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Messaggi di Agosto 2019

Quando i nostri antenati andarono a vivere sulle montagne...

Post n°2320 pubblicato il 28 Agosto 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

12 agosto 2019

I primi insediamenti in quota

della preistoria africana

Panorama delle Montagne di Bale,

in Etiopia (agefotostock/AGF) I nostri

antenati si adattarono a vivere a

4000 metri di altitudine già 45.000

anni fa, nel pieno dell'ultima glaciazione.

Lo rivela l'analisi dei sedimenti del sito

di Fincha Abera, in Etiopia, indicando

notevoli capacità di adattamento all'ambiente

I nostri antenati africani si erano

stabiliti sulle montagne già nel periodo

Paleolitico, circa 45.000 anni fa, nel

pieno dell'ultima glaciazione.

Lo hanno scoperto Bruno Glaser, della

Martin Luther University Halle-Wittenberg

di Halle, in Germania, e colleghi di un'ampia

collaborazione internazionale, studiando

i resti preistorici delle Montagne di Bale,

in Etiopia.

Lo studio, descritto su "Science", fornisce

nuove informazioni sull'inizio degli insediamenti

preistorici in quota, in contrasto con le

valutazioni fatte finora, che ritenevano più

probabile che gli insediamenti paleolitici

fossero concentrati a basse quote.

I dati indicano perciò una notevole capacità

di adattamento fisico e culturale alle

condizioni ambientali avverse.

Quella studiata è infatti una regione nel

sud dell'Etiopia piuttosto inospitale.

Posta a circa 4000 metri di quota, oggi è

caratterizzata da un'aria molto rarefatta,

quindi povera di ossigeno, da precipitazioni

frequenti e da un'elevata escursione

termica tra giorno e notte.

E 45.000 anni fa erano lande fredde e con

molti ghiacciai.

"A causa di queste condizioni di vita avverse,

finora si ipotizzava che gli esseri umani si

fossero stabiliti in questa regione afro-alpina

solo in un'epoca molto posteriore e per un

periodo di tempo limitato", ha spiegato Glaser.

Invece il quadro che emerge dalle analisi

è diverso.

Da anni Glaser e colleghi studiano alcuni

affioramenti rocciosi nel sito di Fincha Habera,

sulle Montagne di Bale, da cui hanno estratto

diversi reperti archeologici, come manufatti in

pietra, frammenti di argilla, e perline di vetro.

Analisi più approfondite dei sedimenti con

metodi geochimici e glaciologici hanno fornito

ora una caratterizzazione completa di resti di

materiale biologico e di nutrienti presenti nei

suoli, nonché delle possibili condizioni di

temperatura, umidità e livello di precipitazioni

della zona durante il Paleolitico.

Insieme alla datazione al radiocarbonio i dati

così raccolti hanno permesso di stimare da

quante persone era occupato il sito e per

quanto tempo.

Il sito di FIncha Habera

(Credit: Götz Ossendorf)
Ne emerge un modello assai articolato

della vita di questi nostri antichi antenati.

Il sito di Fincha Habera è stato occupato

in un'epoca non ben definita tra 47.000 e

31.000 anni fa.

Si trovava al limite di un ghiacciaio: ciò

garantiva agli abitanti abbondanza d'acqua,

mentre probabilmente le condizioni a basse

quote erano troppo secche per la soprav-

vivenza. Per quanto riguarda il cibo, sembra

invece che il nutrimento principale fosse il

ratto-talpa gigante, un roditore di grandi

dimensioni molto diffuso nella zona.

Semplice da catturare, grazie anche alla

facilità di reperire ossidiana per fabbricare

utensili e armi in pietra, l'animale forniva

il nutrimento necessario in una regione

così difficile.

I dati raccolti con le analisi del suolo hanno

rivelato infine un secondo insediamento umano

iniziato 10.000 anni a.C.: i campioni di suolo

contengono per la prima volta escrementi di

animali da pascolo, il che indica probabilmente

l'avvento di nuovi metodi di sostentamento

e sfruttamento del territorio. (red)

 
 
 

La nuova fisica

Post n°2319 pubblicato il 20 Agosto 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

Spettro ad altissima risoluzione registrato

su un campione di molecole ultra-fredde

grazie alle eccezionali proprietà di stabilità

e coerenza del pettine di frequenze

nell'infrarosso Ricercatori dell'Istituto

nazionale di ottica (Cnr-Ino) hanno ottenuto

una particolare emissione di radiazione,

costituita da 'pettini' di luce infrarossa,

dalle eccezionali proprietà di stabilità e

coerenza, da sorgenti laser a cascata

quantica miniaturizzate.

