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Messaggi del 18/01/2018

Le conseguenze del cambiamento del clima...

Post n°1543 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

02 gennaio 2018

Suoli sempre più aridi con il cambiamento del clima

Il 20-30 per cento della superficie terrestre diventerà più

arido, con più siccità e maggior rischio d'incendi, se l'aumento

della temperatura globale rispetto ai livelli preindustriali

arriverà a 2 gradi centigradi. Il degrado dei terreni sarà invece

molto più limitato se l'aumento di temperatura sarà contenuto

in 1,5 gradi centigradi(red

climaambienteCon lo storico accordo sul clima raggiunto a

Parigi nel 2015, le nazioni del mondo si sono impegnate a

contenere l'incremento della temperatura globale ben al di

sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali,

limitandolo preferibilmente a 1,5 gradi.

La differenza di soli 0,5 gradi tra i due obiettivi potrebbe

sembrare di poco conto, ma non è affatto così in termini

d'impatto ambientale, stando a un nuovo studio pubblicato

su "Nature Climate Change" da un gruppo di ricercatori

della Southern University of Science and Technology

(SUSTech) di Shenzhen, in Cina, e dell'University of East Anglia, nel Regno Unito.

Suoli sempre più aridi con il cambiamento del climaBlend Images / AGFSecondo gli autori, una quota variabile tra il 20

e il 30 per cento delle terre emerse diventerà decisamente

più arida, con un maggior rischio di siccità e di incendi, se

il riscaldamento globale supererà i 2 gradi, mentre l'aridificazione

riguarderà una porzione decisamente più limitata dei terreni,

pari al 7-10 per cento, se l'aumento si fermerà a 1,5 gradi.

Il risultato è stato ottenuto utilizzando 27 modelli climatici

globali per identificare le aree del mondo in cui l'aridità -

una misura della secchezza del terreno ottenuta combinando

abbondanza di precipitazioni ed evaporazione - varierà in modo

sostanziale rispetto alle variazioni annuali che si osservano ora.

Le conseguenze sul degrado ambientale potrebbero essere gravi.

"L'aridificazione è una minaccia seria, poiché può avere un impatto

critico sull'agricoltura, sulla qualità dell'acqua e sulla biodiversità,

e può anche portare a maggiore siccità e a un più elevato rischi di

incendi, simili a quelli che nelle settimane passate hanno devastato

la California", ha spiegato Chang-Eui Park, ricercatore del SusTech

e coautore dello studio. "Un altro modo di pensare al processo di

aridificazione è il passaggio a condizioni di moderata ma continua

siccità, a partire dalle quali poi la variabilità annuale delle precipitazioni

può causare siccità gravi: in questo scenario, per esempio, il 15 per

cento delle regioni attualmente considerate semi-aride passeranno a

un clima arido".

Il degrado delle condizioni ambientali e dei suoli previsto dallo studio

non sarebbe molto diverso dagli esempi che sono stati sotto gli occhi

di tutti durante il XX secolo: una siccità di gravità e crescente nel bacino

del Mediterraneo, nell'Africa Meridionale e nelle coste orientali dell'Australia,

e una desertificazione di alcune zone di Messico, Brasile, Africa meridionale

e Australia.

 "Il mondo si è già riscaldato di un grado centigrado rispetto al periodo

preindustriale, ma la riduzione delle emissioni di gas serra per mantenere

il riscaldamento globale tra 1,5 e 2 gradi potrebbe ridurre la probabilità di

una significativa aridificazione in molte parti del mondo", ha concluso

Su-Jong Jeong, ricercatore del SusTech e coautore dello studio.Tweet

 
 
 

Collasso di culture.....

Post n°1542 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

03 ottobre 2017

Collasso di culture

Intorno al 1200 a.C. i palazzi micenei

furono distrutti da incendi, l'impero ittita

si dissolse e vari piccoli Stati nell'Asia

Minore e sulla costa del Levante furono

annientati. A partire dall'Ottocento i

ricercatori ipotizzano come possibile

causa della fine violenta dell'Età del

bronzo i bellicosi «popoli del mare»,

ma finora nessuno è riuscito a identificarli

chiaramente. Altre possibili cause della crisi

potrebbero essere terremoti e un periodo

di siccità. Ma è presumibile che il collasso

culturale nell'area del Mediterraneo orientale

non sia dovuto a una sola causa.

di Josef Fischer

 
 
 

Antiche sepolture.....

Post n°1541 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Scoperta in Pakistan la

sepoltura degli antichi indoeuropei

  • Udegram, media valle dello Swat (Pakistan). Vista generale dell'area della necropoli protostorica.   

