per chi di mare ci vive (o spera, si illude o cos' gli piace pensare) l'imbarco e i momenti immediatamente precedenti sono pervasi da una magia difficile da apprezzare dall'esterno. nè facilmente scomponibile nei suoi singolari fattori.
di certo, quello strano formicolio alle gambe, quel senso di chiusura allo stomaco che sa ingannare dolcemente chi lo prova, al punto di impedirgli di mangiare. per poi scatenare l'appetito nei momenti meno opportuni.
sensazioni che si possono immaginare leggendo leopardi e la sua sera precedente al dì di festa.
ma anche la paura per l'ignoto, che in verità scema col passare degli anni e con l'avanzare di tecnologie molto poco poetiche.
e la nostalgia per quel che si lascia. affetti, abitudini, immagini, suoni, sapori, colori, destinati per un pò di tempo (spesso, tanto tempo) a sfocare, a sbiadire, a fare da base di appoggio a salsedine figlia di onde vivaci e sofferenze partorite da organizzazioni poco vicine alle esigenze del singolo.
perchè il singolo, quando vengono mollate le cime, diventa la nave. e non è così sbagliato. è quella nave che ti sostiene. è quella nave che ti riporterà indietro.
certo, è un'equazione difficile da realizzare, una sostituzione spesso impari.
ma chi davvero protende al mare come alla sposa la prima notte di nozze (di tanti anni fa...) legge nell'imbarco una sorta di rito.
c'è il fumo della nave (anche questo sempre più relegato agli anni andati...), quello di prova dei motori. e che sia colorato e denso, ruggente, è il respiro della nave, è qualcosa che deve infondere certezze e dissipare paure.
c'è la taverna, dove i bicchieri pieni fino all'orlo assorbono le chiacchiere esagerate e fantasiose, le dicerie e i saluti, i racconti che il vecchio e il mare è uno stornello in confronto. non sono esercizi di stile o di fantasia fini a se stessi.
sono esorcismi. perchè là fuori tutti stanno sulla stessa barca
e c'è anche chi le sere prima della partenza, a qualsiasi ora, davanti a quella nave va a perderci un pò di tempo. che sia un corteggiamento, che sia una preghiera.
io ti voglio bene, le dice il marinaio. tu non abbandonarmi, non ora che sono affidato a te. a te mi appoggio, reggimi. e fammi tornare a casa.
e mi pare qualcosa che si ripete da sempre, un ritornello di recitazione teatrale ancestrale, un inspiegabile fenomeno di cambiamento, un rarefarsi dell'io che lascia spazio e tempo al noi.
che sia un altrodove o un altroquando, mi piace credere che sia poco rilevante. e ci credo davvero.
tu chiamale se vuoi
EMOZIONI
Inviato da: pesciolino_1
il 27/12/2012 alle 09:18
Inviato da: sunrisesq
il 02/04/2010 alle 12:58
Inviato da: Angelika63
il 17/04/2009 alle 23:58
Inviato da: la_fata_di_roma
il 30/01/2009 alle 16:31
Inviato da: tato.milano
il 23/01/2008 alle 17:36