Questo risultato rappresenta un importante

traguardo nel controllo delle proprietà di

emissione dei laser a semiconduttore e

apre nuove prospettive nel campo della

Fisica applicata e fondamentale.

In particolare, l'utilizzo di radiazione da

laser controllati con queste tecniche,

assorbita da un campione di molecole

ultra-fredde, ha consentito studi

spettroscopici con livelli di precisione mai

raggiunti prima.

I risultati sono pubblicati su "Nature Photonics",

"Nature Communications", e "Optica"

Un team di ricercatori dell'Istituto nazionale

di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche

(Cnr-Ino), presso il Laboratorio europeo di

spettroscopia nonlineare (Lens) di Firenze,

sfruttando le caratteristiche peculiari dei

laser a cascata quantica (Qcl) costruiti anche

presso l'Istituto di nanoscienze del Cnr e

Scuola Normale Superiore di Pisa nel gruppo

di ricerca coordinato da Miriam Vitiello, ha

dimostrato un nuovo metodo per controllare

l'emissione di molte frequenze (pettine), da

sorgenti laser miniaturizzate, con estrema

precisione, come se si trattasse di una

frequenza unica, anche in regioni spettrali

di difficile accesso come il medio e il

lontano infrarosso.
I risultati, pubblicati su "Nature Photonics"

(https://doi.org/10.1038/s41566-019-0451-1)

e "Nature Communications" (https://doi.org/

10.1038/s41467-019-10913-7), sono stati

ottenuti in collaborazione con l'Agenzia spaziale

italiana (Asi) di Matera e con prestigiosi partner

europei, quali il Politecnico federale di Zurigo (Ch)

e l'Università di Leeds (Uk).

"Il successo di questi esperimenti si basa

innanzitutto sulle metodologie uniche al mondo

sviluppate negli anni dal nostro gruppo per il

controllo dei laser a cascata quantica", spiega

Paolo De Natale, autore delle ricerche e

direttore del Cnr-Ino.

"Queste sofisticate tecnologie sono il frutto di

una forte sinergia con uno spin-off del Cnr,

ppqSense Srl, che ha contribuito alla ricerca

realizzando sistemi elettronici compatti con

livelli estremamente bassi di rumore.

Oltre alle ricadute dirette nel campo della

metrologia di tempo e frequenza, lo studio

promette di incidere profondamente su vari

settori emergenti della Fisica moderna.

Per esempio, la possibilità di controllare, con

sistemi miniaturizzati, le emissioni di singole

o molteplici frequenze nell'infrarosso potrà

aprire questa ampia regione spettrale al

settore strategico delle tecnologie quantistiche.

Sarà possibile, inoltre, lo studio di molecole

in condizioni estreme".

In questo ambito si colloca il lavoro condotto

dai ricercatori del Cnr-Ino di Napoli e pubblicato

su Optica (https://doi.org/10.1364/OPTICA.6.000436).

"Qui le proprietà di coerenza e stabilità dei

pettini di frequenze sono state utilizzate per

costruire uno spettrometro in grado di osservare

l'assorbimento di luce da parte di molecole

ultra-fredde (a temperature di pochi gradi Kelvin)

con livelli di sensibilità e risoluzione mai raggiunti

prima", spiega Pasquale Maddaloni del Cnr-Ino,

coordinatore di questa ricerca.

In conclusione, lo sviluppo combinato di

metodologie avanzate per il raffreddamento

molecolare e per il controllo di sistemi laser

miniaturizzati permetterà, come è già avvenuto

per gli atomi, di effettuare nuovi test di Fisica

fondamentale, anche oltre il modello standard

(interazioni di quinta forza, variazione temporale

delle costanti fondamentali).

Al contempo, questo connubio aprirà la strada

a tecnologie quantistiche di frontiera, basate

su sistemi molecolari, fenomenologicamente

molto più ricchi dei più semplici atomi fino ad

oggi utilizzati.

 
 
 

Il teletrasporto

Post n°2318 pubblicato il 20 Agosto 2019 da blogtecaolivelli

20 giugno 2019

Teletrasportare i qubit è possibile

grazie all'intelligenza artificiale

Fonte: Cnr-Ifn

©Science Photo Library

 Uno studio coordinato dall'Istituto

di fotonica e nanotecnologie del Cnr

dimostra come sia possibile trasferire

un bit quantistico (qubit) tra due posizioni,

facendo in modo che scompaia da quella

di partenza e ricompaia in quella di arrivo

senza passare nel mezzo.