1Udegram, media valle dello Swat (Pakistan). Vista generale dell'area della necropoli protostorica.  

  • Stoffe, canestri e vasi di legno: sono questi gli arredi 
  • scoperti per la prima volta in una tomba degli antichi
  •  indoeuropei da una spedizione di archeologi italiani 
  • guidati da Massimo Vidale, del dipartimento Beni
  •  Culturali dell'Università di Padova, e Roberto Micheli,
  •  archeologo della Soprintendenza Archeologia del Friuli 
  • Venezia Giulia.


Secondo quanto riferito sulla rivista "Antiquity", la tomba, che

si trova nella valle dello Swat, nel nord del Pakistan, vicino al

confine con l'Afghanistan, risale a un periodo compreso tra il

1400 e il 900 a.C., un'epoca culturalmente importante per la

diffusione delle lingue indo-arie dall'Asia centrale verso il

subcontinente indopakistano.

Nello scavo sono stati ritrovati anche i resti di recinti e sarcofagi

fatti di pali e travi di legno, che confermano l'antica presenza nella

valle di cimiteri monumentali coperti da costruzioni lignee descritte

dagli storici che seguivano l'impresa di Alessandro Magno.

In questa galleria sono raccolte alcune immagini significative della

missione di Vidale e Micheli.

 
 
 

Sui cambiamenti della storia umana....

Post n°1540 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Lo svantaggio culturale che segnò il destino dei Neanderthal

Neanderthal: nessuna prova di inferiorità cognitiva

Grazie a un nuovo sistema statistico, in grado

di analizzare il DNA di diverse popolazioni

arcaiche, alcuni ricercatori dell'Università dello

Utah, guidati da Alan R. Rogers, sono riuscito

a ricostruire in modo nuovo e più dettagliato

alcuni passaggi cruciali della storia evolutiva

dei nostri antenati.

Confrontando il genoma di quattro popolazioni

distinte: due moderne, eurasiatica e africana, e

due arcaiche, neanderthaliana e denisovana, i

ricercatori hanno individuato le mutazioni genetiche

condivise dalle specie. Come si legge sui

"Proceedings of the National Academy of Sciences",

sono così risaliti al periodo in cui il lignaggio comune

ai Neanderthal e ai Denisova si è separato dalla linea

evolutiva più arcaica condivisa con gli uomini moderni.

Secondo le stime di Rogers e colleghi, l'evento

sarebbe avvenuto circa 744.000 anni fa, quindi

molto prima di quanto ipotizzato in studi precedenti.

Circa 300 generazioni dopo, le popolazioni di

Neanderthal e Denisova hanno poi seguito

traiettorie evolutive separate.

Nuove analisi del DNA ricostruiscono la storia

evolutiva degli umani arcaici
Ricostruzione artistica di uomo di Neanderthal

(Science Photo Library / AGF)
Gli scienziati hanno anche potuto stimare la

dimensione delle popolazioni, giungendo alla

conclusione che dopo la separazione dai denisovani

i Neanderthal sarebbero cresciuti fino a contare

decine di migliaia di individui, distribuendosi

nell'Eurasia in piccole comunità, geograficamente

separate "come isole; individui che a volte interagiscono,

ma dato che è difficile spostarsi da un'isola all'altra,

tendono a rimanere con la propria popolazione di

origine", commenta Ryan J. Bohlender, seconda

firma dello studio. Anche in questo caso, le stime

contraddicono studi precedenti che ipotizzavano un

numero di individui molto più limitato.

I risultati ottenuti grazie al nuovo metodo

confermano invece che i moderni euroasiatici

condividono circa il 2 per cento del DNA con i

Neanderthal, come già indicato alcuni anni fa dalle

analisi del gruppo di Svante Pääbo su un fossile

di Neanderthal rinvenuto in Siberia. La ricerca attuale

ha tuttavia permesso di accertare che il contributo

dei neanderthaliani al genoma moderno va attribuito

a una popolazione ben più ampia di quella locale a

cui apparteneva il reperto siberiano.

 
 
 

Sulla storia evolutiva dell'uomo di Neanderthal...

Post n°1539 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Nuove analisi del DNA ricostruiscono la storia

evolutiva degli umani arcaici.

Fu la competizione con gli esseri umani moderni,

in particolare quella culturale, a determinare

l'estinzione dei Neanderthal, mentre altri fattori

ipotizzati, come i cambiamenti climatici o la diffusione

di malattie, avrebbero avuto un ruolo secondario.

Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori della

Stanford University e della Meiji University a

Tokyo in un articolo pubblicato sui "Proceedings

of the National Academy of Sciences".

