l'azione di contrasto che deve farsi ancora più attenta e decisa».

L'ALLARME- Per il numero uno di Palazzo Koch «c’è un altro aspetto per cui la crisi economica ha assunto rilevanza nelle questioni di cui qui oggi ci occupiamo. Durante la crisi le imprese vedono inaridirsi i propri flussi di cassa e vedono cadere il valore di mercato del proprio patrimonio. Entrambi i fenomeni rendono le imprese più facilmente aggredibili da parte della criminalità organizzata. Anzitutto, ma non solo, attraverso l’esercizio dell’usura nelle sue diverse considerazioni».

LA STRATEGIA- Ma non è finita qui. Il governatore sostiene che al governo deve essere conferita una nuova legge delega per un testo unico sul riciclaggio. Secondo Draghi, i limiti della legge delega non consentono allo schema recentemente approvato dal Cdm di risolvere le criticità del decreto legislativo 231/2007. «Per fornire agli operatori una cornice giuridica certa è opportuno che al governo sia conferita una nuova delega per la redazione di un testo unico». Il legislatore potrebbe, innanzitutto, «specificare le modalità di applicazione e l'obbligo di astensione dal seguire le operazioni, rendere maggiormente flessibili le procure di emanazione degli indicatori di anomalia, individuare chiaramente i responsabili degli obblighi di comunicazione posti a carico degli organi interni di controllo». La delega, inoltre, a suo giudizio, dovrebbe anche «consentire di intervenire sull'apparato sanzionatorio, che presenta considerevoli profili di criticità».

Fonte: corriere.it

 

 

 
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Istat - Crisi, superata fase più grave, ancora no segnali chiari

Post n°49 pubblicato il 23 Luglio 2009 da franco_rovati
 

ROMA, 21 luglio (Reuters) - L'Istat, al pari del Bollettino economico della Banca d'Italia, pensa che la fase più grave della crisi sia superata anche se non sono ancora chiari i segnali sui tempi e l'intensità con i quali si uscirà dalle difficoltà. E' quanto ha detto il presidente dell'Istat Luigi Biggeri nell'audizione sul Dpef presso le commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato. "A partire da aprile si è osservata in Italia una prima interruzione della tendenza al crollo dell'attività produttive che sembra configurare il superamento della fase più grave della crisi, senza però che vi siano al momento segnali capaci di indicare i tempi e l'intensità del successivo recupero", ha detto Biggeri. Anche per quel che riguarda gli ordinativi, l'Istat rileva che "la velocità di caduta dell'attività produttiva si sta attenuando in maniera significativa, anche se a livello aggregato non vi sono ancora segnali di risalita". Per quel che riguarda le esportazioni Biggeri rileva che continua a contrarsi la quota verso i Paesi dell'Unione monetaria europea mentre c'è "un ulteriore rafforzamento" della quota verso l'area extra-Uem, dovuta soprattutto alla ripresa dei consumi in Cina. Biggeri ha poi segnalato che sul fronte dell'occupazione la riduzione "ha riguardato, nel confronto con un anno prima, l'autonoma (-4,5%) e non quella dipendente (+0,4%), al cui interno l'incremento degli occupati a tempo indeterminato ha compensato la marcata caduta di quelli con contratto a termine".

Fonte: reuters.it

 
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