Il risultato reso possibile grazie all'intelligenza

artificiale 'deep learning'. Lo studio pubblicato

su "Nature Communications Physics"

 "Abbiamo deciso di mettere alla prova l'intel-

ligenza artificiale di tipo 'deep learning', che

ha già molto fatto parlare di sé per aver

battuto il campione del mondo al gioco di

Go e per applicazioni più serie come il

riconoscimento del cancro al seno, applicandola

al campo dei computer quantistici", racconta

Enrico Prati dell'Istituto di fotonica e nano-

tecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche

(Cnr-Ifn) e coordinatore dello studio pubblicato

su Nature Communications Physics. 

Il deep learning si basa su reti neurali artificiali

disposte in diversi strati, ciascuno dei quali

calcola i valori per quello successivo affinché

l'informazione venga elaborata in maniera

sempre più completa.

"Utilizzando questo metodo nella variante

detta 'per rinforzo'", aggiunge Prati, "abbiamo

assegnato all'intelligenza artificiale il compito

di scoprire da sola come controllare l'unità

fondamentale di informazione quantistica,

conosciuta come bit quantistico o qubit,

codificata mediante un singolo elettrone

per trasferirlo tra due posizioni, facendo

in modo che l'elettrone scompaia da quella

di partenza e ricompaia in quella di arrivo

senza passare nel mezzo".

Il fenomeno è noto e si può ottenere se la

posizione di partenza e di arrivo sono la

prima e l'ultima di una catena dispari di

siti identici in cui l'elettrone può trovarsi.

Questo è un processo prettamente

quantistico e una soluzione per far avvenire

il trasferimento grazie al controllo

opportuno di potenziali elettrici era stata

inventata da Nikolay Vitanov dell'Helsinki

Institute of Physics nel 1999.

Data la sua natura piuttosto distante dal ciò

che il senso comune suggerirebbe, tale

soluzione è chiamata appunto sequenza

'controintuitiva'.

"Senza quella felice (contro) intuizione avrem-

mo ancora potuto non conoscere quella

soluzione.

E in ogni caso fino a oggi non sapevamo

come modificarla quando l'elettrone sta 

subendo disturbi durante il processo, facendo

fallire il teletrasporto.

Abbiamo lasciato che l'intelligenza artificiale

trovasse una soluzione propria, senza fornirle

preconcetti o esempi: l'ha trovata ed è più

veloce di quella nota, ma soprattutto si adatta

quando sono presenti disturbi.

L'intelligenza artificiale ha capito il fenomeno e

generalizzato il risultato meglio di quanto

sappiamo fare noi.

È come se l'intelligenza artificiale fosse in grado

di scoprire da sola come teletrasportare i Qubit

a prescindere dal disturbo in atto, anche nei

casi in cui noi non possediamo già una soluzione",

conclude Prati.

"Con questo lavoro abbiamo dimostrato che la

progettazione e il controllo dei computer

quantistici possono trarre vantaggio dall'uso

dell'intelligenza artificiale".

La ricerca è stata svolta in collaborazione con il

giovane studente Riccardo Porotti e Dario

Tamascelli dell'Università di Milano e con Marcello

Restelli del Politecnico di Milano.

 
 
 

Celle solari più efficienti grazie alla luce di sincrotrone

Post n°2317 pubblicato il 20 Agosto 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

di Cnr-Iom
©Agf/Wolf Winter Passi avanti nel campo

delle rinnovabili: dispositivi sempre più

efficienti possono essere progettati con

una nuova tecnica indagata da un gruppo

di ricerca capitanato dall'Istituto officina

dei materiali del Cnr.

Il risultato pubblicato su "Comunications Physics"

L'Istituto officina dei materiali del Consiglio

nazionale delle ricerche (Cnr-Iom), con sede

nell'Area Science Park di Trieste, ha dimostrato

attraverso un nuovo set up sperimentale

che è possibile usare la luce di sincrotrone

per individuare i materiali più efficaci nella

costruzione delle celle solari.

La ricerca, pubblicata su "Communications

Physics", viene da una collaborazione

internazionale con le Università di Trieste,

della Danimarca e di Bochum.

"Noi ci siamo occupati soprattutto di

mettere a punto un esperimento di tipo

pump-probe, in cui cioè si applicano sullo

stesso campione due tipi di stimolazione,

con l'obiettivo di analizzare le dinamiche

elettroniche del sistema.