L'ipotesi "culturale" dell'estinzione neanderthaliana

finora è stata trascurata perché al loro arrivo in

Europa gli uomini moderni erano molto meno

numerosi dei Neanderthal che abitavano la regione

già da molto tempo.

Per approfondire la questione, William Gilpin

e colleghi hanno adattato al caso in esame

un classico modello ecologico che definisce

l'andamento demografico di due specie in

competizione sullo stesso territorio, il modello

di Lotka-Volterra detto anche modello preda-predatore,

nel quale hanno incluso le differenze tra i

livelli di sviluppo culturale delle due specie,

derivate da elementi come la forma degli

strumenti di cui disponevano e la loro

sofisticazione tecnologica.

Lo svantaggio culturale che segnò il destino

dei Neanderthal.

Il modello Lotka-Volterra, così esteso, ha

indicato che il livello culturale che caratterizzava

gli uomini moderni al loro arrivo sarebbe stato

già sufficiente per far sì che sostituissero i più

numerosi Neanderthal in un tempo medio-lungo.

A rendere ancora più veloce il processo fu però

una sorta di circolo virtuoso a favore dell'uomo

moderno.

Il vantaggio competitivo di avere manufatti di

qualità superiore avrebbe infatti garantito una

maggiore sopravvivenza, e quindi una crescita

della popolazione più elevata rispetto ai concorrenti.

A sua volta, l'incremento della popolazione avrebbe

facilitato l'introduzione di nuovi perfezionamenti

tecnologici, aumentando quindi il divario culturale

fra i due gruppi, fino a portare alla scomparsa della

popolazione autoctona.

 
 
 

Notizie di un antico manoscritto...

Post n°1538 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Le sue pagine riusalgono a un periodo compreso

fra il 1404 e il 1438, ben prima del regno di

Rodolfo II, alla cui epoca lo si riteneva finora

appartenere

Il manoscritto di Voynich - noto anche come

"il manoscritto più misterioso della storia"

perché scritto con un sistema crittografico

che ha resistito a qualsiasi tentativo di

interpretarlo - è stato datato con il radiocarbonio

da un gruppo di ricercatori dell'Università dell'Arizona. 


A prima vista il manoscritto - ricco di illustrazioni

che rappresentano piante sconosciute, mappe celesti

e figure umane che sembrano bagnarsi in una fontana

della giovinezza - non pare differire da molti altri

antichi testi, se non fosse che sembra scritto in una

lingua sconosciuta con lettere alquanto strane che

hanno sempre affascinato storici, crittologi e,

ovviamente, i patiti del mistero. 

L'uso di tecniche crittografiche che si sanno essere

state impiegate nel Medioevo e nel Rinascimento

non ha però permesso di decifrarne il contenuto e

anche il ricorso ad analisi con il computer ha dato lo

stesso esito inconcludente. Per questo l'ipotesi più

accreditata sulla sua origine è che esso sia stato

redatto per truffare l'imperatore Rodolfo II, grande

collezionista di testi alchemici e di ogni sorta di

oggettistica da Wunderkammer.

Attualmente conservato presso la Beinecke Rare Book

and Manuscript Library dell'Università di Yale, fu

scoperto a Villa Mondragone nel 1912 da un

commerciante di libri antichi, Wilfrid Voynich, fra un

gruppo di volumi messi in vendita dalla Compagnia

di Gesù che ne era proprietaria. 

Ottenuto il permesso di asportare quattro piccoli

campioni (un millimetro per sei) dai margini di

altrettante differenti pagine, i ricercatori hanno

proceduto alla datazione al radiocarbonio, che ha

riservato una sorpresa: il manoscritto risale a un

periodo compreso fra il 1404 e il 1438, e quindi è

ben più antico di quanto finora ritenuto. 

Questo risultato rischia quindi di mettere in crisi

la spiegazione finora accertata circa l'origine del

manoscritto, anche se non definitivamente: "Sarebbe

bello se potessimo datare al radiocarbonio gli inchiostri,

ma attualmente è estremamente difficile farlo. Sono

presenti sulla superficie solo in tracce e il contenuto in

carbonio è di solito estremamente basso. Inoltre alcuni

inchiostri sono di origine inorganica e non contengono

carbonio", spiega Greg Hodgins, che ha diretto la ricerca.

"Sappiamo che i colori sono coerenti con quelli disponibili

nel Rinascimento, ma non ci permettono di propendere

per una soluzione o l'altra." 

