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ALTRI LIBRI DA LEGGERE....

Post n°1792 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli

FONTE: INTERNET

È un gioco con le pedine di Alta fedeltà

e una pesca a setaccio nel cassetto dei

ricordi: ciascuno di questi romanzi

possiede quella misteriosa scintilla che

è rimasta accesa nella memoria di un

lettore, la mia.

Insieme a molti altri, testimoniando forse

la salute della narrativa italiana

contemporanea.

Prendetelo con l'ironia che Luciano Bianciardi

profuse nelle sue lezioni per diventare un

intellettuale, "dedicate in particolare ai

giovani privi di talento". Pubblicate a puntate

nel 1967 sulla rivista ABC, qualche anno fa

sono state raccolte da Stampa alternativa

in una deliziosa antologia dal titolo che mi

sento di condividere: Non leggete i libri,

fateveli raccontare.

Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti (2002)

Non è strano digitare oggi su Google il

nome di questo libro e trovare ai primi

posti i siti di riassunti scolastici? Il secondo

romanzo di Niccolò Ammaniti ebbe un

fulmineo passaggio al rango di classico:

alle medie gli insegnanti lo consigliano

fra i libri per l'estate, accanto ai vari Tom

Sawyer e Barone rampante. E allora

leggiamolo oppure rileggiamolo, da genitori,

che a raccontarlo per immagini ci ha già

pensato il bel film di Gabriele Salvatores 

a cui lo stesso autore ha contribuito per

la sceneggiatura. L'estate infuocata di

un borgo del sud Italia sorprende nel

1978 Michele, nove anni, con un segreto

terribile che segnerà per sempre la  sua

infanzia. Al ritmo serrato di una pedalata

col cuore in gola su un dirupo, l'autore

esplora i meccanismi psicologici della pubertà

e le dinamiche di gruppo, costantemente

in bilico fra voglia di trasgressione e un

disperato bisogno di normalità, fino alla

drammatica scoperta che il mondo degli

adulti non ha proprio le sembianze del 

paradiso.

Un romanzo di contrasti accecanti - le

paure immaginarie dell'infanzia e la crudeltà

reale del mondo, la forza dell'amicizia e la

miseria del tradimento, la luce del giorno

e il buio della notte, il dramma sociale e

quello quotidiano - dove pensiero e

azione si danno il cambio in un serratissimo

 continuum narrativo. Memorabile l'incipit

con la sequenza cinematografica delle

biciclette che sfrecciano fra i campi di

grano, i ragazzi che il protagonista vede

salire sulla cima la collina "lasciandosi

dietro una coda di steli abbattuti".

E il finale che rimanda al misterioso,

inscindibile legame tra padre e figlio.

Niccolò Ammaniti
Io non ho paura
Einaudi
219 pp.

Viaggio nel cratere, di Franco Arminio (2003)

Certi paesi sono letteratura e come tali

non interessano più a nessuno. Nessuno

tranne Franco Arminio da Bisaccia, poeta

e scrittore ribattezzatosi paesologo che

con questo viaggio - incollocabile fra i

generi letterari - introduce a una scienza

nuova che forse è sempre esistita, sul

confine tra geografia e metafisica. Una

scienza difettosa, confessa il suo artefice,

"che consente di perdere tempo senza

sentirsi fuori dalla corsa". I paesi dell'Irpinia

terremotata vi appaiono nelle sembianze

di grumi di case in bilico, frammenti di un

catalogo in estinzione. Nelle vie e nelle

piazze, nei bar e nei circoli, nelle stanze

diroccate dei borghi, nella compostezza

introversa dei volti chi non si aspetta

niente c'è la fotografia di quella stagione

dell'esistenza in cui capiamo che non

saremo più felici.

Ma nella prosa di Arminio i paesi sono

come fiocchi di neve: improvvisamente

prendono vita in un dettaglio qualunque

(il mio preferito: l'uomo di Montaguto che

di mattina fa il postino e di pomeriggio il

barbiere a domicilio) finché l'infinito disfarsi

delle cose e del mondo acquista una

dimensione onirica, rarefatta, universale.

È un romanzo capace di descrivere il sisma

della modernità omologatrice con antenne

di rara percezione. L'impegno civile, ibridato

con la poesia, stempera nella luce e nel

silenzio ogni equivoco di nostalgia, lasciando

il lettore in balia di un vaga urgenza di partire.

Franco Arminio
Viaggio nel cratere
Sironi
185 pp.

