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« La preistoria della Sicilia.Le impronte dei terremoti. »

Dalla Nuova Zelanda.

Post n°3433 pubblicato il 07 Luglio 2021 da blogtecaolivelli

 03 maggio 2021

Comunicato stampa

Dai mari della Nuova Zelanda una importante

scoperta sul rapporto tra materiali argillosi e

terremoti

Fonte: Ingv Baia dell'abbondanza, Nuova Zelanda del nord (© mountlynx/iStock) Analizzati con un nuovo metodo

presso i laboratori INGV i sedimenti argillosi

provenienti dal margine di subduzione neozelandese

di Hikurangi, zona in passato luogo di tsunami e

terremotiDISASTRI NATURALI SCIENZE DELLA TERRA

I materiali argillosi delle faglie presenti nelle zone

di subduzione, cioè dove una placca tettonica

scivola al di sotto di un'altra placca, trattengono

al loro interno un "cuscinetto d'acqua" e ciò fa sì

che essi favoriscano terremoti potenzialmente

capaci a provocare tsunami.

 Questo è il risultato dello studio "Fluid pressurisation

and earthquake propagation in the Hikurangi subduction

zone", condotto grazie alla collaborazione tra l'Istituto

Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, le Università di

Pisa e Padova, e la University College London, su

alcuni campioni provenienti dalla zona di Hikurangi in

Nuova Zelanda.

Il lavoro è stato pubblicato di 'Nature Communications'.

 "Nelle zone di subduzione" spiega Stefano Aretusini,

ricercatore dell'INGV e primo autore dello studio,

"lo scivolamento sismico che avviene a profondità

crostali ridotte può portare alla generazione di

sunami e terremoti.

A causa delle difficoltà sperimentali nel deformare i

materiali presenti in queste aree, i processi fisici che

riducono la resistenza della spinta cui è sottoposta

la faglia sono poco conosciuti.

Analizzando in laboratorio il comportamento dei

campioni prelevati nella zona di subduzione di

Hikurangi", prosegue il ricercatore, "abbiamo scoperto

che le argille presenti tendono ad avere una bassa

resistenza alle spinte sismiche a causa dell'acqua in

pressione che trattengono al loro interno". 

Per studiare il comportamento di queste argille

provenienti dalla faglia i ricercatori hanno condotto

degli esperimenti sui numerosi campioni raccolti

durante la campagna internazionale di perforazione

"Integrated Ocean Drilling Program 375" effettuata

nel 2018 a largo dell'Isola Nord della Nuova

Zelanda, a cui ha partecipato la professoressa

Francesca Meneghini dell'Università di Pisa, seconda

autrice del lavoro pubblicato.

 Fig. a)  Schema della zona di subduzione di Hikurangi

(la linea rossa indica il profilo nel pannello b) Fig.

b) Posizione della perforazione oceanica IODP

(linea verde) e della faglia di subduzione (linea rossa)

Fig. c) Come appare il materiale di faglia ricco in argilla

©IngvIn dettaglio, sono stati polverizzati i campioni

delle rocce presenti all'interno della faglia.

Le polveri sono state testate nel Laboratorio Alta

Pressione e Alte Temperature (HP-HT) dell'INGV attraverso

un sofisticato apparato, SHIVA (Slow to High Velocity

Apparatus) finanziato dall'European Research

Council su un progetto di Giulio Di Toro, dell'Università

di Padova e co-autore di questo studio, e riproduce

il "motore" dei terremoti (la faglia) permettendo di

osservare quello che accade all'interno della crosta

terrestre e le deformazioni subite dalla roccia sotto

fortissime pressioni.

All'interno di SHIVA, le polverisono state analizzate

attraverso un nuovo metodo che ha consentito di t

rattenere al loro interno l'acqua mentre erano deformate

alle velocità tipiche dei terremoti. 

 Attraverso i test di controllo condotti su un materiale le

cui caratteristiche sono note, una polvere di marmo di

Carrara, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che

queste argille favoriscono lo scorrimento sismico della

faglia proprio a causa della loro capacità di trattenere

acqua, caratteristica che le rende più 'deboli'. 

"Quando ho deciso di partecipare alla spedizione oceano-

grafica", racconta Francesca Meneghini, "ho subito

contattato i colleghi dell'INGV e dell'Università di Padova,

coi quali collaboro da anni, certa che fosse un'opportunità

unica per testare la nuova tecnica sperimentale

sviluppata all'Istituto e dare un ulteriore contributo alla

nostra conoscenza dei fenomeni sismici". 

"I successivi sviluppi di questa ricerca", conclude Stefano

Aretusini, "saranno quelli di analizzare con lo stesso

metodo anche altri tipi di materiali campionati durante

la missione per cercare di comprendere quali tra essi

possono favorire il processo di scuotimento sismico

una volta arrivati alla zona di subduzione". 

Dove: Lo studio "Fluid pressurisation and earthquake

propagation in the Hikurangi subduction zone" è stato

pubblicato sulla rivista internazionale Nature

Communications.https://www.nature.com/articles/s

41467-021-22805-w

(La redazione di Le Scienze non è responsabile del

testo di questo comunicato stampa, che è stato

pubblicato integralmente e senza variazioni

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