 
 
 

Le ultime notizie sull'uomo di Neanderthal

Post n°1537 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

fonte: Internet

La scomparsa dei Neanderthal potrebbe

non essere dovuta a un vantaggio evolutivo

degli uomini moderni legato a fattori ecologici,

biologici o culturali. La loro sostituzione da

parte della nostra specie sarebbe invece

dovuta alle dinamiche demografiche innescate

da un lento ma inesorabile flusso migratorio

dei nostri antenati diretti, le cui popolazioni

africane di origine erano molto più numerose

                            
Neanderthal: nessuna prova di inferiorità

cognitiva

Nuove analisi del DNA ricostruiscono la storia

evolutiva degli umani arcaici

La scomparsa dei Neanderthal potrebbe

essere legata ai costanti flussi migratori

degli uomini anatomicamente moderni, e

non a un fattore evolutivo che avrebbe

favorito i nostri antenati più diretti. E' questa

la conclusione a cui sono giunti due ricercatori

della Stanford University a seguito di una

ricerca sui modelli demografici delle antiche

popolazioni dell'Europa e del Vicino Oriente,

ora pubblicata su "Nature Communications".

Le migrazioni inesorabili che segnarono

la fine dei Neanderthal.

Confronto fra il cranio di un Neanderthal

(a sinistra) e di un essere umano

anatomicamente moderno (© Science Photo Library / AGF)

Questa conclusione - sottolineano Oren Kolodny

e Marcus W. Feldman - è "neutra" rispetto alle

ipotesi dell'esistenza di fattori ambientali, biologici

o culturali che avrebbero avvantaggiato gli esseri

umani moderni: questi eventuali fattori possono

avere affrettato l'estinzione dei Neanderthal, ma

la loro sostituzione da parte dei nuovi venuti era

comunque inevitabile.

La grande maggioranza degli studi sulla scomparsa

dei Neanderthal parte dal presupposto che per spiegarla

sia necessario ipotizzare un vantaggio degli umani

moderni rispetto alla specie cugina. Si è parlato,

per esempio, di una più ampia gamma di opzioni

alimentari, di una migliore capacità di resistere ai

cambiamenti climatici o alle infezioni, oppure di una

capacità cognitiva superiore, riflessa nella cultura

materiale e nell'uso di strumenti, incluse le armi.

Gli studi si sono quindi concentrati sulla ricerca di

questo vantaggio determinante o di una ipotetica

"superiorità" della nostra specie.Kolodny e Feldman

sono invece partiti da un dato, ricavato con sofisticate

analisi statistiche della frequenza di mutazioni nel

genoma e condiviso da genetisti e paleoantropologi:

gli individui neanderthaliani che vivevano in Europa

e nel Vicino Oriente erano relativamente pochi,

mentre in Africa c'era una popolazione di esseri umani

moderni molto più numerosa. Questa situazione

demografica di partenza è confermata anche dalle

diverse condizioni ambientali dell'epoca in quelle

regioni.Le migrazioni inesorabili che segnarono

la fine dei NeanderthalI dati archeologici e genetici

indicano inoltre che verso la fine del Paleolitico medio

gli esseri umani moderni hanno iniziato a migrare in

diverse ondate dall'Africa, prima nel Vicino Oriente e

quindi in altre parti dell'Eurasia. Kolodny e Feldman

hanno quindi ipotizzato che, benché composto da

gruppi di individui non molto numerosi, questo flusso

migratorio sia proseguito costantemente per molto

tempo e seguendo diverse direttrici.I due ricercatori

hanno poi ipotizzato che l'arrivo di una tribù di umani

moderni in un certo territorio innescasse una

competizione per le risorse con i Neanderrhal locali

e che questa competizione portasse all'estinzione

di uno dei due gruppi a caso, ossia con uguale

probabilità.A partire da questo semplice scenario,

tutte le simulazioni dell'andamento demografico

delle due popolazioni portano alla scomparsa dei

Neanderthal. A cambiare è solo il tempo necessario

perché avvenga, che dipende dal'intensità dei flussi

migratori degli uomini moderni dall'Africa. Nelle loro

simulazioni i ricercatori hanno ipotizato che avvenissero

a un tasso piuttosto basso, ossia a opera di piccoli

gruppi e con una frequenza relatvamente lenta.

Il tempo necessario all completa sostituzione dei

Neandethal con gli umani moderni non è mai risultato

superiore ai 12-14.000 anni, lo stesso lasso di tempo

nel quale è stata dimostrata la coesistenza delle due

specie in Eurasia.

