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Il perchèdei tratti gentili della razza europoide.

Post n°2822 pubblicato il 27 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet
06 dicembre 2019

Il gene dei nostri tratti gentili

di Emily Willingham/Scientific American
© Cultura / AGF

 Un cambiamento genetico potrebbe essere all'origine dei tratti

facciali degli esseri umani moderni, meno marcati rispetto a quelli

dei nostri antichi cugini Neanderthal

EVOLUZIONE NEANDERTHAL GENETICA

Le rappresentazioni di Neanderthal, i nostri antichi partner occasionali

di accoppiamento, di solito mostrano tratti del viso che sono più grandi

e marcati dei nostri, una fronte sfuggente e bassa, e sopracciglia folte.

In confronto, i nostri occhi, naso e bocca sono più piccoli e occupano

meno spazio nel viso.

Sebbene molti primati inizino la vita con questo aspetto più delicato, noi

siamo gli unici a mantenerlo nell'età adulta.

Un'ipotesi su come gli esseri umani siano passati dallo sviluppo, nella

maturità, di un robusto volto neanderthaliano al mantenimento di tratti più

gentili per tutta la vita si basa sull'idea di un'"auto-domesticazione" del

nostro viso.

L'idea suggerisce che, mentre gli esseri umani si affidavano sempre di più

alle interazioni sociali pacifiche, i nostri antenati abbiano iniziato a selezionare

compagni con caratteristiche meno aggressive, nell'aspetto del viso così

come in altri tratti.

Ma finora le prove genetiche che collegano le caratteristiche facciali a questo

processo di auto-domesticazione sono state scarse.

Un nuovo studio pubblicato su "Science Advances" fornisce il collegamento

mancante.

I risultati mostrano che i cambiamenti del DNA sottostanti allo svilupp

o facciale differiscono nettamente tra gli esseri umani di oggi e i nostri

parenti estinti più vicini, Neanderthaliani e Denisoviani, un altro antico

ramo dell'albero genealogico umano.

Sono le differenze che ci si aspetterebbe se gli umani moderni fossero

una specie auto-addomesticata, afferma Richard Wrangham, professore di

antropologia biologica alla Harvard University, non coinvolto nel lavoro.

Studi precedenti avevano considerato geni potenzialmente legati alla

domesticazione negli esseri umani, spiega Wrangham, ma il "progresso

cruciale" del nuovo articolo sta nell'individuare un candidato gene importante

correlandolo a un risultato previsto della domesticazione: caratteristiche

facciali più fini.

Per scoprire questo collegamento, gli autori hanno usato cellule di persone

con un disturbo genetico ben definito, chiamato sindrome di Williams-

Beuren. Caratteristiche facciali e comportamenti delle persone con questa

sindrome tendono fortemente verso l'estremo più amichevole dello spettro

umano.

I ricercatori hanno ipotizzato che i cambiamenti del DNA alla base di questi

tratti potrebbero aiutare a spiegare la genetica dell'evoluzione facciale umana

. I geni correlati alla Williams-Beuren su cui si sono concentrati gli scienziati

guidano migrazione e azione delle cellule della cresta neurale, che hanno

diversi compiti nel primo sviluppo embrionale: uno è contribuire a costruire

le ossa del viso.

Per questo lavoro, Matteo Zanella, dell'Università degli Studi di Milano, e i

suoi colleghi si sono focalizzati su BAZ1B, un gene associato alla Williams-Beuren,

che regola la migrazione delle cellule della cresta neurale.

Utilizzando cellule prelevate da persone con e senza sindrome di Williams-Beuren,

i ricercatori hanno valutato l'impatto di diverse "dosi" di questo gene.

Hanno così scoperto che BAZ1B è un "sistema di controllo principale" delle

cellule della cresta neurale, con effetti diversi a basse o alte dosi.

I ricercatori hanno quindi confrontato le sequenze di DNA che interagiscono

con BAZ1B negli esseri umani moderni con le stesse regioni nel DNA di antichi

esseri umani.

Tra le due c'erano differenze, affermano gli autori: quelle degli esseri umani moderni

hanno una lieve alterazione dell'attività della cresta neurale rispetto alla piena

potenza dei suoi effetti, non gravata da alcuna alterazione, nei Neanderthaliani

e nei Denisoviani.

Il risultato del leggero scostamento negli esseri umani moderni è nei nostri tratti

facciali più contenuti.

I ricercatori suggeriscono che la versione più delicata delle caratteristiche facciali

si diffuse ampiamente tra gli esseri umani mentre si avviavano verso uno stile di

vita più sociale e meno aggressivo.

Faccia da Denisovadi Giovanni SabatoUsare un disturbo genetico ben caratterizzato

come la Williams-Beuren è un buon modo per studiare i geni coinvolti in processi di

sviluppo come quello del viso, afferma Marcelo Sánchez-Villagra, professore di

paleobiologia all'Università di Zurigo, non coinvolto nel lavoro.

Simili strumenti aprono la strada alla comprensione di quello che è accaduto durante

una fase critica dell'evoluzione umana, afferma lo scienziato.

L'autore senior dello studio, Giuseppe Testa, professore di biologia molecolare

all'Università degli Studi di Milano, sottolinea il contributo dei soggetti con

sindrome di Williams-Beuren al lavoro.

"È entusiasmante ma anche molto bello dal punto di vista scientifico pensare alla

diversità genetica alla base di queste sindromi come a un mosaico che, adeguatamente

indagato, può far luce sul nostro passato", afferma.

Il gruppo di Testa ha anche identificato altri geni con possibili collegamenti a

comportamenti sociali associati all'auto-domesticazione.

Uno di questi, FOXP2, è coinvolto nella nostra capacità di parlare. Wrangham

afferma che sarà importante esaminare i geni collegati a una riduzione delle

dimensioni del cervello, in cui le cellule della cresta neurale non svolgono

un ruolo: i Neanderthal avevano un cervello più grande degli esseri umani

moderni.

Testa considera gli studi che confrontano il DNA umano moderno e antico

come un'enorme opportunità.

"Abbiamo davvero iniziato ad aprire un campo di ricerca che poggia sulle spalle

di molti giganti e che speriamo possa attirarne molti altri", conclude.

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American"

il 4 dicembre 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione

autorizzata, tutti i diritti riservati.) 

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