Un altro giro di giostra, di Tiziano Terzani (2004)

Il lascito di Tiziano Terzani, morto poco

dopo la sua pubblicazione, è uno dei libri

a cui mi capita di tornare più spesso.

Mi fa l'effetto, aprendolo a caso, di staccarmi

da terra e per un attimo alzarmi in volo,

improvvisamente percepire il mondo da

una prospettiva. E ritrovare serenità.

Gli ultimi sette anni di vita del giornalista-

scrittore fiorentino, palpitanti di passioni,

impegno civile e spirituale, ironia e amore,

rappresentano la summa delle grandi

domande sull'identità del genere umano

e contengono i semi di una rivoluzione

"dal piccolo al grande". "Un libro su quel

che non va nelle nostre vite di uomini e

donne moderni e su quel che è ancora

splendido nell'universo fuori e dentro di noi":

scritto nell'istante che precede il distacco.

Malato di cancro, Terzani si mette in cammino

alla ricerca di una cura per il corpo e per la

mente. In una serie di memorabili incontri

passa in rassegna il campionario sterminato

di rimedi messi a punto nel tempo dalle culture

d'Occidente e d'Oriente.

Poi la svolta, la presa di coscienza che

"la vita e la morte sono due aspetti della

stessa cosa". Terzani si prepara a lasciare

 il corpo vecchio indossando i panni di Anam

il senzanome, in compagnia di un vecchio 

sadhu. Pare ancora di sentirla, la sua risata

contagiosa. La morte? Eccomi qui, senza

paura, senza rancore. Nel libro è contenuto

anche il senso profondo dell'idea di non

violenza alla base delle Lettere contro la guerra,

pubblicate nel 2002 come risposta alla

deriva occidentale dopo l'11 settembre:

un'idea che nel pensiero orientale non

significa soltanto "non uccidere", ma

concepire gli altri come parte di un tutto

di cui noi stessi facciamo parte. L'idea 

di quel cambiamento radicale delle coscienze

che Terzani ha consegnato ai posteri

insieme alla favola della propria vita.

Tiziano Terzani
Un altro giro di giostra
Longanesi
578 pp.

Gomorra, di Roberto Saviano (2006)

Quattro citazioni emblematiche introducono

il romanzo d'inchiesta che ha squassato la

moderna narrativa italiana, best seller 

internazionale, e ne anticipano l'ambizione

etica, storico-politica, sociale e sociologica,

economica e antropologica: Hannah Arendt, 

Macchiavelli, l'Al Pacino di Scarface e una i

ntercettazione telefonica ("La gente sono

vermi e devono rimanere vermi").

Al decadimento morale e umano della città

biblica cui allude il titolo si aggiunge la

spettacolarizzazione mediatica della rete

criminale protagonista del romanzo, la

camorra divenuta impero e sistema alternativo

allo Stato nel quale si è insinuato come un

cancro profittando del liberismo senza

regole che governa l'economia di mercato.

Ma si può leggere Gomorra come un

"semplice" romanzo d'avventure? Sì,

anche se non ci sono dialoghi né una

vera e propria trama, né personaggi-eroi

né tutto sommato quasi mai suspence.

Raccontato per sequenze, come un film

a episodi (seguiranno appunto uno

spettacolo teatrale, il crudo lungometraggio

di Matteo Garrone e una popolare serie

televisiva), Gomorra coinvolge e disturba,

emoziona e inquieta, eccita e sconcerta -

diversamente per esempio da un vecchio

capolavoro di mafia come Il padrino di Mario

Puzo (1969) - soprattutto per il profilo

underground e per l'ossessiva tensione

mimetica, quasi messianica della voce narrante

nella terra del peccato. "Maledetti bastardi,

sono ancora vivo!" Dopo dieci anni di minacce

reali da parte della camorra, l'urlo liberatorio

con cui si chiudeva il romanzo è l'espressione

di un tragico cortocircuito in seno alla nostra

società. Dal reale alla fiction, e ritorno.

Roberto Saviano
Gomorra
Mondadori
333 pp.

Il tempo materiale, di Giorgio Vasta (2008)

Nel paesaggio geroglifico di una Palermo

scostumata e scrostata, fradicia di conformismo

e ataviche assuefazioni, tre ragazzini

undicenni si costruiscono un'iniziazione privata

replicando nel microcosmo di provincia

la deriva violenta dell'utopia nel terribile

1978, l'anno dell'assassinio di Moro

da parte delle Br. La "costruzione

dell'odio geometrico" procede verso

la disfatta in una foresta di allegorie

che usano l'immaginario collettivo di fine

Settanta - televisione, fumetti, politica,

perfino i mondiali di calcio con l'indio

Passarella nei panni di eroe - come

una trappola antinostalgica, un frullato

al veleno.

