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L'origine di marte, Venere, Mercurio e Terra.....

Post n°2729 pubblicato il 08 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato da Focus

Mercurio, Venere, Terra, Marte: come sono nati?

Come si sono formati i pianeti rocciosi alla giusta

distanza dal Sole? Una nuova ipotesi sembra rispondere

meglio di altre alla domanda, e spiega anche perché

Marte è più piccolo di quanto dovrebbe.

ss5Il Sistema Solare potrebbe essere nato per aggregazione

di corpuscoli sempre più grandi, ma il meccanismo all'origine

non è chiaro: una nuova ipotesi aiuta a risolvere alcuni

problemi. | NASA  

Sulla nascita del Sistema Solare vi sono molte ipotesi e

ancor più problemi irrisolti, alcuni dei quali riguardano anche

la formazione dei pianeti rocciosi, come la Terra.

Una nuova idea, che prende forma da uno studio pubblicato

su Astrophysycal Journal Letters, se troverà conferma, sposta

l'attenzione sulle prime fasi di vita del Sole, quando la sua

iperattività avrebbe innescato e permesso i processi che hanno

poi portato alla formazione del Sistema Solare.

Secondo l'ipotesi più accreditata per spiegare la nascita dei

pianeti, il tutto prese avvio da una nebulosa ricca di gas e

granelli di polvere che si aggregarono tra loro per originare

piccoli corpuscoli.

Con il trascorrere del tempo questi si unirono tra loro fino a

dare vita a corpi sempre più grandi e poi a planetesimi, che

infine, unendosi, diventarono pianeti.

 

FU Orionis e la nebulosa da cui ha preso forma.

 | ESO

«Ma questa narrazione della nascita del Sistema Solare ha

dei punti deboli, in particolare per ciò che riguarda la forma-

zione dei pianeti terrestri», spiega Alexander Hubbard,

planetologo, autore dello studio.

pianeti terrestri sono quelli più vicini al Sole: nell'ordine,

Mercurio, Venere, Terra e Marte, che sono composti da rocce

silicatiche e ferro, le cui particelle non si aggregano facilmente

fra loro.

FU ORIONIS. Si sarebbero potute unire tra loro se avessero

avuto un rivestimento di ghiaccio e sostanze organiche, ma

nonostante gli oceani e la vita basata sul carbonio, il nostro

pianeta, ad esempio, ha troppo poca acqua e carbonio perché

ciò sia stato possibile.

Hubbard avrebbe trovato la soluzione al problema avanzando

una intrigante ipotesi.

Il tutto inizia nel 1937, quando una stella giovane inizia a brillare

via via sempre più intensamente, fino a 100 volte la luminosità

iniziale: è FU Orionis, a 1.600 anni luce da noi, che da allora

non ha mostrato altre variazioni.

Ma FU Orionis non è stata l'unica giovane stella a comportarsi

in quel modo: una seconda fu vista nel 1970 (V1057 Cygni), e

poi altre ancora - al punto che venne infine ufficializzata una

nuova classe di stelle, denominata variabili FU Orionis (FUor).

 

Il sistema Kepler-11: è composto da almeno 6 pianeti di tipo

terrestre che ruotano molto vicino alla stella madre. | NASA

Qui arriva l'idea di Hubbard riguardo al Sole: se anche la

nostra stella si fosse comportata allo stesso modo nelle

fasi iniziali della sua vita, l'energia prodotta sarebbe stata

sufficiente per fondere parzialmente i primi granuli di polvere,

che in quelle condizioni avrebbero potuto più facilmente

unirsi fino a diventare semi dei pianeti terrestri.

PERCHÉ MARTE È PICCOLO. Nei sistemi stellari con stelle che

non hanno sperimentato questo potente accrescimento di

energia iniziale, i grani di polvere si sarebbero fusi solo in

prossimità dell'astro, dando origine a sistemi planetari simili

a Kepler-11, dove i pianeti di tipo terrestre sono appunto molto

vicini alla stella madre.

 

La nuova ipotesi spiega anche perché Marte è molto più

piccolo rispetto alla Terra e a Venere. | NASA

L'idea di Hubbard sembra però ancora più potente, perché

risponde anche a un altro dilemma, una questione mai

del tutto chiarita che riguarda la dimensione di Marte.

Il Pianeta Rosso ha un raggio che è poco più della metà

di quello della Terra: si ritiene che non crebbe ulteriormente

a causa dell'interferenza gravitazionale di Giove.

Il gigante gassoso potrebbe però non aver avuto influenza

su Marte che, a quella distanza dal Sole, avrebbe potuto

giovarsi solo in parte del surplus di energia messo in campo

dalla nostra stella.

Se diamo credito all'ipotesi di Hubbard, le temperature nella

zona di Marte non erano abbastanza alte da favorire in modo

adeguato quella parziale fusione delle polveri, col risultato che

vediamo oggi: il nostro affascinante vicino ha una massa

che è di circa l'11% della nostra.

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