Con un primo impulso laser noi eccitiamo,

cioè in qualche modo modifichiamo

provvisoriamente il campione, e con il

secondo lo misuriamo in un momento in

cui il campione non è ancora tornato allo

stato fondamentale.

La novità dell'esperimento condotto sta

nell'utilizzo, come secondo impulso, di raggi

X di sincrotrone", spiega Martina Dell'Angela

del Cnr-Iom.  

L'utilizzo del sincrotrone per questo tipo di

esperimenti consente di ottenere delle

informazioni ulteriori rispetto a quelle fornite

da un laser.

"Le nostre misure, in particolare, servono a

identificare quali materiali possano essere

utili a costruire celle solari quanto più efficienti

possibile.

Misurando l'assorbimento dei raggi X dei

diversi elementi che compongono i materiali

presi in esame è possibile studiare più in

dettaglio il trasporto di carica (ovvero gli

spostamenti delle particelle elettricamente

cariche sul substrato), proprietà fondamentale

in tutti i dispositivi elettronici", spiega Roberto

Costantini, del Cnr-Iom.

"Cosa succede quando eccitiamo un materiale

organico? Per ogni fotone assorbito si crea

quello che viene chiamato 'eccitone', formato

da una coppia interagente di elettrone e lacuna

(quest'ultima può essere vista come una carica

positiva dovuta all'assenza di un elettrone).

Una volta creati, questi eccitoni inizieranno a

muoversi nel materiale e, se vivono abbastanza

a lungo, prima di decadere possono venire

trasferiti alle interfacce con i materiali vicini.

Quello che ci interessa è individuare le condi-

zioni in cui il trasferimento di carica è massimo,

poiché questo determinerà l'efficienza di un

ipotetico dispositivo.

In alcuni materiali per un fotone assorbito si

possono creare ben due eccitoni, il che

sostanzialmente raddoppia la quantità di carica

utile per il funzionamento della cella solare".

In questo studio il materiale usato a

campione è molto semplice e già noto in

letteratura: il pentacene, costituito da

cinque anelli di benzene fusi.

Ma lo stesso set up sperimentale può e

potrà essere usato anche con campioni

più complessi, combinando materiali meno

conosciuti.

Il progetto, iniziato con l'installazione del 

laser nel 2016, è stato finanziato dal

progetto Sundyn (SIR2014 - Scientific

Independence of young Researchers del

Miur) e coofinanziato da Eurofel.  

 
 
 

Supergravità: un premio milionario per una teoria speculativa

Post n°2316 pubblicato il 20 Agosto 2019 da blogtecaolivelli

07 agosto 2019

Supergravità: un premio milionario

per una teoria speculativa

I tre milioni di dollari del Breakthrough

Prize 2019 per la fisica fondamentale

sono andati ai tre ideatori della teoria

della supergravità: che tuttavia potrebbe

non essere una descrizione valida della

realtà.

La teoria della supergravità - che tenta di

unificare tutte le forze della natura - è una

vera descrizione del mondo? La questione è

ancora in sospeso a più di quarant'anni da

quando è stata avanzata.

Malgrado questo, ora ha portato ai suoi

fondatori uno dei premi più redditizi della

scienza: un premio speciale di 3 milioni di

dollari per la fisica fondamentale.

La supergravità fu ideata nel 1976 dai fisici

delle particelle Sergio Ferrara del CERN, il

laboratorio europeo di fisica delle particelle

vicino a Ginevra, Daniel Freedman, del

Massachusetts Institute of Technology di

Cambridge, e Peter van Nieuwenhuizen,

della Stony Brook University di New York.

Il comitato di selezione che ha assegnato

il premio ha scelto di onorare la teoria, in

parte, per il suo impatto sulla comprensione

della gravità ordinaria.

La supergravità è anche alla base di una

delle "teorie del tutto" preferite dai fisici,

la teoria delle stringhe, che afferma che le

particelle elementari sono fatte di minuscoli

fili di energia, ma non è ancora stata dimostrata.

"La supergravità è stata estremamente

importante nello sviluppo della fisica negli

ultimi quarant'anni e nella nostra esplorazione

di ciò che potrebbe trovarsi al di là di quello

che sappiamo della natura", dice il teorico

delle stringhe, Andrew Strominger della

Harvard University, che ha fatto parte del

comitato di selezione del premio.

L'imprenditore russo Yuri Milner ha lanciato

i Breakthrough Prizes nel 2012, e tra i finanziatori

oggi ci sono il cofondatore di Google Sergey

Brin e Mark Zuckerberg di Facebook.

I premi vengono assegnati verso la fine di ogni

anno, in diversi campi della scienza e della

matematica.