Quello che cerco, scriverà poi Vasta in

un passo del successivo romanzo 

Spaesamento, è la "metamorfosi della

malinconia in una rabbia adulta che sia

coraggiosa e corra il rischio del dolore":

nel Tempo materiale il lettore la trova a

patto che accetti la pugnalata senza

filtro di un linguaggio abrasivo come

una rasoiata punk. Un linguaggio 

divenuto polimorfo evocatore di sensi

(con alcune vette espressive come la

genia di neologismi, da alfamuto a pornonido)

e metafora di quello "spaventoso esercizio

di controllo sulle cose" che la fissazione

prepuberale del protagonista Nimbo

aveva confuso con l'ingresso nel mondo

adulto. Avevo voglia di essere colpevole,

dice nel punto chiave: colpevole di linguaggio.

Giorgio Vasta
Il tempo materiale
minimum fax
276 pp.

Accabadora, di Michela Murgia (2009)

Le prime sette pagine di questo romanzo,

il capitolo primo, sono la folgorante introduzione

a una storia misteriosa e bella, bella "come

lo sono a volte le cose cattive". Maria e

Tzia Bonaria. Fill'e anima la prima, una

figlia acquisita strappata alla miseria della

famiglia naturale; madre acquisita la

seconda, una madre nuova ma vecchia,

portatrice di un sapere sciamanico che

l'ha eletta ad accabadora dell'immaginario

paese di Soreni: colei che aiuta nel trapasso.

Sullo sfondo polveroso della Sardegna, isola

-archetipo di simbologie, allusioni, patti taciti

e trame millenarie, Murgia ricama "pensieri

che non sopportano la luce piena", mescolando

poesia e coraggio nel frantumare tabù sul

senso della vita, dell'amore e della morte.

Un romanzo di sensazioni fisiche che odora

di gueffus, pietra a secco e terra impastata

col fango, anticipatore di questioni divenute

oggi finalmente cruciali non solo per le

coscienze ma anche per i legislatori: quelle

legate alla supremazia (biologica o culturale?)

dei codici che regolano i rapporti affettivi della

nostra specie, come il diritto di amare ed

essere amati senza essere discriminati.

Michela Murgia
Accabadora
Einaudi
165 pp.

Il signore delle lacrime, di Antonio Franchini (2010)

È un romanzo che si confronta - in realtà

sottraendosi al confronto, l'autore dichiara

fin da subito il suo status di "turista" - con

i reportage dall'India dei grandi narratori-

viaggiatori novecenteschi: Pasolini, Moravia,

Manganelli, Tabucchi. Rimane nel cuore

come una promessa e come una spina:

oh l'India che attrae e repelle, cassaforte

di umanità e fabbrica di mitologie, sterco

di vacca e braci di scheletri, tigre del

progresso e avvoltoio corrotto, potenza

nucleare e baluardo della mitezza universale.

Franchini cede a questa antica mitopoiesi

e parte per Delhi con due amici francesi

appassionati di fotografia, affetti dalla

classica ipercinesi da pillola esotica.

Da Varanasi a Rishikesh lo sguardo

del viaggiatore riluttante a poco a poco

diventa memoria, meditazione, racconto.

Un libro il cui fascino proviene anche dal

substrato teoretico insieme aperto e

apodittico, con il controcanto affidato,

come fosse un sitar, a brevi citazioni

delle Upanishad e altre sacre scritture

dell'induismo, "musica di fondo" a spezzare

splendori e miserie del passaggio in India

di un occidentale qualunque. Priva di una

morale e di un senso definitivo, la narrazione

segue un ritmo ipnotico e circolare, come

inscritta nell'incessante scorrere della

vita nella quale frullano altrettanto

incessantemente i ricordi e i pensieri

sulla vita e la morte, la paternità, l'eros,

il destino, il tempo. Che è poi l'eredità

forse più autentica e sincera dell'India,

per chi l'ha saputa viaggiare: lasciar fluire

il dolore cioè accettare la sfida di Siva,

l'asceta erotico, "colui che fa piangere

ma anche colui che piange". Assistere

per un istante alla corazza dell'io che 

si sfalda, e stare a vedere cosa succede.

Antonio Franchini
Signore delle lacrime
Marsilio
128 pp.