 
 
 

Fisica dei neutrini

Post n°1536 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da blogtecaolivelli

    • fonte: articolo da Internet               

I neutrini vìolano effettivamente il limite, finora

ritenuto assoluto, della velocità della luce? La

notizia del risultato dell'esperimento CERN-Laboratori

INFN del Gran Sasso ha fatto il giro del mondo,

guadagnandosi le prime pagine dei giornali e le

aperture dei TG, ma la comunità scientifica era in

attesa di qualcosa di più. La cautela è d'obbligo

in questi casi, anche perché si tratterebbe di una

rivoluzione per tutta la fisica, in particolare per il

campo di ricerca delle particelle elementari.

I nuovi dati diffusi dalla collaborazione OPERA

CERN-INFN, pubblicati ora su arXiv sembrano fugare

molti dubbi su alcune delle possibili fonti di errore

che potrebbero aver condizionato il risultato: in

particolare i "pacchetti" di neutrini sono compresi

in soli tre nanosecondi e spaziati gli uni dagli altri

di 524 nanosecondi. Il miglioramento è quindi

evidente rispetto a quelli della misura annunciata

a settembre: in quel caso i fasci duravano 10,5

microsecondi e erano distanziati da 50 millisecondi.

I 20 eventi di rivelazione di neutrini hanno così

permesso non solo di confermare ma anche di

rafforzare la conclusione che tali neutrini siano

superluminali.

Neutrini più veloci della luce, arriva la prima confermaclicca per i

Nell'articolo viene riportata la precisa determinazione

della velocità del neutrino, definita come il rapporto

tra la baseline del fascio di neutrini tra il CERN e il

Gran Sasso (CERN Neutrino beam to Gran Sasso o

più brevemente CNGS) e il tempo di viaggio

(time of flight, o TOF) delle stesse particelle

attraverso la crosta terrestre, basandosi sui

dati con un'alta significatività statistica raccolti

da OPERA negli anni 2009, 2010 e 2011. 

La misurazione della distanza ha beneficiato

di una campagna di geodesia di grande accuratezza,

che consente di avere un'incertezza di soli 20

centimetri sui 730 chilometri della distanza tra

il punto di emissione del fascio e il punto di

rivelazione. Analogamente, il miglioramento

dei sistemi di misurazione temporale del fascio

CNGS e del rivelatore di OPERA ha permesso

un'ulteriore riduzione degli errori sistematici.

Quello prodotto e inviato verso il CERN è un

fascio quasi puro di neutrini muonici con un'energia

media di 17 GeV, ottimizzato per gli studi del

fenomeno di oscillazione, ovvero di trasformazione

dei neutrini muonici in neutrini tauonici. Esso è

prodotto accelerando protoni fino all'energia di

400 GeV/c con l'acceleratore Super Proton

Synchrotron (SPS) del CERN che vanno poi a

incidere su un bersaglio di grafite, dove vengono

prodotti i neutrini, in due "estrazioni", ciascuna

delle quali, come anticipato, è passata da una

durata di 10.500 a tre nanosecondi, mentre gli 

intervalli di tempo che li separano sono passati

da 500 milioni a 524 nanosecondi. 

Come sottolineato su ArXiv, il tempo di viaggio

del neutrino, con questi miglioramenti, può

essere misurato al livello di una singolo

interazione, mentre con le "vecchie" misurazioni

il neutrino "visto" da OPERA avrebbe potuto

essere stato prodotto da uno qualunque dei

protoni all'interno del tempo di estrazione

(ciò rende ovviamente più complessa l'elaborazione

dei dati relativi a distribuzioni temporali degli

eventi di emissione dei neutrini confrontate

con gli eventi di rivelazione dei neutrini con OPERA). 

Un altro passo fondamentale per la misurazione

del TOF è la "sincronizzazione degli orologi" tra

i due punti che distano 730 chilometri: dal 2008

CERN e LNGS hanno due orologi atomici al cesio

identici dotati di ricevitori del segnale della rete

di satelliti GPS che hanno rimediato alla precedente

accuratezza di 100 nanosecondi, insufficiente

quest'ultime misurazioni di velocità.

Tutti questi miglioramenti metrologici ottenuto

negli ultimi anni, uniti all'ampia statistica permessa

dai circa 16.000 eventi di rivelazione di neutrini di

OPERA, ha consentito in definitiva di migliorare di

un ordine di grandezza, rispetto a precedenti

esperimenti sui neutrini, la sensibilità della misurazione

del rapporto (v-c)/c (dove è la velocità del neutrino

cè quella della luce).

I risultati dello studio indicano che i neutrini muonici

CNGS con energia media di 17 GeV arrivano in anticipo

rispetto a quelli attesi con calcoli che assumono per essi

una velocità pari a quella della luce: l'anticipo è stato

misurato in 60,7 nanosecondi.

 
 
 

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