Ma il comitato di selezione - scelto nel pool

dei precedenti vincitori di premi Breakthrough

- può assegnare premi speciali per riconoscere

i lavori eccezionali.

Nel 2013, per esempio, Stephen Hawking ha

vinto per la sua teoria, ancora non testata

sperimentalmente, che i buchi neri emettono

radiazioni.

All'inizio degli anni settanta, i fisici avevano

costruito il modello standard della fisica delle

particelle, in cui tre delle quattro forze fonda

mentali della natura sono associate alla

propria particella: la forza elettromagnetica

è mediata dalla particella di luce, il fotone;

la forza forte che lega i nuclei atomici è mediata

dal gluone; e la forza debole che governa il

decadimento radioattivo è associata alle particelle

W e Z: tutte queste particelle sono state

osservate sperimentalmente.

Ma la quarta forza fondamentale, la gravità,

ha resistito agli sforzi per includerla nel modello.

La supergravità è stata un primo tentativo di

farlo, combinando la fisica delle particelle con

la teoria della gravità di Einstein, la relatività

generale.

Ferrara, Freedman e van Nieuwenhuizen si

ispirarono alla supersimmetria, un'estensione

del modello standard proposta per la prima volta

nel 1973. La supersimmetria afferma che ogni

particella conosciuta ha un gemello più pesante

e ancora da scoprire.

I modelli che cercano di portare nella combina-

zione la forza fondamentale finale, la gravità,

le assegnano un'ipotetica particella, il "gravitone".

I tre fisici proposero un super-gemello per il

gravitone, chiamato gravitino.

Van Nieuwenhuizen ricorda la notte in cui guardò

il loro software che macinava i calcoli della

supergravità, timoroso che si fermasse troppo

presto, indicando che la teoria era sbagliata.

"Stavo lì seduto con la tensione che cresceva",

racconta.

Ma quando il programma si concluse con

successo, fu convinto che la supergravità

fosse reale.

Quarant'anni dopo, van Nieuwenhuizen è

rimasto senza parole alla notizia del premio.

"È stata una sorpresa totale", dice.

"Avevo rinunciato alla speranza che

sarebbe accaduto".

David Tong, teorico delle stringhe all'Università

di Cambridge, nel Regno Unito, dice che

l'innovazione concettuale dietro la supergravità

era "stupefacente", dato che all'epoca i fisici

delle particelle e quelli che studiavano la gravità

interagivano di rado.

"Il team applicava tecniche di fisica delle particelle

alla gravità e poi le testava a livello di calcolo, in

un periodo in cui nessuno usava i computer per

fare questo genere di cose", aggiunge.

Oggi, la supergravità è una pietra angolare

della teoria delle stringhe, che è una candidata

popolare per la descrizione definitiva della realtà.

Ma per decenni, gli acceleratori di particelle,

compreso il Large Hadron Collider (LHC) del CERN,

non sono riusciti a individuare alcun segno

di particelle supersimmetriche né del gravitino,

o alcuna prova della teoria delle stringhe,

anche se questo non la esclude del tutto.

"Queste idee potrebbero non essere verificabili

nella nostra vita", dice Tong.

Tuttavia, l'assenza di prove non dovrebbe

sminuire i risultati della supergravità, sostiene

Strominger, perché la teoria è già stata usata

per risolvere i misteri della gravità.

Per esempio, la relatività generale apparentemente

permette alle particelle, in teoria, di avere masse

ed energie negative "Se fosse vero, alcune cose

non finirebbero sulla Terra quando cadono, ma

cadrebbero nello spazio", dice Strominger.

Questo non succede, ma nessuno ha potuto

spiegare perché.

Applicando il macchinario matematico della

supergravità alla relatività generale, però, ha

permesso ai fisici di dimostrare che le particelle

non possono avere masse ed energie negative.

"Questi risultati rimarranno validi a prescindere

dal fatto che la supergravità esista effettiva-

mente in natura", dice Strominger.

Ma Sabine Hossenfelder, fisico teorico

dell'Istituto di studi avanzati di Francoforte,

avverte che il fallimento del LHC nel trovare

particelle supersimmetriche infligge un colpo

quasi fatale alle possibilità che la supergravità

sia vera.

Dice che i vincitori hanno "fatto un grande lavoro

matematico che merita di essere riconosciuto",

e aggiunge: "Ma forse il premio dovrebbe

essere per la matematica pura, perché questa

non è fisica".

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato 

su www.nature.com il 6 agosto 2019.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze,

riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

 
 
 

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