Mandami tanta vita, di Paolo Di Paolo (2013)

Una carica d'innocenza, un intimo

idealismo, un indomito sussulto

vitale pervadono questo romanzo

ispirato dalla figura storica di Piero

Gobetti, icona antifascista della cui

dimensione privata è in atto una

riscoperta culminata nell'antologia 

Avanti nella lotta, amore mio!, curata

dallo stesso Di Paolo. Nella Torino

degli anni Venti le esistenze di

Piero e Moraldo, due ragazzi

dall'approccio alla vita diametralmente

opposto, sembrano legate da un filo

invisibile e misterioso. Ne seguiamo

gli andirivieni da Torino a Parigi,

mentre i fascisti al potere imbrigliano

le coscienze dando il la alla grande

allucinazione collettiva.

Storia e finzione si compenetrano

con leggiadria a disegnare l'arco della

 giovinezza come l'età magica -

dolorosamente magica - della vita,

quella in cui il potere della creazione

è puro come la luce del primo mattino

ma anche quella che getta le basi per

il male di vivere. Quand'è che, senza

farci caso, diventiamo la maschera di

noi stessi? si domanda Moraldo e

intanto proietta l'immagine di sé in

quella di Piero, l'uomo prigioniero

della sua giovinezza, l'inscalfibile

combattente che stipò "dentro

ventiquattro anni ciò che altri non

riescono a compiere in una vita lunga il triplo".

Paolo Di Paolo
Mandami tanta vita
Feltrinelli
158 pp.

La gemella H, di Giorgio Falco (2014)

È un romanzo generazionale pieno di

malinconia euforica, simile al pensiero

del mare nell'estate che deve ancora

venire. Un giovane giornalista bavarese

mette su famiglia in una cittadina di

provincia poco prima dello schianto

del Reich, cui aveva aderito per

conformismo borghese o forse solo

per ambizione economica.

L'azione si sposta poi vorticosamente

nella Milano livida del dopoguerra e

infine sulla riviera romagnola, dove il

capostipite Hans dopo la morte della

moglie ricostruisce una vita per sé e

per le figlie Helga e Hilde. Un nuovo

mondo sotto la cappa oscura della

dimenticanza, accordato al ritmo

della ricostruzione che addomestica 

la natura col cemento, la televisione,

i rituali del consumo.

La storia è ricostruita in un lungo 

stream of consciousness dalla più

fragile e sensibile delle gemelle,

Hilde, per il cui destino inquieto

si parteggia con passione. Replicare

nella sfera economica e finanziaria

le dinamiche totalitarie applicate ai

rapporti lavorativi e familiari:

ricominciare a vivere significa, purtroppo,

anche questo. Mentre la sua morale non

lascia scampo, La gemella H è in realtà un

romanzo eccezionalmente denso di rimandi,

luoghi, immagini, visioni, digressioni e

trasgressioni: da togliere il fiato.

Giorgio Falco
La gemella H
Einaudi
354 pp.

La ferocia, di Nicola Lagioia (2014)

Capitolo finale di una trilogia iniziata

con i precedenti Occidente per principianti

(2004) e Riportando tutto a casa (2009),

trasfigura in termini narrativi gli ultimi

trent'anni di storia italiana, applicando

a tutto campo il concetto di ferocia:

dal particolare all'universale e viceversa,

squadernandoci così davanti agli occhi,

con un pizzico di ferocia, com'è che va il

nostro mondo. La dinastia dei Salvemini,

potenti costruttori baresi, viene sconvolta

dalla morte della trentenne primogenita,

Clara. Sul canovaccio noir lo scavo nella

psicologia delle persone - su tutti quella

della sfuggente protagonista ricostruita 

in flashback ("un imprendibile composto

di pensieri altrui") - si estende agli oscuri

meandri di una famiglia potente avviata

verso la rovina, poi alla residualità

corrotta della borghesia imprenditoriale

italiana di questo scorcio di millennio,

per arrivare a sfiorare le radici più

profonde dell'angoscia e del male.

La prosa di Nicola Lagioia è prensile,

coinvolgente, tensiva. Possiede il dono

o meglio la tecnica straniante, come è

stato detto, di "far vedere tutto come

per la prima (o l'ultima) volta". Privo dei

guizzi virtuosistici dei precedenti romanzi,

più strutturato senza perdere in empatia

e immediatezza, La ferocia ha una densità

e un respiro da romanzo internazionale,

pur raccontando una storia molto italiana.

Nicola Lagioia
La ferocia
Einaudi
415 pp.

[La lista è stata pubblicata la prima volta

nel marzo del 2016; è stata aggiornata

nel maggio del 2018 con altri cinque titoli]

© Riproduzione Riservata

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